Poche auto sono così francesi e così anni Ottanta come la Citroën BX. Il successo arrivò per le linee tese e spigolose disegnate da Marcello Gandini per Bertone, oltre che per la disponibilità di un ampio ventaglio di versioni, dalla risparmiosa BX11 alla grintosa 4×4 da 1.9 litri.
I parigini sono sempre stati abituati a qualsiasi stranezza, molto prima del coprifuoco alle nove di sera anti-Covid. Certo che quella lontana mattina del 16 settembre 1982, gli automobilisti intrappolati nel traffico dei lungosenna e i turisti sul Trocadero dovevano essersi chiesti cosa contenesse quell’enorme cassa di legno appesa alla Tour Eiffel. Un trasloco del celebre ristorante “le Jules”, una performance d’arte contemporanea? Ogni giorno, la cassa continuava a scendere lentamente. Finché sabato 25 settembre toccò terra e permise alla stampa specializzata riunita intorno a Jacques Lombard, direttore generale di Citroën, di scoprire la nuova Citroën BX. Era la prima di una nuova generazione di berline del Double Chevron, una svolta per Citroën sotto diversi punti di vista.
Da Bertoni a Bertone. La prima novità era nel design, frutto della collaborazione tra il Centro stile Citroën di Vélizy e la Bertone. La volontà di rinnovare profondamente il proprio stile aveva portato la Casa francese a indire una gara internazionale. La vinse un altro italiano dal cognome quasi identico a Bertoni, l’autore della 2CV e della DS, ma di fama superiore. Al suo stilista di punta, Marcello Gandini, Nuccio Bertone chiese di concretizzare il lavoro su due concept car precedenti, la Reliant FW11 e la Volvo Tundra. Addio alle linee armoniose e affusolate di CX e GS: la nouvelle vague stilistica Citroën era fatta di linee rette e tese che si incontravano negli spigoli secchi quasi a 90°. La BX era perfettamente sintonizzata con le nuove tendenze stilistiche degli anni Ottanta e gli interni erano di conseguenza, con il famoso volante monorazza e la strumentazione di taglio avveniristico. L’altra novità erano i motori 4 cilindri PSA, in tre varianti a benzina: due di 1.360 cc, da 62 e 72 cv (BX e BX14); la terza di 1.590cc (BX16), capace di 90 cv. I livelli di finizione disponibili erano molteplici e salivano di tono fino alle lussuose versioni TRS. Nel giro di tre anni, la famiglia si allargò ancora, con l’arrivo dei propulsori da 1900 cc Diesel (BX19D) e benzina (BX19). Nel 1985 si unì l’immancabile giardinetta Break realizzata da Heuliez.
Liscia, gassata o 4×4? Il successo internazionale della compatta Citroën fu immediato e internazionale. Convinsero i nuovi 4 cilindri raffreddati a liquido che, uniti alla leggerezza della vetroresina utilizzata per il portellone posteriore, i montanti laterali e il cofano, consentivano consumi limitati. La linea innovativa, nitida e fuori dagli schemi, le doti di tenuta di strada e il comfort delle sospensioni idropneumatiche la consacrarono come una vera Citroën. Alle vendite contribuirono sia il restyling leggermente più aggressivo del 1987, quindi nel pieno del successo commerciale; sia l’ampio ventaglio di versioni (non una novità per il Double Chevron) che si susseguirono nel decennio di produzione. Una di queste fu la BX11, semplificata e risparmiosa nella gestione, allestita per il mercato italiano. Anche se era equipaggiata con il motore da poco più di un litro per 55 cv in versione Diesel e benzina, garantiva il comfort dell’idropneumatica e la sicurezza dei quattro freni a disco servoassistiti. Nella haut de gamme si distinguevano invece la BX19 GTi 16 Valvole, con oltre 160 cv e in grado di toccare i 220 kmh; e le berline e Break 4×4 del 1988. Dopo le ultime versioni speciali Calanque, Image e Millesimé, nel ’91 l’arrivo della nuova ZX provocò il “taglio” delle cilindrate inferiori dal listino. Fra il 1982 e il ‘93, furono costruite oltre 2.135.000 BX, senza contare le versioni commerciali derivate, come la BX Entreprise, prodotta ancora per un anno dopo l’arrivo di Xantia, che dal ‘93 sostituì la BX nella gamma Citroën.