1000 Miglia 2020: il diario di bordo della terza giornata di gara, dagli inviati di Ruoteclassiche.
La Mercedes SL300 numero 1000 entra nella piazza Garibaldi di Parma alle 9.10, seguita dopo pochi minuti dalle prime vetture in gara. Sono in anticipo sulla tabella di marcia, ma non corrono il rischio di essere sanzionate. È il gentile omaggio della direzione di gara dopo la tappa più lunga, più dura e più bagnata della 38esima edizione della 1000 Miglia di Regolarità. La terza è stata anche la giornata più emozionante, quella con le strade più belle: dopo aver lasciato il centro di Roma, la carovana ha accarezzato i laghi di Vico e di Bolsena per imboccare la via Cassia e risalire i paesaggi unici della Toscana. Ieri avevo concluso il diario della seconda giornata in due parole: minaccia pioggia. Mi sono sbagliato sue cose. La prima, è che il maltempo è stata una certezza costante per quasi tutta la giornata, cosa che ha virato l’atmosfera dal romantico, al romanticamente drammatico. L’altra è che non si è trattato di pioggia: è stato rovescio, temporale, scroscio, inondazione. Tregenda, per chi era sprovvisto di tetto. Un po’ per empatia, un po’ per analogia, il pensiero è andato subito alle barchette. Loro, le roadster e le vetture degli anni Venti, accomunate dall’assenza del cielo, inteso come tetto, e dalla mancanza della pietà costruttiva di una capottina di tela.
La sfida agli elementi. È pur vero che il senso eroico di una corsa così dura e titolata si misura anche dalla volontà di vincere prima di tutto gli avversi umori di Giovepluvio. Mentre la Via Cassia si annoda e si snoda con la Francigena, eleggo a icona di giornata la Ferrari 166 Inter Spider Corsa Ansaloni con il numero 138 sulla carrozzeria, di una vernice color del Montepulciano più nobile. È pilotata dall’equipaggio Vega Castro/Vega, uno dei due provenienti dal Messico – l’altro, Vega Serrador/Garcia, corre su 166 Inter Spider Corsa. Entrambe hanno partecipato alla Mille Miglia storica ciascuna in due edizioni, spalmate fra il 1948 e il 1950. Ed eccole qui, sotto la pioggia scrosciante, mentre smitragliano dagli scarichi la rabbia e la gioia di esserci. La 166 Ansaloni minaccia di intraversare una curva su tre, mentre la strada sale fino alla famosa Rocca di Radicofani il picco più alto di tutta la Val d’Orcia e antico punto di controllo del confine tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio. Nelle giornate più limpide, ci diranno più tardi a Siena, è visibile fin dal loggiato del Palazzo Comunale, a decine di chilometri di distanza. Lo scenario incantato sovrasta la corsa di nuvoloni gravidi d’acqua intervallati da improvvisi squarci di luce, che rivelano tratti di cielo azzurro come una ceramica di Luca della Robbia. L’asfalto è grondante e proprio davanti a noi la Ferrari 340 America Spider Vignale argento, che già corse nell’edizione 1952, si gira in una delle tante curve che anticipa Bagni San Filippo. La coda si arena sul fango e i cespugli di un piccolo terrapieno: un po’ di spavento, ma nessun danno a cose e persone.
Lo spirito giusto. Basta un filo sottile d’immaginazione per trasformare l’attraversamento di Altopascio, Montecarlo, San Miniato in un tuffo all’indietro nel tempo, nell’Italia del 1955. Il tricolore pavesato da un palazzo all’altro, i rumori degli scarichi liberi che rimbalzano sulle strette strade dei centri storici, le ali di folla che acclama. L’altra icona di giornata è l’equipaggio olandese Theme/Willemse, che ricambia il calore e l’entusiasmo dei saluti con ampi gesti sulla loro piccola Autobleu 750 Mille Milles, costruita appositamente dalla Carrosserie G.T.R. per la più amata delle corse italiane. Sanno di essere maledettamente fortunati a trovarsi qui e ora, nonostante il tempaccio; e non smettono di condividerlo con chi sa apprezzarlo. È questo, lo spirito giusto. I momenti indimenticabili della giornata si susseguono come in un film. Mentre la radio dà notizie di chiusure imminenti, li riceviamo come regali insperati e preziosi. La salita a Piazza del Campo di Siena schiude lo sguardo alla Conchiglia tappezzata di bianco, rosso e verde tra le file dei bolidi parcheggiati per la veloce, anzi sbrigativa pausa pranzo. Per chi ha velleità di vittoria, podio o anche solo buona classifica, non c’è tempo da perdere. Usciti da Siena torna a scatenarsi l’iraddiddio, che non si placa nemmeno al cospetto delle Mura di Lucca. Una delle prove cronometrate si svolge proprio in posizione sopraelevata, sugli spalti intatti che abbracciano la città, in una pioggerellina di foglie gialle.
Il cielo sopra la Cisa. Il timido sole che accoglie la teoria di vetture sulla passeggiata di Viareggio è utile per prepararsi all’ultimo cimento di giornata, il Passo della Cisa, naturalmente su strada statale. Quando finalmente le prime auto si affacciano a Parma, nonostante le cuffie di pelle, i copricapo e gli occhialoni, si capisce benissimo che il freddo e la fatica di una giornata lunghissima hanno disegnato nuovi, più aspri paesaggi sui volti di piloti e navigatori. Sbircio l’ordine dei partenti da Roma sul brogliaccio di un commissario di gara: su 251 equipaggi, una trentina sono barrati da una croce rossa. Durante il trasferimento autostradale dalla Toscana, abbiamo notato quattro auto, ormai fuori gara, mentre tagliavano il Passo impestato dalle nuvole basse e dal freddo autunnale. Da Viareggio giungeva la notizia di un paio di altri equipaggi in panne. Mentre finisco di scrivere l’articolo, verso mezzanotte, gli ultimi equipaggi non hanno ancora fatto ingresso nel centro di Parma e non è dato sapere quanti sono stati i ritiri. E c’è chi la chiama una passeggiata...