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Al Mauto una mostra dedicata a Scaglietti

Il Museo Nazionale dell’Automobile di Torino (Mauto) celebra l’opera di Sergio Scaglietti, con una interessante mostra dal 31 ottobre al 19 gennaio 2020, ed una conferenza il 18 gennaio prossimo, alle ore 15

Nelle sale in riva al Po sono tornate, in questi giorni, alcune delle vetture simbolo della produzione del “maestro” dei carrozzieri che oggi avrebbe cento anni, uomo di fiducia di Enzo Ferrari, artigiano, industriale, prima indipendente e poi dentro il mondo di Maranello. Accanto ad alcune delle Rosse più preziose (250 SWB e GTB Lusso, 275 GTB, 750 Monza), vetture quasi dimenticate come la monoposto BJC del 1960, mascheroni e “fili di ferro” per intenditori, rari documenti filmati, un’intervista a Piero Ferrari, tanti ricordi.

Un personaggio unico. Sergio Scaglietti, del resto, non era un carrozziere come gli altri. Partito dal nulla e restato umile tutta la vita, per talento innato ed esperienza aveva raggiunto una conoscenza totale del suo mestiere. Che fossero creature sue o nate alla Pininfarina, venivano costruite letteralmente a mano, „col martello e con la forza“ – come ricorda lui stesso in una intervista proiettata al Mauto. Portiere e parafanghi avevano le sezioni auree, come i templi greci, da deformare leggermente anche sul posto, per ottenere quel risultato che sulla carta non sempre viene. Insieme all’idea iniziale, al pari del disegno dei progettisti, più del calcolo degli ingegneri, erano le mani di Scaglietti a sentire la forma e la consistenza della materia. Facendo scorrere le dita lungo le bombature e le tese, capiva se l’alluminio aveva già dato il meglio, o se si poteva osare ancora un poco. E questo, data la sua preparazione di telaista, valeva anche per lo scheletro della macchina, l’acciaio che tutto reggeva.

I dialoghi con Ferrari. Quando parlava con Enzo Ferrari (suo più importante committente, ma non l’unico) di una nuova macchina, i due sembravano completarsi a vicenda. “Ma io ne avevo paura” ammette ancora Sergio in un filmato d’epoca. “Non si poteva dirgli di no. Tuttalpiù potevo azzardare un mah…un forse…” Ferrari portò Scaglietti in azienda nel ‘53, quando quest’ultimo era ancora un piccolo artigiano. 250 GTO, Testa Rossa, 250 LM, SWB e tante delle rosse oggi più quotate, le ha forgiate lui. Diventò una delle poche persone di cui Enzo si fidava. “Il sabato era un rito – ricorda il festeggiato da uno degli schermi della mostra torinese – Enzo cominciava” se poi, Scaglietti, non vai via… io sono in ufficio. Che era come dire: se stai qui anche domenica… è meglio!

Ricordi emozionanti. Ricordano i fortunati che vissero quella epopea, che andare a trovare Scaglietti a Modena era una festa. Ancor fuori dalla fabbrica si iniziava a percepire il ticchettio costante dei martelli, che entrando diventava musica, con il basso ostinato delle presse in sottofondo. E proprio questa “colonna sonora” la mostra di Torino ha ricreato, con una partitura originale di Marco Robino (autore tra l’altro, delle musiche dei film di Peter Greenaway) che accompagnerà il visitatore in tutte le sale. Poi c’era l’altra musica, quella del dialetto modenese strettissimo, il codice con cui Scaglietti e Ferrari si passavano le loro verità. In fabbrica, in pista, nelle interminabili colazioni e cene nelle trattorie perse tra Modena e Maranello. Sergio Scaglietti è scomparso nel 2011, dopo aver intensamente vissuto novantuno anni. Molto, anzi abbastanza, perché la rivoluzione informatica, la simulazione digitale e il nostro mediocre gusto globalizzato cancellassero quella cultura sopraffina e una manualità invidiabile.

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