Uno sguardo alle vetrine, un aperitivo in Galleria. La mente è leggera, quasi distratta mentre passeggio per il centro di Milano dopo una giornata trascorsa in redazione. Improvvisamente qualcosa colpisce la mia attenzione. Mi guardo intorno. Niente. Ritorno sui miei passi e capisco: è quell’auto parcheggiata lì, lungo il marciapiede, splendente nel suo Azzurro Achille che sa di antico. Perfetta, lucida, senza un graffio. Sembra appena uscita dal concessionario, ma no, non può essere: si tratta di un’Alfa “156”, un modello di 15 anni fa. Eppure…
Eppure la sua linea è ancora attualissima. E bellissima. La guardo con attenzione e nostalgia: nelle sue forme e nei dettagli ritrovo quella “grammatica” che ha reso famose le auto del Biscione. Ritrovo la grinta, la personalità potente e aggressiva, la sensazione di attaccamento alla strada dei modelli di una volta; c’è tanto passato nella sua linea e ci sono tante soluzioni innovative. Prima di disegnare la “156”, Walter de’ Silva aveva a lungo assaporato l’essenza delle Alfa Romeo e della loro storia. Quand’era responsabile del Centro Stile Alfa Romeo di Arese (oggi è a capo di quello Volkswagen), de’ Silva usava trascorre giornate intere nell’adiacente museo. Prendeva appunti, come uno scrittore che annota pensieri sul suo taccuino: le Alfa dei tempi d’oro sono state le sue muse.
La lezione di Walter de’ Silva
Il museo di Arese, l’ha confidato più volte lui stesso, è stato un’insostituibile fonte di ispirazione e creatività: per dare identità al presente egli ha coniugato passato e futuro, storia e marketing. La sua matita ha tracciato linee che, parole sue, “…danno un senso al mito dell’Alfa, andando controcorrente, recuperando idee e forme che appartengono al nostro passato. E questa è la nostra vera bizzarria, la nostra originalità”. Ho raccontato in redazione del mio “incontro” con la “156” (il fatto risale a non più di un paio di settimane fa) e ne è nata una discussione. Tutti insieme ci siamo cimentati in un gioco di “reverse engineering”, cioè l’analisi che, dalla scomposizione di un prodotto finito, permette di risalire ai principi che lo hanno ispirato. Abbiamo osservato la “156”, ne abbiamo analizzato le linee, i volumi, i dettagli; poi abbiamo tirato fuori dall’archivio le foto delle Alfa Romeo del tempo che fu, di Touring, Pininfarina e Bertone. Ed ecco sulla “8C 2300 Monza”, sulla “8C 2900 B” e su molte altre Alfa degli anni 30 le stesse feritoie che sulla “156” abbracciano lo scudo.
Ecco sulla “Giulietta Spider” e sulla “Duetto” la “cometa”, cioè la piccola “bombatura” che raccorda lo stemma Alfa al cofano. Ed ecco ancora, sulla “Giulietta SS”, lo stesso taglio e lo stesso equilibrio tra lo scudo e le griglie laterali “divise” da un “baffo”. Nella coda raccolta e rastremata della “156” c’è un forte sapore di “1900”. Persino un colore come l’Azzurro Achille guarda al passato, così simile all’Acqua di Fonte di moda sulla “Giulietta” degli anni Cinquanta (la precisazione temporale è d’obbligo).
Vogliamo continuare? Prendiamo il disegno delle ruote: i cerchi in lega non ricordano forse quelli della Alfa da corsa tipo “TZ 2” e “33”? Come peraltro le borchie dei cerchi in acciaio, così simili alle ruote delle prime “Giulia”. E gli strumenti? Il design e la disposizione, per quanto moderni, ricalcano quelli delle Alfa più sportive dell’epoca di Arese, come le “Spider” fino ai primi anni 80. Se poi la osservi da certe angolazioni, la “156” sembra persino una “Giulietta Sprint”, grazie alla forma raccolta del padiglione e alla geniale intuizione (in seguito copiata da altri) di integrare e nascondere la maniglia della porta posteriore.
Sono nel museo le Alfa del futuro
Quel filo sottile, quell’“aria di famiglia” che ha unito nel loro succedersi “1900”, “Giulietta”, “Giulia”, “Alfetta”, “75” – e che era stato interrotto con la “155” – de’ Silva ha saputo riannodarlo con la “156”, recuperando con un colpo di matita un patrimonio storico e stilistico che molti ci invidiano (e qualcuno vorrebbe comprare). Certo, de’ Silva ha avuto il privilegio di disporre di una tradizione fatta di eccellenze, di successi agonistici, di design raffinato che forse nessun’altra Casa automobilistica può vantare. Ma non se ne è lasciato imprigionare. Da lì è partito per creare un prodotto assolutamente nuovo, originale e competitivo che ha dato speranza ai cultori del marchio (e intimorito la concorrenza). Il pubblico ha capito i messaggi subliminali della “156” e le ha decretato un successo che probabilmente l’Alfa non conosceva dai tempi dell’“Alfetta”. Le speranze di allora, spiace dirlo, sono state deluse. I modelli successivi non hanno avuto la forza della “156” e delle sue derivate “147” e “GT”. In quella tradizione c’è un gran potenziale che non basta un nome, fosse anche “Giulietta” o “Giulia”, a risvegliare.
Riaprite il museo di Arese. Portateci a fare un giro i designer del centro stile torinese (già, perché quello milanese non esiste più). Recuperate gli antichi valori. Come la “156” ha dimostrato, si può fare.
(disegni di Giorgio Alisi)