Il breve volo del Pegaso nella triste Spagna di Franco - Ruoteclassiche
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20/11/2020 | di Giosuè Boetto Cohen
Il breve volo del Pegaso nella triste Spagna di Franco
Ascesa e declino della Pegaso, l'azienda spagnola fondata dal nobile Wilfredo Ricart, noto per aver diretto anche la Squadra Corse Alfa Romeo.
20/11/2020 | di Giosuè Boetto Cohen

Un anniversario a cifra tonda (il 70°) e il successo di una miniserie di Netflix ambientata in quel tempo (Qualcuno deve morire), ci riportano alla Spagna della dittatura franchista. Un bel fronte di tempesta per la storia di questa settimana.

In una Barcellona oggi irriconoscibile, nei capannoni cadenti della leggendaria Hispano-Suiza, settant’anni fa stava per nascere una sportiva di razza, ben progettata, carrozzata dai maestri e, oggi come ieri, sconosciuta ai più. Si chiamava Pegaso. Ne furono costruiti solo ottantasei esemplari ma, a detta degli esperti, molti sono sopravvissuti, ed i più belli - alcuni sono pezzi unici – valgono ormai svariate centinaia di migliaia di euro.

L’uomo venuto dalla Spagna. Una delle cose più note della breve avventura della Pegaso (1951-1957) è l’uomo che la cavalcò, Wifredo Ricart (forma concisa di una mezza dozzina di nomi, come ogni aristocratico spagnolo che si rispetti). Ricart, alcuni lettori lo ricorderanno, visse e lavorò in Italia negli anni ’30, divenendo ingegnere capo della Alfa Corse al posto di Vittorio Jano, e incrociando dunque la sua vita con quella di Enzo Ferrari. Al Drake, lo ha ricordato Gianni Cancellieri su Ruoteclassiche nell’ aprile ’19, la cosa non piacque e dedicò alcune righe velenose al “tal ingegner Ricart” piovuto dal cielo, dal capello unto e la mano morta. Con buona pace di Ferrari, punto nell’orgoglio, Ricart progettò all’Alfa Romeo la monoposto 162, con motore sedici cilindri e mai scesa in pista. E anche la più concreta 512, a motore centrale, che si ammira al Museo Storico di Arese e che sarebbe stato bello veder sfidare al Nurburgring le Frecce d’Argento, se non fosse corso l’anno…1940.

Dai camion alle sportive.Terminata la guerra e la parentesi italiana Ricart fece ritorno nella terra natia, che, rimasta fuori dai destini dell’Asse, stava invece tragicamente regolando i conti con gli avversari politici (si stimano tra le 140 e le 400 mila le vittime della repressione). In questo scenario drammatico, con il Paese ripudiato dal mondo libero, l’uomo che non piaceva a Ferrari fu uno dei fondatori della Enasa (Empresa Nacional de Autocamiones S.A.) e poi, nel 1951, della Seat. Ma proprio all’inizio degli anni Cinquanta la politica di isolamento e autarchia di Franco stava diventando insostenibile. Paradossalmente un’altra guerra – questa volta Fredda – avrebbe portato speranze e scenari nuovi alla Spagna reclusa. L’America aveva bisogno di basi e appoggio in Europa, e la penisola Iberica – strategicamente piazzata e anti-comunista al cubo – avrebbe potuto beneficare di contropartite economiche e forse anche politiche. L’aria dei tempi nuovi (che in realtà arrivarono solo nel 1975) diede sicuramente speranze ai progetti di Wifredo Ricart. Sotto l’egida del cavallo alato, in quello stesso ‘51, fece spuntare la berlinetta Pegaso Z-102: il marchio che firmava camion a corriere si trasferiva sul cofano di una sportiva per milionari.

Autarchica ma non troppo. La vettura nacque autarchica, ma con il supporto di alcuni tecnici ex-Alfa con cui Ricart aveva mantenuto contatti. Motore, telaio e carrozzeria erano prodotti a Barcellona, mentre accensione Bosch, ruote Borrani e freni Lockheed riuscivano, in qualche modo, a giungere dall’estero. Le prime 102 erano però pesanti e poco manovriere, gravate da una carrozzeria in acciaio e un telaio sovradimensionato. Si decise così di chiedere aiuto ai battilastra italiani e francesi, che confezionarono le pelli d’alluminio firmate Saoutchik, Touring e Serra. Anche i telai furono traforati e alleggeriti e le prestazioni migliorarono. A ben vedere l’8V in lega leggera a camme in testa e il retrotreno transaxle - De Dion mettevano la Pegaso tra le vetture più moderne e veloci. Ma i risultati sportivi (Montecarlo, Le Mans, Panamericana) non arrivarono mai. A parte un record di velocità per auto di serie (250km/h) stabilito sull’autostrada Jabbeke in Belgio.

Eccentricità, si grazie. In compenso, i vip in cerca di oggetti stravaganti pagavano volentieri i 15.000 dollari del tempo che servivano a sdoganare una 102. Lo Scià di Persia, il barone Thyssen-Bornemisza, il presidente del Portogallo Craveiro Lopes e quello - meno credibile - della Repubblica Dominicana Trujillo, furono alcuni dei ricconi che si sedettero al volante di una Pegaso. Non indimenticabile nello stile delle sue diverse versioni, fa invece eccezione proprio il modello appartenuto a Trujillo, il cui figlio – lo ricordiamo – sarebbe poi stato brevemente il padrone della Carrozzeria Ghia. L’esemplare è ben noto ai frequentatori dei concorsi internazionali di eleganza e si chiama “Cupola”. A disegnarla non fu un maestro, ma gli studenti dei licei artistici, delle scuole di disegno e del politecnico spagnoli, a cui Ricart aveva chiesto come immaginavano l’auto del futuro. E anche se qualcuno deve aver, alla fine, guidato loro la mano, il risultato fu sorprendente, diverso da ogni altro del tempo e – pur negli eccessi – armonico. Come detto, nel ‘1957 era già tutto finito, con gli stampi, le carrozzerie non finite (per fossero una quarantina) e i disegni venduti al miglior offerente o mandati al macero. Passata la sorpresa, gli stravaganti avevano guardato altrove e il jet set preferiva guidare i soliti cavallini, tridenti, giaguari, che oltre tutto, in pista, facevano faville.

Ultimi fuochi per il “generalissimo”. La Spagna, che negli anni della Pegaso aveva fatto qualche tentativo di aprirsi alla nascente Europa, rimase politicamente al palo. Perché il mondo libero pretendeva le riforme prima dei vantaggi. Ci furono, è vero, l’ingresso all’Onu (1955) e un progresso negli scambi commerciali, dall’Inghilterra alla CEE. Ma l’europeismo di Franco si fermava all’aspetto economico, pressato da una nazione che arrancava per uscire dal sottosviluppo. “Prima un governo libero e poi gli aiuti” dicevano le diplomazie occidentali. “Figli, casa e chiesa” rispondevano i gerarchi di Madrid, mentre continuavano i lavori forzati dei dissidenti, le purghe, l’oscurantismo culturale e ideologico. Negli anni Sessanta, come in quasi tutta l’Europa, arrivò il boom. Meno sonoro, quasi naif se visto da noi. Ma era comunque l’inizio del benessere e la nascita di quella classe media che sarebbe stata fondamentale per impiantare la democrazia. Ma le Pegaso erano scomparse da un pezzo, e nessuno poté più comprarsele. In compenso, due mesi prima di morire, il 27 settembre ‘75 Franco fece ancora fucilare cinque giovani oppositori. Era l’ultimo colpo di coda di una tirannia durata quarant’anni.

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