Scrivere questo articolo è per me una sorta di déjà-vu, per vari motivi. Forse il principale è il ricordo del primo modello uscito ormai quasi vent’anni fa, nel 2003, quando avevo 19 anni. Della Porsche Cayenne m’innamorai immediatamente. Ero un pischello, ma ricordo vividamente l’energia dirompente con cui questa Suv scosse il mercato, la prima luxury sport utility della storia. A dire il vero, la BMW X5 venne lanciata poco prima, ma il “turning point” che sdoganò definitivamente le fuoristrada trasformandole anche in veloci sport utility (e di fatto creando nella testa delle persone una nuova categoria) avvenne quando Wendelin Wiedeking, l’allora ceo di Porsche AG, annunciò l’uscita di quest’auto.
La salvezza del brand. Un’automobile criticatissima, ma vendutissima. Salvò la Porsche e di ciò tutti gliene devono dare atto; anche solo per questo fatto andrebbe considerata un’ottima auto. Il secondo motivo è perché ho già scritto un articolo sulla Cayenne prima serie, sul mio esemplare personale per essere precisi, provato in pista a Vairano… Eh sì, perché la Porsche Cayenne Turbo S con i suoi 521 CV dice ancora la sua sui tracciati (piccoli e non troppo veloci), ma soprattutto nel fuoristrada, dove proprio la prima serie sta ritrovando una seconda giovinezza. Complici i prezzi ancora abbordabili (anche se negli ultimi anni sono pressoché raddoppiati) e doti “fuoristradistiche” più che valide.
Febbre americana. Il gioco preferito dagli americani, ormai in piena febbre restomod, è di trasformarle in “Safari” ovvero rialzarle, cambiare sospensioni, freni e pneumatici. Anche questo fenomeno dilagante ha fatto impennare le quotazioni. Da noi è più difficile, per i soliti temi omologativi, ma… forse ci sarà una sorpresa. Ci stiamo lavorando. Dunque, dicevamo, un oggetto con grado d’ingegneria sconosciuto alle auto moderne. Di Mercedes negli Anni 90 si diceva “over engeneered” ovvero sovra ingegnerizzata. Debbo dire che ho riscontato la stessa filosofia nella mia Turbo S. Dopo un anno di utilizzo e 15.000 km percorsi non potrei essere più contento. Non si è rotto nulla, nemmeno un led né una lampadina e posso dire di averla strapazzata parecchio. E poi va fortissimo, tocca ancora i 275 km/h, che per una Suv di quell’epoca sono come i 400 km/h della Bugatti.
Amore profondo. Negli anni le ho possedute un po’ tutte, anche la diesel con cui, in famiglia, abbiamo percorso circa 200.000 km. Insomma, un amore profondo, fedele e duraturo nel tempo. Ciò che ahimè ho notato con il passare del tempo è la diminuzione della qualità costruttiva, o per meglio dire dei materiali, che nella prima serie sono praticamente indistruttibili (e il tempo lo testimonia): è come se anche Porsche si fosse allineata alla necessità di sacrificare la qualità della componentistica non visibile (ma percepibile) per seguire la logica della massimizzazione estrema, e a volte non necessaria, del profitto.
Scorciatoia alla meccanica. Nemmeno la nuova Cayenne è esente da tale paradigma. Paragonata alla prima serie ha molta più elettronica, che ormai sappiamo essere una scorciatoia alla meccanica, che cambia il carattere di una vettura rispetto a un’altra, ma non ovvia del tutto a scelte tecniche che, anche oggi, premiano la Cayenne progenitrice. La naturale evoluzione della mia Turbo S è la Turbo GT, praticamente una Urus o una Q8 RS con badge Porsche. Ho avuto anche le altre e, secondo me, la Cayenne è superiore in tutto. Come per ogni Porsche agli steroidi, la sostanza in più è molta rispetto alle sorelle Turbo e Turbo S Hybrid, anche se l’estetica accenna appena a ciò che è accaduto alla meccanica. Possiamo tranquillamente dire che la Cayenne GT sia come la GT2 RS per le 911; però questa è comoda.
Un salto in avanti. Ci sono salito dopo aver passato le prime ore del giorno guidando on e off road la mia… e, stranamente, tutto risulta più piccolo. Volante, strumentazione, sedile, pedali… la mia invecchia in un lampo. Dopo le prime curve mi sembra di aver timonato una nave per tutta la mattinata. La GT è un oggetto incredibile, non me lo aspettavo. Non è solo velocità e compostezza, ma, come tutte le Porsche, è setup. Una messa a punto incredibile, superiore a ogni altra auto di categoria. I 640 CV vengono erogati e scaricati con una compostezza quasi virtuale: non ti accorgi della fatica che il telaio compie per gestire cavalli, coppia e peso neutralizzando il sottosterzo e mantenendo l’auto piatta in appoggio, in frenata e in accelerazione. Sul dritto è presente un rollio abbastanza marcato e voluto, che credo serva per avvisarti degli spostamenti di questo pachiderma che, altrimenti, risulterebbe troppo artificiale e poco intuitivo per i meno esperti, che non capirebbero in quali condizioni dinamiche si trovino di volta in volta le oltre 2 tonnellate di questa Cayenne.
Nella modalità “Sport Plus” il retrotreno diventa protagonista di tutta l’esperienza di guida. Da metà curva ci si può divertire con spazzolate, facendola scivolare con l’acceleratore, che sono tipiche delle trazioni posteriori. A tratti mi ricorda la trazione integrale delle BMW M, per me la migliore. Che dire, a volte l’evoluzione si traduce in involuzione o perdita del proprio Dna. Per questo siamo fan del passato, di un tempo a tratti perduto e non più ritrovato. Fan di un’epoca che cerca di riportare una luce nello smarrimento della contemporaneità; nella miopia elettrica. A volte. Ma non sempre. E non in questo caso: la GT è una Porsche fedele al passato che se ne frega del futuro. Sarà sicuramente l’ultima, sì, e per questo ho deciso di acquistarla. Per affiancarla alla prima.
Testo di Tomaso Trussardi