Bettina, l’amazzone di casa Biasion, ovvero la figlia cavallerizza del pluricampione del mondo di rally, ha appena finito un concorso di equitazione, quando le si avvicina uno, che le fa: “Ma tu non sei mica la figlia di Miki?”. E da cosa nasce subito cosa, perché appena arriva la risposta affermativa, il bellimbusto scopre le carte: “Mio padre ha una Lancia Delta che vorrebbe mostrare al tuo”. È gennaio 2022 e i Biasion sono abituati a essere abbordati con proposte più o meno indecenti (perché, come ribadisce Miki, “mi sottopongono davvero di tutto…”). “La verità è che quando correvo, le macchine le trattavo malissimo”, fa notare il pluricampione di rally, “ma da quando ho smesso, passo un sacco di tempo a scovarle per riportarle agli antichi splendori”. Strana legge del contrappasso, quella di Biasion, per cui ormai è una cosa così normale che sono addirittura le Delta a trovare lui. Anche per interposta persona, come questa volta.
Scienza esatta. La storia di quest’ultimo ritrovamento continua con Bettina che, tornata a casa, ne parla subito al papà. Che prende e va a vedere l’ennesima Delta, senza sapere cosa aspettarsi. Sotto il telone di quel garage nel Padovano c’è un’Integrale bianca, quasi anonima, se non fosse per la targa Torino. Per la precisione TO 21850T. “Perché”, come gli ha insegnato l’esperienza, “le Delta con la targa torinese hanno quasi sempre una storia interessantissima”. Anche per il mondo degli appassionati, ecco perché alcuni falsificano addirittura le targhe mettendo un TO al posto della provincia originale. “Tanto chi è che sa le targhe a memoria?”. Nessuno, Biasion a parte. Che però si aiuta con un manualetto pieno di numeri fortunati: quelli delle combinazioni vincenti di motore-targa-telaio. Perché il collezionismo, come la matematica, è una scienza esatta.
Livrea minimal. Questa Delta Integrale, costruita a giugno 1992 direttamente in Abarth, faceva parte di unanmicro serie di quattro esemplari, realizzati per le ricognizioni dei piloti del Jolly Club (il team che ha raccolto il testimone Lancia dopo il ritiro dell’ufficiale Martini Racing). I fantastici quattro erano: Kankkunen, Auriol, Aghini e Bugalski. “Non so esattamente chi l’abbia guidata, perché non ho ancora trovato alcun documento…”, sembra dire in tono di scusa Biasion, ma poi cala l’asso, “ma sulla slitta di protezione del motore c’è scritto Auriol Terra”. Le peculiarità di questa macchina non si limitano a questo.
Debutto in grande stile. Il bello arriva quando Biasion scopre che il debutto in società di questa Lancia è stato una roba in grande stile. Come soltanto i Motor Show degli anni Novanta potevano esserlo. Tutto comincia quando, a Torino, decidono di portare questa squadra di Delta a Bologna. E studiano una livrea speciale per l’evento cult di quegli inverni padani. Si opta per un look minimal, col nome del pilota che c’è al volante scritto a caratteri cubitali su fiancate e cofano, con una sottolineatura in arancione: che nella Bassa c’è sempre il rischio della nebbia. Il piano era semplice, quanto geniale. Metterle l’una contro l’altra armate (di fior di piloti).
In mano a un campione. Questa, come si capisce al primo sguardo, è quella che toccò allo svedese Björn Waldegård (il primo campione del mondo della storia dei rally nel 1979), che in questa occasione sfidava il beniamino del pubblico, Sandro Munari. Per la cronaca, sulle altre due c’erano Aghini e Cerrato. Il caso vuole che, delle quattro, questa sia l’unica sopravvissuta all’oblio. O all’upgrade, visto che una ha fatto un salto di qualità, diventando una Gruppo A. La fortuna di questo esemplare è stata quella di venir comprato, subito dopo la kermesse emiliana, da un appassionato di Padova che, una volta arrivato a casa, l’ha piazzata in garage. E lì l’ha lasciata fino al giorno in cui c’è stato il “Carramba che sorpresa…”
Vicina a quella di serie. “In Abarth non si erano mai modificate le vetture di serie trasformandole in Gruppo N”, fa notare Biasion, “perché loro facevano solo le Gruppo A, le macchine più specialistiche insomma”. A un certo punto però, per colpa di un cambio del regolamento, si sono detti “vabbè, allestiamone quattro per cominciare, e vediamo come va”. La ricetta era semplice, prendere le scocche di serie di altrettante Delta HF Integrale e rinforzarle con tutti i fazzoletti che si usavano sulle Gruppo A. Sostituire gli ammortizzatori di serie con quelli da competizione e rivedere leggermente la mappatura della centralina.
Tale e quale. Questa Delta, rimasta come Waldegård la lasciò dopo il Motor Show, è un conservato di tutto rispetto (ovviamente la targa è quella originale e il libretto Fiat Auto SpA Abarth pure). Coi suoi 39.000 chilometri e spicci, le plastiche interne sono sostanzialmente nuove, come lo sono anche i rivestimenti di sedili e portiere. A proposito, ci sono ancora le pellicole protettive dei pannelli.
Le modifiche. Tra le modifiche più evidenti non si può non notare il rollbar, ma siccome l’auto serviva per le ricognizioni, il sedile posteriore è stato lasciato (al contrario di quello che succedeva per le auto da corsa, dove le due cose non potevano coabitare). Interessante notare come, per fare in modo che le portiere posteriori si potessero chiudere nonostante l’aggiunta della gabbia di tubi, le maniglie delle medesime, invece che rimosse, fossero state segate a metà. I più esperti, quelli che sanno dove andare a cercare, noteranno anche i rinforzi su spigoli e giunture, soprattutto nella zona dei montanti del parabrezza e dell’attacco delle sospensioni.
Meglio tenerle in Italia. Questa peraltro non è che l’ultima di una lunga serie di Lancia Delta “firmate” Biasion. Auto di grande valore collezionistico e storico che di solito finiscono in ogni parte del mondo. A cominciare dall’Olanda, per non parlare dell’immancabile Inghilterra, dove sono appassionatissimi. O addirittura del Giappone, dove c’è un commerciante di auto storiche italiane, in attività dalla fine degli anni 90, che si chiama Garage Italya.
Un pezzo di storia. “Sì, scritto proprio con la Y. A loro ho già dato un paio di macchine. Ma alla fine mi spiace mandarle all’estero: perché per l’esportazione devo rottamare le targhe. Insomma, sono costretto a buttar via un pezzo di storia. E vedere su una Delta che ha vinto a Montecarlo con la targa Torino una targa giapponese è un po’ un pugno in un occhio, no?”. Morale, Miki cerca di tenerne in Italia il più possibile. Ogni riferimento a questa “Waldegård” è puramente casuale. O forse no?