Avete presente la prima BMW M3, cioè la serie E30? Bene, scagli la prima pietra chi, nel primo flash della memoria, se la immagina di un colore diverso dall’Henna Rot. O, tutt’al più, dalla sua bella divisa Motorsport bianca-rossa-blu-azzurra per il campionato del mondo Turismo del 1987, messo in bacheca da Roberto Ravaglia. E se pensate alla successiva M3 serie E36, non potete che figurarvela in un Avus Blue Metallic psichedelico o in un Dakar Yellow anticonvenzionale. Se non nell’insostenibile Daytona Violet Metallic, nel quale malauguratamente prima o poi ci si imbatte andando a diporto tra Svizzera e Germania. Macché: per questo servizio troviamo grigia la prima, nera la seconda. Il che, in un venerdì smorto e piovoso sulle rive del Po, ti fa pensare che, forse, sarebbe stato meglio rimanere a letto a leggere “BMW Touren Und Sportwagen” in tedesco.
Unico proprietario. Ma a rivitalizzare animi ed esposimetri ci pensa lo slancio del proprietario di entrambe le M3. La E36 l’ha comprata nuova nel 1995, scegliendo scientemente il colore (e già questo non deporrebbe a suo favore…), mentre la E30 del 1987, acquistata usata nel 2005, è il risultato di una crisi d’astinenza esplosa dopo anni di contrizione per aver venduto la sua prima M3 di quella serie nel 1994, comunque nera. Vabbé, perseverare è diabolico, ma siamo di fronte a un amore genuino che rivaluta ampiamente il personaggio. La E30 – bisogna ammetterlo – anche in grigio eccita e ostenta una distanza siderale dalle altre Serie 3 dell’epoca. È carica, carichissima di sovrastrutture aerodinamiche, ma è tutta roba buona e funzionale. Che non è lì per vezzo, ma perché è necessaria.
La Mercedes nel mirino. Questa M3 fu pensata nel 1985 per far vedere i sorci verdi alla Mercedes 190 E 2.3-16 nelle gare Turismo di Gruppo A, ma per ottenere l’omologazione bisognava produrne 5 mila in 12 mesi consecutivi: una cifra abbastanza alta per imporre l’utilizzo di un modello di grande serie come base di partenza, ma non così alta perché diventasse sanguinosamente antieconomico modificarla per farne un’auto da corsa fatta e finita.
Addio appendici. Rispetto alle 316, 318i e 320i di ordinaria amministrazione degli anni 80 e 90 non ci sono solo alettone, spoiler, parafanghi bombati e, addirittura, montanti posteriori più larghi e inclinati per ragioni aerodinamiche, ma anche un quattro cilindri di 2.3 litri che non ha nulla da spartire con i motori di uguale frazionamento di serie, cambio sportivo Getrag a schema invertito (con la prima “in basso”), sospensioni rivisitate, nuovi freni e perfino un serbatoio di benzina supplementare.
Differenze al microscopio. A confronto con la versione standard, in questo esemplare ci sono i cerchi da 16” anziché da 15”, comunque originali BMW, e l’impianto di scarico in acciaio Sprint con terminali rivolti verso l’alto che, comunque, riprende il design di un optional ufficiale. A dire il vero, inizialmente la M3 serie E30 faticò un po’ a trovare i primi 5 mila acquirenti, perché costava moltissimo (un terzo in più rispetto alla Serie 3 più cara dell’epoca: la 325i Cabriolet), ma quando cominciò a fare sfracelli in pista le vendite presero quota, e il bilancio definitivo di fine 1991 parla di 17.970 unità vendute, comprese le 786 cabriolet realizzate praticamente a mano dal 1989.
Risultato eccellente. Per una vettura così singolare fu un risultato notevolissimo, ma non così incisivo sui bilanci di un grande costruttore come BMW che, quindi, decise di sfruttare la fama della M3 declinandola in un modo commercialmente più sfruttabile con la serie E36 del 1993. Il nero della vettura del servizio stempera le differenze che la distinguono dalle normali Serie 3 dell’epoca, ma anche con tinte più sfolgoranti non sarebbero poi così facili da rilevare, visto che si limitano ai supporti aerodinamici dei retrovisori esterni, alla presa d’aria maggiorata sotto il paraurti anteriore per far respirare il radiatore dell’olio, ai cerchi in lega specifici con raggi doppi e alla riduzione dell’altezza da terra di 31 mm.
Per due cilindri in più. Non avendo una missione agonistica così specifica come l’antenata, poi, la M3 serie E36 ha usufruito del tradizionale 6 cilindri in linea, nella configurazione 3 litri, che è meno compatto, leggero e propenso ai regimi elevati, ma più nobile nell’immagine e pastoso nell’utilizzo. Anche in questo caso la testata è a quattro valvole e, in più, c’è il variatore di fase Vanos sulle valvole di aspirazione, per ottimizzare l’erogazione. I cavalli, in questo caso, sono 286 contro i 200 della E30 ma, in considerazione degli 8 anni che separano un progetto dall’altro, gli 87 CV/litro della prima M3 fanno un figurone rispetto ai 96 della M3 ”bis”.
Adeguamenti importanti. Naturalmente anche la M3 serie E36, oltre alla maggiore complessità meccanica, racchiude adeguamenti importanti a sospensioni, freni e sterzo rispetto alle Serie 3 coeve e questo comportò, al momento del lancio, un prezzo superiore addirittura del 50% rispetto alla più costosa delle sorelle “normali”. Ma si tratta di un’auto ben più sfruttabile e godibile – oltre che meno “impegnativa” nel look – nell’ottica di un impiego quotidiano e la maggiore versatilità è stata all’origine di ben altri numeri di mercato.
Una rude, l’altra dolce. Essendo appetibile da un pubblico molto più vasto, non circoscritto agli aspiranti emuli di Roberto Ravaglia, Johnny Alberto Cecotto ed Eric van de Poele, nei primi due anni di produzione la M3 3 litri fu venduta in più di 29 mila pezzi, ai quali ne vanno aggiunti oltre 42 mila della versione con motore 3.200 costruita tra il 1995 e il 1999. Senza contare che la E36, proprio per la sua impostazione meno estrema, è stata anche la prima M3 disponibile pure a 4 porte, oltre che come coupé e cabriolet. Nell’improbabile ipotesi di farne un uso a 360° gradi, la E36 è sicuramente avvantaggiata anche per un aumento del consumo non proporzionale alla crescita della cilindrata: usandola col piede di velluto si percorrono mediamente 12 km/litro come con la E30, mentre quando ci si vuole divertire si scende a 6 km/litro, anziché 7-8.
In un impiego più occasionale – quindi emozionale – l’M3 della prima ora è inimitabile. Nonostante una posizione di guida stravagante rispetto alle sportive di oggi, col volante grande e troppo orizzontale, sembra di essere seduti direttamente sulle ruote anteriori e questo offre un’intimità uomo-macchina invitante. Manovrare il cambio con le marce invertite all’inizio sembra una sfida che richiede somma concentrazione per non ritrovarsi con gli ingranaggi in mano, ma diventa presto naturale. Il quattro cilindri ha un suono ruvido, che diventa “baccano” solo dopo i 3.000 giri, e la potenza è subito tutta lì a portata di acceleratore. Il servosterzo non ha ovviamente la rapidità di un sistema moderno, ma con soli 1.200 kg da portarsi dietro la M3 serie E30 cambia direzione, accelera e decelera con la frenesia di un kart.
Cautele per l’età. Riservarle le cautele che per la sua età merita è saggio ed economicamente vantaggioso, ma non spontaneo. A creare comunione contribuisce una visibilità anteriore che oggi è utopia, grazie al cofano piatto e al parabrezza verticale, mentre la presenza fissa dell’alettone posteriore grande come una mensola nel retrovisore centrale è un’istigazione a delinquere. Sulla M3 serie E36 si sta più sdraiati, con una posizione di guida moderna ed ergonomicamente corretta e si ha di fronte una plancia perfino troppo fitta di comandi, che fa sembrare monacale l’arredo della E30.
Voce potente. Il suo motore suona ovattato ai bassi regimi, mentre da quelli medio-alti tira fuori esattamente la voce che ci si aspetta da un sei cilindri in linea sportivo. Fluido allo stato dell’arte, sembra perfino un po’ pigro in basso, ma via via che si insiste col gas diventa una furia. La leva del cambio ha la corsa lunga, come sempre sulle BMW, ma è molto precisa. Rispetto alla E30 ci sono tanti chili in più (260) e la differenza sullo scatto breve non è epocale – solo 7 decimi in meno dichiarati sullo “0-100” – mentre sul lungo le differenze aumentano. E il peso maggiore si fa sentire anche sul misto strettissimo, dove la vecchia E30 è più immediata e richiede più polso, ma è anche maggiormente partecipativa, mentre la E36 si dimostra relativamente facile e prevedibile rispetto alle prestazioni assolute delle quali è capace, anche se gli otto anni in più di evoluzione telaistica la rendono più precisa ed efficace.
Saverio Villa