Con la primavera che scalda il motore, il desiderio di uscire dal confinamento per il primo weekend “in giallo” sale di giri. Oggi vi proponiamo dieci classiche e youngtimer per programmare un weekend che farà… epoca e fra giardinette o wagon, che dir si voglia, ecco le nostre tuttofare preferite.
Finirà. Sì, prima o poi tutto questo finirà. E tornerà il tempo in cui gli unici colori che conteranno nelle nostre giornate saranno l’azzurro del cielo, il blu del mare, il verde dei boschi. L’immersione nel weekend avrà più gusto, al volante dell’auto classica o della youngtimer giusta. Anche solo per una grigliata o un picnic fuori mano. Il valore aggiunto dello stile lo porterà la scelta dell’auto più appropriata. Ecco un ventaglio di possibilità per un weekend che farà epoca: quale, la sceglierete voi.
Fiat 600 Multipla. Vincente fin dal nome, spaziosa e confortevole per tutti, tranne forse per chi guidava un po’ rattrapito sul volante. La divisa neroverde del taxi anni Cinquanta la vestiva benissimo, ma il bello della Multipla è l’aver anticipato di trent’anni il concetto di monovolume. Può ospitare cinque o sei persone, a seconda della versione e della corporatura. Dentro ci sta tutta una panoplia di famiglie, stoviglie, vettovaglie e teglie per scampagnate memorabili. In alternativa, giocando con le panche posteriori, riesce a caricare 350 kg di merci su 1,75 metri quadri, entro lo stesso passo della 600: miracolo italiano!
Autobianchi Bianchina Panoramica. Altra creatura da boom economico, la Panoramica fu lanciata nel 1960 sull’onda del successo della prima Bianchina. Per avere tanto in così poco, fu richiesto un certo sforzo tecnico: il passo fu allungato di 10 cm, con il motore a sogliola della 500 Giardiniera da 18,7 cv ruotato di 90°. Oltre che più rifinita, la Panoramica era abitabile da quattro persone che di lavoro non facessero il collaudatore di letti. Ed era pratica, grazie al portellone posteriore e al vano bagagli. Per queste e altre ragioni fu prodotta fino al 1969 anche nella versione Decappottabile, con ampio tetto apribile in tela. Il massimo del minimo era la Special, con verniciatura bicolore e motore potenziato a 22 CV.
Mini Minor Traveller. Potreste figurarvi un’utilitaria più snob per stendere il plaid di lana su un prato all’inglese e sorseggiare una sacrosanta tazza di tè? La piccola “woody” con il volante a destra fu lanciata nel 1960 come versione familiare della Mini. Bastò allungarne il passo, fornirla di portellone a doppio battente (ancora oggi sulla Clubman) e aggiungere un che di country incollando un’architettura elisabettiana di listelli in legno sulla carrozzeria. Pare che tale brillante idea di marketing avesse fatto infuriare sir Alec Issigonis, per il quale la funzionalità era tutto. La Mini campagnola era disponibile nella versione Austin Seven Countryman e Morris Mini Minor Traveller, negli allestimenti standard e De Luxe. Dal ’61, la versione “woody” fu affiancata dalla carrozzeria lamierata convenzionale e dal motore da litro nella versione Super De Luxe.
Renault 4. “Renault 4 all’avventura, una macchina supersicura: dalle sabbie sahariane, alle foreste africane”, canticchiava uno spot del 1981. Già negli anni Settanta, legioni di giovani avevano preso alla lettera la vocazione “en plein air” della R4 guidandola lontano dal grigiore delle periferie urbane. Tant’è che nell’autunno del 1975 fu presentata la Safari, che da fuori si distingueva semplicemente per una banda di plastica nera sulle fiancate. Dentro però aveva sedili reclinabili e rivestiti in jersey a bande azzurre, gialle e blu. Volendo, anche il tetto apribile di tela. L’importante era farci stare almeno la tenda, i famosi due amici, una chitarra e… tutto il resto.
Volvo 245. All’inizio degli anni Settanta gli svedesi erano i trendsetter della cultura pop. Avevano gli Abba, Bjorn Borg, Britt Ekland, Pippi Calzelunghe, i mobili in legno di pino chiaro e un welfare invidiato da tutti. Evidentemente non bastava, poiché Volvo sentì di dover dire la sua con la 245, immediatamente eletta a status scandinavo. Faceva figo anche in Italia, pur essendo proposta con la cubatura limitata a 1.986 cc, data la supertassa oltre i due litri. Altro che le salsicce e le costate per la grigliata: potendo, in quell’enorme vano squadrato si poteva caricare un alce, corna comprese. Oppure, aggiungere i due sedili contromarcia, per un totale di sette posti. Tutto questo e il boom demografico spiegano perché la versione SW ha contato per oltre un terzo delle serie 200 vendute.
Mercedes-Benz Serie T (S123). Prima del 1977, l’esigenza di una giardinetta nel listino Mercedes non era mai stata avvertita. C’era giusto la serie limitata W110 Universal, costruita a richiesta da carrozzerie esterne. L’arrivo della W123 Serie T (per Transporter) ruppe la contraddizione in termini e alzò l’asticella per tutti. Questo nonostante le perplessità iniziali: possibile che una Mercedes potesse essere utilizzata per caricare qualcosa di diverso dai passeggeri di una certa distinzione? Il mercato internazionale (americano in particolare) affermò altrimenti, per almeno tre ottime ragioni: meccanica a prova di bomba, qualità costruttiva imbattibile e 1.500 litri di capacità con i sedili posteriori abbattuti. Scusi, sa dov’è la strada per Dakar?
Fiat Nuova Panda 4×4. Dio ce l’ha data, guai a chi la tocca; ma provate oggi a cercare a un prezzo terreno uno dei cinquemila esemplari prodotti a partire dal settembre del 1985. In realtà, la sostanza della Nuova 4×4 era la stessa della Panda integrale già in listino, col 4 cilindri in linea anteriore trasversale da un litro e il sistema di trazione Steyr-Puch. La differenza la fanno i molti dettagli di carrozzeria e dotazione. Ecco, magari senza l’eleganza alto borghese della W123T, ma con questa Panda ci si poteva tranquillamente presentare belli infangati a teatro il sabato sera senza il rischio di sfigurare, dopo una giornata trascorsa a razzolare in collina. Bastava saperla interpretare.
Chrysler Town and Country. Se si parla di wagon, impossibile lasciar fuori gli States. La Chrysler Town and Country è l’erede di una stirpe nata nel 1941 con la tipica Woody dell’immaginario automobilistico americano. È più facile reperire a buon prezzo un esemplare della quinta generazione costruita fra il 1969 e il ’73, con i suoi V8 da “there’s no replacement for displacement”. Il nuovo “fuselage design”, dalle linee più affusolate, non ne ha inficiato i volumi navali. Un punto d’arrivo per il cowboy in ognuno di noi, ma attenzione alle versioni post crisi petrolifera che fecero strage di cavalli…
Alfa Romeo 33 Sport Wagon. Il restyling della 33 prima serie trasformò la Giardinetta (appellativo decisamente poco degno della grinta alfista) nella più internazionale Sport Wagon. La versione del 1988 era riconoscibile per l’orgogliosa targhetta cromata “disegno Pininfarina” che brillava sul terzo montante. La carrozzeria aveva riprogettato il volume posteriore e il vano di carico senza tradire la sveltezza e la tensione delle linee. Diciamo allora che la Sport Wagon è perfetta per una gita al parco. Specie se è quello di Monza. Meglio ancora quando il circuito è aperto ai privati…
Renult Avantime. Era così avanti da arrivare prima del suo tempo, “avant time” appunto. Questo concentrato di tecnologia e di personalità travestito da monovolume ha ancora diverse frecce al suo arco. Per esempio il pulsante “grand air”, che apre i finestrini e il tettuccio contemporaneamente, per trasformarla in una maxi-targa. Sensazionale nel 2000, il design è già un piccolo capolavoro di postmodernità. L’abitabilità è garantita per cinque persone, il cane, le ostriche e una cassa di Champagne. Perché la Avantime non ha funzionato, allora? Perché intimoriva: nei consumi del motore V6 tre litri a benzina da 207 cv. E nel prezzo di listino: la Dynamique costava 35.100 euro, per conquistarsi la Privilège ne occorrevano ben 41.000. Anche per l’Avantime, l’estate potrebbe diventare la stagione delle rivincite: il meglio della vita comincia a 20 anni.