Sono nate da tre matite d’artista, in centri stile dal grande blasone: rispettivamente a Milano, Monaco di Baviera e Torino, all’epoca diretti da giovanotti talentuosi quali Giuseppe Scarnati, Paul Bracq e Mario Boano. Eppure l’Alfa Romeo Alfetta, la BMW Serie 5 (E12) e la Fiat 132, classe 1972, sembrano oggi veramente sorelline gemelle, poi separate dalla nascita. Di sicuro potremmo parlare di un papà certo, visto che i tre centri stile si avvalsero della collaborazione di Marcello Gandini.
Berline a tre volumi, 4 portiere, frontale con doppi fari, motore longitudinale, trazione posteriore, baule di generose dimensioni… Le analogie sono tante, veramente tante. E, se si guarda la vista laterale, si fa fatica a pensare che abbiano avuto genesi differenti, ma è proprio così. E sono accomunate anche dal destino che, complice la guerra del Kippur, è stato identico: un paio di anni di produzione e poi, con la benzina alle stelle e il crollo delle vendite, sottoposte a restyling o affiancate da versioni più risparmiose.
L’Alfetta (progetto 116) venne sviluppata dal Centro Stile della Casa milanese per creare una vettura intermedia tra la 2000 e la Giulia, pronta a prendere il testimone dal primo modello che avesse perso troppo terreno sul mercato. Linee tese e spigolose e una grande attenzione allo spazio interno furono i diktat della dirigenza. Il “milleotto”, nato di sana e robusta costituzione, molto grintoso come è tradizione dei motori di casa Alfa, era abbinato a un cambio a 5 marce con una grande novità, quella del posizionamento al retrotreno in blocco con differenziale e frizione azionata idraulicamente, alla ricerca di un’ottimale distribuzione che migliorasse la tenuta di strada. Inedito era anche lo schema delle sospensioni posteriori che adottavano per la prima volta su un’Alfa stradale il ponte De Dion.
Presentata al Salone di Francoforte del 1972, la Serie 5 era stata disegnata da Bracq prendendo spunto dalla Garmisch, un prototipo di stile della Bertone (con lo zampino appunto di Marcello Gandini) del 1970. Impostazione classica per la meccanica, con trazione posteriore, avantreno MacPherson, retrotreno a ruote indipendenti con semiassi oscillanti, cambio manuale a 4 rapporti e impianto frenante con dischi anteriori e tamburi posteriori. I motori disponibili con la prima serie erano il 4 cilindri da 1990 cm³ monocarburatore da 115 CV oppure con iniezione meccanica Kugelfisher da 130 CV.
La 132, che sostituisce la 125 in Casa Fiat, ha un design anch’esso tipico della moda degli anni Settanta, caratterizzato dal frontale con 4 fari anteriori circolari e dalla particolarità, per l’epoca, dei finestrini anteriori privi dei deflettori. Una curiosità: è stata la prima vettura della Casa torinese a uscire di serie con lo specchietto retrovisore esterno e assemblata parzialmente dai robot: alcuni elettrosaldatori applicano punti di saldatura alla carrozzeria. Due le motorizzazioni: il “millesei” con 98 CV e il “milleotto” con 105 CV, due gli allestimenti: normale e Special. Al motore era accoppiato un cambio a 4 marce (la quinta marcia, “di riposo”, era a richiesta), mentre un cambio automatico epicicloidale a tre velocità con convertitore di coppia idraulico era offerto come optional. E qui scatta il ricordo struggente di chi scrive: quando nel 1973 venne rubata la 130 di famiglia, i miei genitori decisero di dimezzare drasticamente la cilindrata e la scelta andò sulla 132. Invano tentai di convincerli che l’Alfetta erano infinitamente migliore, più grintosa, con stile, quel motore fantastico, un nome carico di gloria (la pubblicità dell’epoca la ritraeva con la monoposto “Alfetta” 158/9 campione del mondo F. 1 nel bienno 1950-51). Niente da fare, mia madre bollò l’Alfetta come “vettura sgraziata, con quella coda così alta” e arrivò in garage la berlina Fiat. Però della “baleniera”, così come venne soprannominata in famiglia la 132 Special 1600, ho un ricordo fantastico: la prima auto che ho guidato appena presa la patente, comoda, con aria condizionata e lunotto termico, autoradio Autovox con speciali altoparlanti, una schiccheria. Gemellina alla quale mi sono affezionato, parecchio.
Gaetano Derosa