Bmw M1: la supercar di Monaco - Ruoteclassiche
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29/04/2020 | di Giancarlo Gnepo Kla
Bmw M1: la supercar di Monaco
La BMW M1 nel 1978 rappresentava lo zenit del know-how tecnico e motoristico della Casa di Monaco. In questo articolo vi raccontiamo la sua genesi e il mito.
29/04/2020 | di Giancarlo Gnepo Kla

Negli anni ’70 BMW usciva finalmente da un periodo di incertezze che l’avevano portata a un passo dal fallimento: con la M1, la Casa dell’elica mostrava con orgoglio tutto il suo know-how motoristico e stilistico.

La Bmw M1 venne svelata con grande clamore al Salone dell'Automobile di Parigi del 1978: la linea era opera di Giorgetto Giugiaro, mentre il motore, un classico 6 cilindri in linea, era stato sviluppato dalla neonata divisione Motorsport. L’M1 prendeva spunto dalla showcar BMW Turbo Concept, presentata per le olimpiadi di Monaco ’72. La Turbo Concept era stata disegnata dal “maestro” Paul Bracq, sotto la sua carrozzeria futuristica si celava un 2 litri turbo da 200 CV derivato da quello della Bmw 2002 Turbo. Una particolarità di questa concept era il radar che segnalava il mancato rispetto della distanza di sicurezza, un dispositivo che inizierà a diffondersi 30 anni dopo, e che oggi è disponibile su moltissime vetture. Pura fantascienza nei primi anni ’70…

Porsche nel mirino. Sulla carta la missione della BMW M1 era molto semplice: spodestare Porsche, regina nel campionato GT. Servivano un propulsore potente e un corpo leggero, che per l’occasione venne realizzato in fibra di vetro. Il nuovo reparto BMW Motorsport (divisione “M”) mise a punto un nuovo motore, identificato come M88, un 6 cilindri in linea, bialbero con 24 valvole e una cilindrata di 3453 cm³. Un propulsore a iniezione che nella versione stradale erogava 277 CV a 6500 giri/min. Le caratteristiche della nuova M1 rimandavano chiaramente a un’attitudine marcatamente sportiva: il motore era infatti disposto in posizione centrale longitudinale e prevedeva una lubrificazione a carter secco; il cambio era un manuale a 5 marce abbinato un differenziale autobloccante al 40%. Nel 1978 le prestazioni della M1 erano superlative, pari a quelle delle migliori sportive dell’epoca: la sua velocità massima era di 262 km/h e accelerava da 0 a 100 km/h in soli 5,6 secondi.

Cuneiforme. Per fare sul serio nelle competizioni, non basta un buon motore, a Monaco lo sapevano bene e per questo la M1 riprendeva un'impostazione tecnica da auto da corsa: motore centrale longitudinale, telaio a traliccio tubolare con rinforzi in lamiera, sospensioni a 4 ruote indipendenti con quadrilateri deformabili. Anche dal punto di vista del design, la M1 esprimeva a gran voce la sua fame di prestazioni; il baricentro basso e la l’altezza ridotta del corpo vettura si delineavano in un modernissimo profilo cuneiforme, che traeva ispirazione dalle migliori auto sportive italiane (e inglesi) con motore centrale: a partire dalle Maserati Merak e Lotus Esprit, la mano era la stessa… Secondo i dettami dell’epoca, l’anteriore si caratterizzava per le linee tese a sviluppo orizzontale con il fascione paracolpi che integrava il doppio rene, simbolo della Casa, mentre il logo BMW e i fari a scomparsa erano montati sulla superfice superiore del frontale. Il retro era sormontato dal grande cofano posteriore con una caratteristica “veneziana” in materiale plastico incorniciata da due nervature che terminavano sulla coda. Nella vista posteriore spiccano poi i fanali, ripresi dalla Serie 6 (E24) presentata due anni prima, ma l’elemento più caratterizzante era rappresentato dai due loghi BMW posti al di sopra della fanaleria, alle due estremità del posteriore.

Sinergia italo-tedesca. In rispetto del regolamento FIA, la BMW per ottenere l'omologazione della M1 nel Gruppo 5 doveva realizzare almeno 400 esemplari stradali. Una condizione che obbligò la Casa di Monaco a cercare nuovi partner per poter raggiungere la capacità produttiva richiesta. I vertici dell’azienda tedesca guardarono subito all’Italia, ma a Sant’Agata Bolognese Lamborghini attraversava una grave crisi finanziaria. BMW optò quindi per un piano che coinvolgesse fornitori diversi: la produzione della carrozzeria in fibra di vetro venne affidata a società come la TIR di Cesare Bagni a Reggio Emilia; la tedesca Baur (già sua partner per lo sviluppo di particolari modelli Cabriolet) curava l’allestimento interno e alcune parti meccaniche. L’Italdesign di Giugiaro, oltre ad aver curato lo stile dell’M1, infine, si occupava dell’assemblaggio. Qui giungevano anche il motore, le sospensioni e gli organi meccanici principali messi a punto da BMW Motorsport. Attraverso questa sinergia italo-tedesca la BMW M1 venne prodotta tra il 1978 ed il 1981 in 456 esemplari, 400 stradali e 56 da competizione.

Le competizioni. La BMW M1 venne subito impegnata nel Gruppo 5, spinta da un mostruoso motore biturbo da 3.2 litri denominato M88/2 con potenze comprese tra gli 850 e 950 CV. In questo caso, nell’ottica di un ulteriore contenimento del peso, il telaio della versione da corsa era in alluminio e kevlar, la carrozzeria veniva realizzata in fibra di carbonio e l’aggiunta di nuove appendici ne miglioraravano l’aerodinamica. Nonostante l’impegno della “divisione M”, nel Campionato 1978-79 l’M1 ottenne soltanto due vittorie: al Nürburgring (Germania) e al Salzburgring (Austria). Bmw Motorsport provò quindi a cambiare strategia, iscrivendo la M1 nel Gruppo 4, ma la casa abbandonò anche questa ipotesi in favore di un campionato monomarca ProCar. Tra il 1981 e il 1984 BMW cercò di affermarsi anche nei rally, ma i guasti e il ritiro dalle gare praticamente sistematico obbligarono la Casa di Monaco a rinunciare a questa impresa. Ci riproveranno qualche anno dopo, con più successo, quando la BMW M3 iniziava a far parlare di sè anche nel Gruppo A...

L’arte in corsa
. Le BMW M1 ProCar erano spinte da un propulsore da 3498 cm³, meno potente rispetto al passato, ma capace comunque di erogare 470 CV, sufficienti per farle toccare i 310 km/h… Per l’occasione vennero scomodati anche i grandi nomi della Formula 1: Nelson Piquet, Elio De Angelis, Didier Pironi, Niki Lauda oltre a molti degli altri piloti impegnati nei Gran Prix di formula 1. Soltanto i colleghi di Ferrari e Renault dovettero declinare l’invito: le case non gli concedevano il permesso di gareggiare su vetture BMW per ovvi motivi di concorrenza commerciale. La stagione 1979 venne vinta da Niki Lauda mentre l’anno successivo il gradino più alto del podio venne conquistato da Nelson Piquet. Ma la BMW M1 ProCar è considerata anche la più veloce opera d’arte del mondo: due di questi esemplari rientravano infatti nello speciale programma Bmw “Art Car”. Vetture stradali e da competizione usate come tele da pittura, dipinte da grandi artisti contemporanei. Nel caso della M1, sono il leggendario Andy Wahrol e Frank Stella a realizzare le due autentiche opere d’arte da corsa.

Il mito M1. La Bmw M1 è tra i modelli più evocativi della casa dell’elica bianco blu, manifesto dell’eccellenza motoristica bavarese, è stata sin da subito un’auto da collezione: i soli 400 esemplari la rendono una vettura molto rara e di grande valore. Per celebrare i 30 anni di Bmw Motorsport e la nascita del primo modello realizzato dal “reparto M”, nel 2008 venne presentata la concept car M1 Hommage. La showcar presentata in occasione del Concorso d’Eleganza di Villa d’Este 2008 (patrocinato da Bmw) fonde sapientemente gli stilemi dell’originale BMW M1 disegnata da Giugiaro e della BMW Turbo concepita da Paul Bracq. Elementi distintivi della M1 Hommage sono la copertura del vano motore lamellare e il doppio logo Bmw inserito nella parte terminale della vettura come l’originale M1 di trent’anni prima. Sebbene la Bmw M1 Hommage non abbia avuto seguito commerciale, la BMW i8 prodotta a partire dal 2014 ne riprende alcuni passaggi della carrozzeria come il montante posteriore sospeso ed è oggi considerata come la “supercar del futuro” secondo BMW.

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