Sono passati cent’anni. Attorno al 1922 si cominciò a pensare a una gara di durata lunga ventiquattro ore. Un giornalista era attirato dall’idea di una gara in notturna. Un imprenditore, che si occupava di ruote, pensò invece a una giornata intera di corse. E ci mise i soldi: per il premio e per acquistare delle vetture. Così nacque il Grand Prix d’Endurance de 24 Heures “Coupe Rudge-Withworth”, meglio noto come 24 Heures du Mans. I preparativi furono febbrili, si istituirono diverse coppe e premi vari (col tempo ridotti), si mise a punto il regolamento. Prima edizione, 26 maggio 1923, ore 16 in punto, 33 vetture al via. La cronaca di allora è un’avventura. Tagliano il traguardo trenta, estenuati equipaggi. Cent’anni dopo, il 10 giugno 2023, ore 16 in punto, 62 auto daranno vita all’edizione del centenario.
Alle 16 spaccate. Le curve Arnage, Mulsanne, Tertre Rouge, l’infinito rettilineo di Hunaudières: per chi ha la benzina nel sangue questi nomi sacri evocano subito il circuito de La Sarthe, luogo di culto dove dal 1923 si disputa la 24 Ore di Le Mans, la più famosa gara di durata al mondo. È l’ultima sopravvissuta delle massacranti gare di resistenza che hanno scandito l’epoca d’oro dell’automobilismo sportivo. La formula originaria è rimasta intatta: una gara lunga un giorno e una notte, ventiquattro ore filate durante le quali piloti e macchine si spingono al limite e oltre. Persino la partenza alle 16, tranne rarissime eccezioni, è rimasta la stessa dal 1923.
Facciamo 24 ore? L’idea della “24 Ore” maturò al Salone dell’automobile di Parigi del 1922. Qui, Georges Durand, segretario generale dell’Automobile Club de l’Ouest (associazione sorta nella cittadina di Le Mans nel 1906) incontrò Emile Coquille, rappresentante per la Francia della Rudge-Withworth, nota fabbrica britannica di ruote a raggi a fissaggio centrale, e il giornalista sportivo Charles Faroux. Quest’ultimo pensava a una corsa notturna di sei ore da disputare sul circuito de La Sarthe, per mettere alla prova gli impianti di illuminazione delle auto. L’idea piacque a Coquille, che aggiunse : “Per una gara di quel genere, la Rudge è pronta a mettere in palio una grande coppa”. A quel punto saltò fuori Durand: “Allora, perché non arrivare a 24 ore?”. Nasceva così il Grand Prix d’Endurance de 24 Heures “Coupe Rudge-Withworth”, meglio noto come 24 Heures du Mans. Oltre alla “Coupe”, Coquille mise in palio 100 mila franchi francesi, quanto bastava per acquistare sei vetture torpedo di classe media.
Marketing anteguerra. Poiché l’intento dell’impegnativa prova era quello di stimolare le Case a migliorare le automobili in produzione, il regolamento limitava la partecipazione alle vetture di serie: dovevano avere una carrozzeria da turismo, a due posti se la cilindrata era inferiore ai 1.100 cc o a quattro per le cilindrate superiori (distinzione che andò gradualmente in disuso nel corso degli anni 30). Dovevano essere equipaggiate con parafanghi, predelle, fari, capote, clacson e specchietti retrovisori. Ogni macchina poteva ospitare solo il pilota (una seconda guida era consentita e non vi erano vincoli sull’avvicendamento al volante nell’arco della gara), ma una zavorra di 60 kg doveva essere caricata per ognuno dei posti disponibili (obbligo eliminato nel 1932); inoltre a bordo dovevano essere stipati tutti i ricambi necessari per affrontare eventuali riparazioni, che oltretutto potevano essere effettuate unicamente dal pilota.
Tre gare per una coppa. Si stabilì che l’ambita Coupe Rudge-Withworth fosse triennale: in pratica veniva attribuita a chi avrebbe ottenuto il punteggio migliore in tre edizioni consecutive. Ciò allo scopo di legare squadre e piloti alla gara francese. A complicare le cose, l’anno successivo venne avviata un’altra classifica triennale e lo stesso si fece l’anno dopo. Col risultato che, alla partenza dell’edizione 1925, si schierarono i finalisti della prima “Coppa Rudge”, i classificati della seconda e gli sfidanti della terza. Non basta? Dal 1924 alla coppa triennale se ne affiancò pure una biennale, con lo stesso criterio della prima. Mentre il sistema di premiazione triennale fu subito abbandonato (l’unica coppa consegnata fu quella del 1925), la coppa biennale resistette fino al 1960. Fin dall’inizio si volle legare la classifica a un indice di performance; a tal fine vennero fissate per ogni classe di cilindrata delle distanze minime da percorrere nell’arco delle 24 ore. I partecipanti che avessero accumulato un ritardo eccessivo ai controlli orari previsti ogni 6 ore sarebbero stati squalificati. Dopo mesi di febbrili preparativi, alle ore 16 del 26 maggio 1923 si ritrovarono alla partenza 33 vetture. Le uniche presenze non francesi erano due belghe Excelsior e una Bentley. Il via fu dato sotto una violenta tempesta di pioggia e vento: un incubo per i piloti visto che tutte le automobili erano prive di tergicristallo e, eccetto due Rolland Pilain, con carrozzeria aperta. Il fondo in terra battuta si trasformò in un pantano.
Un circuito di oltre 17 km. Il tracciato utilizzava strade normalmente aperte al traffico ed era lungo 17,262 km (quasi 6 solo per il rettilineo di Hunaudières). Si addentrava nella cittadina di Le Mans fino alla curva di Pontlieue, uno dei punti più pericolosi perché stretto fra le case e affollato di pubblico. Per intrattenere il pubblico durante la lunga maratona furono organizzati concerti, proiezioni cinematografiche all’aperto e, a partire delle undici di sera, persino giochi pirotecnici. Particolarmente apprezzata dai concorrenti fu la zona ospitalità della Hartford (Casa specializzata nella produzione di ammortizzatori), subito ribattezzata “Hartford Hotel”, dove nel corso della manifestazione furono serviti 682 litri di zuppa calda, 50 polli, 450 bottiglie di champagne, migliaia di bottiglie di vino rosso e bianco. La pioggia continuò a cadere fino all’imbrunire, quando i piloti esausti iniziarono a rientrare ai box per i rifornimenti e cedere il volante al compagno di squadra. La prima a tagliare il traguardo fu la Chenard-Walcker di Lagache-Leonard (2209,536 km percorsi alla media di 92,064 km/h), seguita da un’altra Chenard-Walcker (Bachman-Dauvergne). Epica l’impresa della Bentley “3 Litre” di Duff-Clement che, pur essendo l’unica vettura sprovvista di freni all’avantreno, riuscì a stabilire il record sul giro (107,328 km/h) e conquistò la quarta posizione (80,556 km/h di media). Su 33 partenti superarono l’estenuante prova 30 vetture, un record di affidabilità mai infranto. La corsa si rivelò non solo un utile banco di prova, ma anche un’importante vetrina promozionale: prima che le gare endurance perdessero importanza, una vittoria a Le Mans valeva più di un titolo mondiale. In seguito certe scuderie o piloti faranno di tutto per essere in testa alla prima curva (dove verrà realizzato il famoso ponte Dunlop), con la speranza di vedere la propria macchina fotografata sui giornali della domenica. In epoca di sponsor, un altro trucco sarà quello di fermarsi ai box dopo il primo giro, anche per pochi istanti, per essere ripresi dalle telecamere in cerca di scoop.