“E chi se la dimentica quella sera di fine estate del 1981. Ero andato in discoteca, al ‘Byblos’ di Ospedaletti, con la mia ragazza; all’uscita mi chiese se volevo guidare la Volkswagen Golf GTI che le aveva prestato il padre. Per uno studente universitario possessore di una ben più modesta Citroën 2CV era una proposta da cogliere al volo. Percorrere il tratto tra Ospedaletti e Bordighera al volante di quella GTI argento metallizzato fu uno dei momenti più emozionanti della mia giovinezza”. Così racconta Nicola Timm, oculista di Ospedaletti (IM) classe 1962, proprietario della protagonista di queste pagine al tempo del servizio nonché lettore di Ruoteclassiche dal novembre del 1987.
L’occasione arriva nel 2009. “In quegli anni – continua Nicola – la sportiva di Wolfsburg era un sogno per la stragrande maggioranza dei giovani e non solo, ma il prezzo (8.832.000 lire nel 1980, ndr) la rendeva accessibile solo ai cosiddetti figli di papà”. Il tempo scorre, altre estati si susseguono, Nicola si laurea, si sposa e diventa padre, ma il ricordo della GTI non svanisce, cova sotto le ceneri per quasi tre decenni. Infine, nel 2009 ecco l’occasione: sfogliando Ruoteclassiche Nicola legge l’inserzione relativa a una Golf GTI del 1981, bianca, uniproprietario.
Presa per 3.500 euro. “Telefonai subito e scoprii che la vettura si trovava a Rapallo, a circa 180 km di distanza da me. Andai a vederla e la GTI si presentava davvero in ordine, sia di meccanica sia di carrozzeria, del tutto priva di ruggine; un miracolo dopo circa trent’anni trascorsi in una località di mare; il proprietario l’aveva evidentemente conservata con molta cura. Trattai sul prezzo e infine la portai via per 3.500 euro.
Restauro radicale. Qualche preoccupazione a dire il vero l’avevo, perché la percorrenza di circa 185.000 km lasciava presagire imminenti e costosi interventi di meccanica”. E invece tutto fila liscio, tanto è vero che Nicola si gode la sua Golf per un paio d’anni. Poi decide che è giunto il momento di avviare un restauro radicale, più per pignoleria che per reale necessità. “La meccanica non ha dato problemi di sorta; il motore girava ancora così bene che non ha avuto bisogno di nessun intervento particolare. La frizione invece è stata sostituita e l’impianto frenante è stato revisionato. La carrozzeria è stata completamente smontata per essere riverniciata; per fortuna la scocca era sana, solo un po’ di ruggine in corrispondenza del punto di fissaggio di un passaruota e delle cerniere del portellone.
Caccia agli interni. Ho incontrato inaspettate difficoltà a reperire alcuni ricambi per gli interni: ad esempio il rivestimento dei sedili in tessuto a fasce verticali, che dall’agosto del 1980 aveva sostituito quello con disegno scozzese, sono riuscito a scovarlo in Germania solo dopo estese ricerche in internet. Per fortuna nel tempo qualcosa è cambiato e molti particolari sono stati riprodotti da aziende specializzate”.
Come nuova. Il restauro dura circa 6-8 mesi e il risultato è una GTI che sembra appena uscita dalla catena di montaggio e destinata a restare in queste condizioni molto a lungo, anche perché Nicola le ha fatto percorrere non più di 1.000 km all’anno e solo col bel tempo. “Certo non ho più i vent’anni di quell’estate del 1981, tuttavia adesso guido una GTI tutta mia, e non è una differenza da poco…” affermava sorridendo.
Status symbol. Ma come è riuscita la Golf GTI a divenire uno status symbol, un oggetto del desiderio per generazioni di automobilisti, l’emblema delle sportive compatte derivate dalla grande produzione? Quando venne presentata al Salone di Francoforte del 1975 (ma la commercializzazione iniziò solo nell’estate del 1976), la GTI segnò il debutto della Casa tedesca nel segmento delle piccole berline da famiglia declinate in versione sportiva.
Non era una novità assoluta, ma la Volkswagen interpretò tale formula con invidiabile maestria, realizzando una perfetta sintesi tra prestazioni, qualità costruttiva, affidabilità e design. Insomma, la GTI divenne subito il termine di paragone col quale tutti gli altri avrebbero dovuto da quel momento confrontarsi.
Vocazione corsaiola. Gli interventi estetici volti a sottolineare la vocazione corsaiola della GTI (tra cui codolini di plastica ai parafanghi, spoiler anteriore, profilo rosso della calandra, finitura in nero dei paraurti, delle maniglie porte, delle bordature dei finestrini e del lunotto, bande laterali nere sulle fiancate) non appesantivano minimamente l’eleganza della Golf, le cui linee erano state definite da Giugiaro.
Gli interni. Nell’abitacolo spiccavano i sedili sagomati per trattenere a dovere alle andature più disinvolte, il volante sportivo a tre razze, il tachimetro con scala fino a 220 km/h, il contagiri e la strumentazione supplementare nella console centrale con termometro olio e orologio, il rivestimento nero del cielo. Senza contare l’inconfondibile pomello del cambio a foggia di pallina da golf. A un occhio attento non sfuggivano infine pneumatici 175/70HR13 montati su cerchi 5 ½ Jx13.
Il motore. Ma a fare la differenza era soprattutto il motore; i tecnici tedeschi erano partiti dal quattro cilindri di 1.588 cm3 della versione da 75 CV e si erano limitati a poche ma significative modifiche: valvole d’aspirazione maggiorate, camere di scoppio sul pistone e impianto a iniezione meccanica Bosch K-Jetronic. Il risultato fu una potenza di ben 110 CV DIN.
0-100 in 9 secondi. A livello di autotelaio furono introdotti freni anteriori a disco ventilati, servofreno maggiorato, regolatore di frenata, barre stabilizzatrici; molle e ammortizzatori furono rivisti e l’assetto venne ribassato di 20 mm. Le prestazioni erano di tutto rispetto: velocità massima 182 km/h, 0-100 km/h in 9 secondi.
Docile anche per i meno esperti. Una potenza così elevata per 810 kg poteva far pensare a una vettura scorbutica e invece la GTI metteva a proprio agio anche i meno esperti. Il 1.600 infatti rispondeva con docilità anche ai regimi più bassi ed erogava la potenza con invidiabile progressione. I consumi poi erano contenuti: con uno stile di guida brioso bastavano 7,5-8 litri per percorrere 100 km. Alla luce di tali doti non è difficile comprendere il successo della GTI, assurta in breve tempo a vera e propria icona.
Pochi aggiornamenti. Durante il suo ciclo vitale, che terminò nel 1983, furono pochi gli aggiornamenti introdotti a livello meccanico, i più rilevanti dei quali furono l’adozione del cambio a 5 marce nell’agosto del 1979 e la sostituzione del 1.600 con il 1.800 (1.781 cm3) da 112 CV nell’agosto del 1982. A livello estetico, nell’agosto 1978 comparvero i paraurti avvolgenti in materiale plastico, mentre nell’agosto 1980 debuttarono gruppi ottici posteriori di maggiori dimensioni, plancia di disegno inedito, elegante volante a quattro razze e tessuti a bande verticali per la selleria.
Ancora in produzione. Oggi la GTI è ancora in produzione, ma la carica innovativa ed evocativa della prima serie si è persa. Impossibile replicare una vettura del genere, autentica pietra miliare nella storia del marchio tedesco. Nel 1978 Quattroruote scriveva “Una Volkswagen sportiva a iniezione con 110 CV, capace di marciare a 180 km/h… Fino a qualche tempo fa, nell’era delle Maggiolino, una vettura del genere non sarebbe stata neppure concepibile a Wolfsburg”.