Nata per promuovere il termine dei lavori del tratto messicano (col patrocinio del governo) della strada Panamericana e gli importatori locali di auto statunitensi, la Carrera Panamericana con un regolamento sleale esclude de facto tutti i costruttori europei di auto sportive. Le uniche in grado di affrontare una corsa in nove tappe, lunga 3.436 estenuanti e pericolosissimi chilometri. Il cavillo esigeva che le vetture fossero di serie, a 5 posti, già prodotte in 50 unità e con ordini per almeno altre 500: Aston Martin, Lancia, Maserati, Porsche erano tagliate fuori, uscite malconce dalla Seconda guerra mondiale. Tranne…
I pochi eroi
Solo due coraggiosi francesi su una Delahaye 175 e due statunitensi su una Jaguar Mk V si fecero sotto, e l’Alfa Romeo, che senza preparazione, iscrisse last minute due 6C 2500S Freccia d’Oro di serie, in regola assommando anche le Sport prodotte prima della guerra. Alcuni partecipanti americani si lamentarono, minacciando di ritirarsi. Richiesta respinta: l’organizzazione era così approssimativa che nessuno fu squalificato, pur gareggiando su colossi yankee dai V8 elaborati in barba al regolamento, con potenza doppia rispetto al vecchio 6 cilindri in linea delle Alfa. Giovanni Canestrini aveva persino raccomandato l’uso della 6C più diffusa ma meno spinta…
Una lenta rimonta
Il 5 maggio, partenza da Ciudad Juárez, confine americano, 35 mila dollari in palio. Tutto era nelle mani delle leggende Piero Taruffi (chassis 916.602, n°90) e Felice Bonetto (916.600, n°103). A bordo con loro i meccanici Ceroli e Bonini, a dare il massimo per spingere le auto allo stremo. Dopo aver montato sui sedili posteriori dei serbatoi ausiliari in un’officina Ford, la gara partì male: la Cadillac di Sterling arrivò prima a 161 km/h di media (simpatico, essendo 155 km/h la sua velocità massima ufficiale), Taruffi 36°, Bonetto 39°. Ma nelle tappe successive la magia Alfa Romeo schiude le ali e le due “Freccia d’Oro” cominciano a riguadagnare terreno, quando i lunghi rettilinei lasciano il posto a strade più tortuose, agevolando la maggiore agilità delle vetture italiane.
Pericolo d’esplosione
La tenuta di strada era però compromessa dall’usura vertiginosa delle gomme Pirelli, di mescola inadatta al rugoso asfalto messicano. Bonetto guidava con la testa, e l’immancabile sigaretta, fuori dal finestrino per tenere d’occhio la gomma, e quando la scorta finì (trasportata da uno scagnozzo assoldato e armato di pistola, che li seguiva con una station wagon), dovettero optare per le locali Goodrich, di mescola più resistente, ma dal battistrada non adatto. La rimonta continuò senza mai arrendersi: Bonetto vinse la settima tappa, la Puebla-Oaxaca di 412 km. Taruffi arrivò 4°, dopo lo scoppio di una gomma a 100 km dal traguardo e, rimasto a secco, recuperando un po’ di benzina dall’auto di uno spettatore.
L’onore è salvo
Epica fu la penultima tappa, la Oaxaca-Tuxtla Gutiérrez, quando Bonetto percorse gli ultimi 10 km sui cerchi, arrivando 26°. L’ultimo giorno di gara, la Tuxtla Gutiérrez-El Ocotal (vicino al Guatemala) con 172 km di sterrato su 275, sancì il loro trionfo: Taruffi 1° e Bonetto 2°, e in classifica generale 4° e 8° rispettivamente, di 47 arrivati su 123 partiti. Questo impose un fondamentale cambiamento nelle regole di gara e alle categorie, aprendo la strada agli altri costruttori europei dall’edizione successiva. Ma la loro fetta di gloria le due “Freccia d’Oro” l’avevano già avuta, entrambe tuttora esistenti e ben restaurate dopo un’oscura vita in Messico, ancora esibendo la livrea della Carrera.