Alpine-Renault A110: berlinetta francese, stile italiano - Ruoteclassiche
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18/10/2020 | di Giancarlo Gnepo Kla
Alpine-Renault A110: berlinetta francese, stile italiano
La Alpine-Renault A110 è tra le sportive francesi più famose, ecco la sua storia.
18/10/2020 | di Giancarlo Gnepo Kla

La Alpine A110 è tra le più celebri berlinette degli anni 60, agile e leggera conobbe un certo successo nei rally. Il suo fascino senza tempo continua ad ammaliare tutt’oggi: nel 2017, ad oltre 50 anni dal suo debutto è sviluppata dalla Renault una nuova A110 che si ricongiunge idealmente al modello originario disegnato da Giovanni Michelotti.

L'Alpine A110 venne sviluppata da Jean Rédélé e prodotta a Dieppe da Alpine tra il 19621 e il 19771 con motori Renault. La A110 venne presentata al Salone di Parigi del 1962 come evoluzione della A108. Tuttavia, mentre la A108 era basata sulla meccanica della Renault Dauphine, la A110 utilizzava diverse parti meccaniche della Renault 8 Gordini. Lo stilista italiano Giovanni Michelotti tracciò le linee della sua leggera carrozzeria. Questa venne realizzata in fibra di vetro e poliestere e vestiva un telaio portante in acciaio. Come la A108, la Alpine A110 è disponibile in versione berlinetta “Tour de France” e convertibile. La carrozzeria della coupé 2+2 GT4 venne affidata alla carrozzeria Chappe e Gessalin. La A110 è stata tra ultime vetture di serie a montare motore posteriore a sbalzo. Una differenza sostanziale rispetto alla A108 era la parte posteriore allargata, per accogliere il nuovo motore Renault a quattro cilindri. Ciò dava alla vettura un aspetto più aggressivo.

Cuore francese, stile italiano. L'Alpine A110 venne sviluppata da Jean Rédélé e prodotta a Dieppe da Alpine tra il 19621 e il 19771 con motori Renault. La A110 venne presentata al Salone di Parigi del 1962 come evoluzione della A108. Tuttavia, mentre la A108 era basata sulla meccanica della Renault Dauphine, la A110 utilizzava diverse parti meccaniche della Renault 8 Gordini. Lo stilista italiano Giovanni Michelotti tracciò le linee della sua leggera carrozzeria. Questa venne realizzata in fibra di vetro e poliestere e vestiva un telaio portante in acciaio. Come la A108, la Alpine A110 è disponibile in versione berlinetta “Tour de France” e convertibile. La carrozzeria della coupé 2+2 GT4 venne affidata alla carrozzeria Chappe e Gessalin. La A110 è stata tra ultime vetture di serie a montare motore posteriore a sbalzo. Una differenza sostanziale rispetto alla A108 era la parte posteriore allargata, per accogliere il nuovo motore Renault a quattro cilindri. Ciò dava alla vettura un aspetto più aggressivo.

A tutto sprint! La A110 venne proposta originariamente con un motore a 4 cilindri da 956 cm³ di cilindrata, in grado di erogare 50 CV di potenza massima. Alla luce di un peso piuma (poco più di 600 kg), la A110 sfiorava i 160 km/h. Nel 1964 venne adottato un motore 1.1 di provenienza Renault 8: il propulsore “Major” erogava 64 CV, potenzia successivamente fino a quota 86 CV. Dal 1967 la Alpine A110 adottò un più prestante 1.3 Gordini, 1255 cc da 95 CV a 6.500 giri/min. Per le prime esperienze sportive, a fine degli anni '60, vennero adottati i motori in ghisa della R8 Gordini appartenenti alla famiglia Cléon-Fonte. Le vetture da corsa montavano motori simili per cilindrata 1,3 litri (nelle cubature di 1296 e 1289 cc), ma con potenze comprese tra i 72 e i 110 CV in base alle varie categorie agonistiche. Nei primi anni 70 la berlinetta raggiunse la fama dopo essersi accaparrata diverse vittorie nei rally nazionali. Nel 1969, la Alpine A110 venne equipaggiata con un nuovo propulsore con blocco in alluminio: il “Cléon-Alu” già impiegato sulla Renault 16 TS. Con una cilindrata di 1565 cc e dotato di due carburatori Weber 45 Venturi-Weber, arrivava a sviluppare di 125 CV a 6.000 giri/min. Ciò permise alla leggera coupé, indicata come “A110 1600S” di raggiungere una velocità nell’ordine dei 215 km/h, elevatissima per l’epoca. Intanto, la variante 2+2 basata sulla meccanica A110 venne indicata come “A110 GT4”.

Berlinetta internazionale. Oltre alle vetture prodotte nello stabilimento Alpine di Dieppe, alcune versioni dell'A110 sono state costruite su licenza da altri produttori tra Europa e Sudamerica. Ad esempio, dal 1965 al 1974 l'auto è stata prodotta in Messico con il nome "Dinalpin" dalla Diesel Nacional (DINA) di Sahagun, che produceva su licenza anche altri veicoli Renault. A Plovdiv, Bulgaria, la A110 è stata prodotta dal 1967 al 1969 con il nome "Bulgaralpine", dalla partnership tra la SPC Metalhim e la ETO Bulet. Una collaborazione che dette vita anche alle “Bulgarrenault”. In Spagna, la Alpine A110 è stata prodotta dalla Fasa di Valladolid tra il 1967 e il 1978. L’azienda spagnola, fino al 1970 ha prodotto la variante Alpine 1100 con motori da 1108 cc. Dal 1971 al ‘76 la versione 1300 (1289 cc) e nel biennio 1977-78, la 1400 da 1397 cc.

Nave scuola. In poco tempo la Alpine A110 si è creata una solida reputazione gareggiando in tutti i rally nazionale, dove ha conquistato tantissime vittorie e portando al successo diversi dei futuri campioni francesi. Il Gruppo 4 ha permise di apportare molte modifiche, come i cambi speciali Tipo 364 e 353 con ingranaggi conici a richiesta, con o senza differenziale autobloccante, telaio rinforzato con trave di tredici centimetri, triangoli rinforzati, rapporto dello sterzo più diretto, serbatoio centrale, lunotto in plexiglas e paraurti aerodinamico in poliestere. Tra le versioni derivate dalla A110, vi fu anche la A210 che partecipò alla 24 Ore di Le Mans del 1966. Le prime versioni della Alpine fecero anche da "nave scuola" per numerosi aspiranti piloti, alcuni dei quali si affermarono a livello internazionale, come il brasiliano Emerson Fittipaldi, poi approdato in Formula 1. La vettura raggiunse la massima notorietà durante le stagioni 1970-72 gareggiando nel neonato Campionato Internazionale Costruttori, affermandosi come una delle più forti auto da rally del suo tempo.

Montecarlo ’71. Tra le imprese più celebri, la vittoria al Rallye di Montecarlo del 1971, al volante il pilota svedese Ove Andersson. Intanto la Renault acquisì la Apine e il Campionato Internazionale veniva sostituito dal Campionato del Mondo Rally. Nel 1973 Renault si preparava a far man bassa la A110: la squadra corse era composta da Bernard Darniche, Jean-Pierre Nicolas e Jean-Luc Thérier come piloti fissi e "guest star" come Jean-Claude Andruet (che vinse il Rally di Montecarlo del 1973). La Alpine A110 1600S riconfermò le suo qualità vincendo la maggior parte delle gare a cui partecipò. Alpine divenne il primo marchio a vincere il neonato Campionato del Mondo Rally. In seguito, le A110 da competizione hanno ricevuto motori fino a 1,8 litri di cilindrata.

Ultimi fuochi. Nel 1974, la Lancia Stratos spinta da un V6 della Dino Ferrari da 260 CV montato in posizione centrale rivoluzionava lo sviluppo delle vetture da rally. Era la prima vettura progettata appositamente per le gare di questo tipo. La Alpine A110 S invece giungeva alla fine del suo sviluppo, ed era ormai superata. Così come molte altre auto da rally che dovettero vedersela con la nuova berlinetta italiana. In particolare era il motore posteriore della Alpine A110 S a limitare il suo potenziale di sviluppo. L'adozione dell'iniezione non portò ad alcun aumento delle prestazioni. Su alcune vetture venne montata una testata a 16 valvole, ma si rivelò inaffidabile. Anche le modifiche al telaio, come l'utilizzo delle sospensioni posteriori a doppio braccio oscillante della A310 (omologate con la A110 1600SC), non portarono ai risultati sperati.

Senza tempo. A oltre 10 anni dal debutto era prevedibile una parabola discendente nelle competizioni. Con il ritiro dalle corse, la Alpine A110 si preparava ad entrare nella storia come una delle sportive francesi più iconiche e più vincenti del periodo. Nel 2012, in occasione del 50° anniversario della A110, la Renault ha prodotto una concept car chiamata A110-50. La riedizione “moderna” della A110 è stata introdotta dalla Renault nel 2017 e non manca di riconfermare le doti dinamiche della sua gloriosa antenata. A testimonianza del fatto che i miti, quelli veri, non passano mai di moda.

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