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15/12/2021 | di Francesco Mosconi
Audi Avus Quattro: nudo integrale
Motore 6.0 W12, carrozzeria di alluminio, telaio space frame: al Salone di Tokyo 1991 Audi presentava la sua forma di rivoluzione. Si chiamava Avus Quattro.
15/12/2021 | di Francesco Mosconi

Ogni azienda ha, nella sua storia, un punto di svolta irreversibile: per Audi quel punto è stato il Salone di Tokyo 1991. La Avus Quattro®, un prototipo dalle linee irrimediabilmente sexy, portava in dote alla posterità alcune delle novità tecniche che avrebbero caratterizzato le Audi di domani: carrozzeria di alluminio, telaio space frame e motore da 6 litri con 12 cilindri disposti a doppia vu.

Il salone di Tokyo ha sempre abituato i suoi avventori alle più improbabili stranezze: si sa che i nipponici quando si tratta di concept cars (ma non solo), sfoderano tutta la loro incredibile fantasia portando sulle pedane oggetti che non si capisce se arrivano dal passato, dal futuro o siano semplicemente uscite da un film di fantascienza. Nel 1991, l'effetto wow arrivò, invece, da uno dei produttori teutonici da tutti considerato come emblema di rigore e massima sobrietà. Stiamo naturalmente parlando del marchio dei quattro anelli. Stiamo parlando di Audi.

Son nuda anche vestita. Il colpo d'occhio sulla Audi Avus Quattro® è fatale per chiunque la approcci. Frontale spiovente, linea di cintura bassa e passaruota alti, coda lunghissima per alloggiare la prima delle grandi novità che la caratterizzavano: l'innovativo motore W12. Lunga 447cm, larga due metri tondi tondi e alta meno di un metro e venti, la Avus Quattro® pesava soli 1250kg a vuoto, grazie all'assenza di verniciatura e all'ampio uso dell'alluminio. Ispirazione manifesta nelle curve sinuose alternate a rette rigorose alle Auto Union Type C Streamliner, anche loro prive di verniciatura come la loro nipotina Avus Quattro®. Parabrezza, tetto e lunotto sono un corpo unico in cui è integrata una presa d'aria di tipo NACA con la duplice funzione di far fluire l'aria nel condotto che porta al 12 cilindri e contemporaneamente di ridurre al minimo l'attrito aerodinamico. Altre quattro prese d'aria sulla carrozzeria vanno ad aumentare la deportanza sul lungo cofano posteriore. Completano questo look da supercar irresistibile le portiere ad apertura verticale, sfoggiate spudoratamente anche dalla Lamborghini Diablo e dalla Bugatti EB110 in quegli stessi anni.

Conta fino a dodici.L'obiettivo era manifesto: oltre a creare una vettura laboratorio per sviluppare le innovazioni tecniche che avrebbero caratterizzato l'Audi di domani, c'era la voglia di dare garbatamente fastidio a quella lobby di produttori di supercar convinti che, per fare auto veloci e prestazionali, fosse necessaria la trazione posteriore. A smentirli, in realtà, c'era già stata la case history della Porsche 959, ma anche Ingolstadt voleva fornire il suo contributo per la "causa". Nella Avus Quattro® il propulsore è stato collocato alle spalle del guidatore (ma davanti all'asse delle ruote posteriori in modo da avere una equa ripartizione delle masse tra avantreno e retrotreno) in posizione centrale e disposto longitudinalmente, scelta obbligata dovuta principalmente all'ingombro della nuova unità propulsiva: un motore 12 cilindri a W di 6 litri di cilindrata a tre bancate da quattro cilindri ciascuna, con le due più esterne a formare un angolo di 120° e la terza collocata in posizione centrale. Questa sofisticata unità andrà - con le dovute modifiche - ad equipaggiare dal 2001 l'ammiraglia A8 e non deve essere confusa con quella proposta da Volkswagen, che era invece composta da due bancate da sei cilindri ciascuna, accoppiati a tre a tre e derivati dai propulsori VR6. La potenza massima sviluppata dalla Avus era di 509 cavalli a 5800 giri/minuto, dati notevoli se si pensa che una Diablo coeva erogava 492cv ma con un peso di 1575 kg. Riusciva a fare di meglio solo la EB112 con una potenza di 560 cv. La potenza del bolide germanico veniva trasmessa con un cambio meccanico a sei rapporti alla celeberrima trazione integrale Quattro® che tante soddisfazioni aveva già regalato in ambito Motorsport.

Leggera, anzi leggerissima.A favorire una meccanica così certosinamente concepita c'era un'innovazione che sarà poi l'elemento fondante dell'ammiraglia A8 che debutterà tre anni dopo: il telaio ASF, Audi Space Frame. Questo innovativo telaio tubolare è costituito da profilati estrusi in alluminio, prevalentemente a sezione chiusa, connessi tra loro mediante nodi pressofusi. Le lamiere, anch'esse in alluminio, vanno a svolgere una funzione portante e costituiscono il 45% del peso della vettura, che rimane molto minore rispetto all'acciaio e con una riciclabilità cinque volte maggiore, garantendo una rigidità torsionale e flessionale congrua alle prestazioni attese e alla tipologia di vettura.

Pioniera senza futuro.Coraggiosa, divisiva, conturbante e piena di contenuti, la Avus Quattro® non ebbe alcun seguito produttivo sebbene, nelle sue forme sensuali, si trovi in nuce l'architettura delle Audi degli anni novanta e duemila. I contenuti tecnici che ha portato in dote, poi, hanno reso gli anelli di Ingolstadt uno dei brand protagonisti dell'innovazione motoristica degli anni a venire consacrandola sia come icona trendy, sia come auto qualitativamente ineccepibile ed avanguardista. Sarebbe stato bello vedere ogni tanto questa freccia d'argento sorpassarci in autostrada, noi a bordo di automobili molto più consuete. I tempi, evidentemente, non erano ancora maturi per un'entrata dell'Audi nel mondo delle auto ad altre prestazioni. Lo saranno nel 2006 con il lancio della R8, dietro la quale c'è anche lo zampino del Toro di Sant'Agata. Ma questa è decisamente un'altra storia.

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