Easy Rider, alla Reggia di Venaria la moto si fa arte - Ruoteclassiche
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19/07/2018 | di Maurizio Schifano
Easy Rider, alla Reggia di Venaria la moto si fa arte
Oggetto da ammirare, per le forme spesso esaltate da tinte sgargianti, da apprezzare per le raffinatezze tecniche, da ascoltare per la melodia del motore. Ma anche strumento per sognare e per liberare l’essenza di noi stessi, più che per conquistare la libertà.
19/07/2018 | di Maurizio Schifano

Oggetto da ammirare, per le forme spesso esaltate da tinte sgargianti, da apprezzare per le raffinatezze tecniche, da ascoltare per la melodia del motore. Ma anche strumento per sognare e per liberare l’essenza di noi stessi, più che per conquistare la libertà.

Questione di filosofia. Tutto questo è la motocicletta, ancor più dell’automobile. Nel suo primo libro, il notissimo “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, del 1974, lo scrittore e filosofo Robert M. Pirsig la definisce “un sistema di concetti realizzato in acciaio”; nella mostra Easy Rider - Il mito della motocicletta come arte”, inaugurata martedì 17 luglio alla Reggia di Venaria, oltre 50 esemplari, di ogni tipo e categoria, secondo un criterio sostanzialmente nuovo, “dialogano” con opere d’arte contemporanea, tra riferimenti espliciti e suggestioni indirette.

I temi affrontati. Nove le sezioni espositive, collocate negli spazi della Citroniera delle Scuderie Juvarriane della Reggia: Stile, forma e design italiano; Il Giappone e la tecnologia; Mal d’Africa; La velocità; Sì, viaggiare; London Calling; il mito americano; Terra, Fango e Libertà; la moto e il cinema.

Italianità. Nella prima sezione, spiccano, agli estremi, la Vespa, a rappresentare il design funzionale della Ricostruzione, e la muscolosa MV Agusta F4 Serie Oro; a fronteggiarle, la Moto Guzzi GTW 500 appartenuta al pittore Antonio Ligabue e da lui raffigurata in un autoritratto, anch’esso esposto.

Le giapponesi. Nella seconda sezione, l’attenzione è monopolizzata dalla Honda CB 750 Four e dalla Kawasaki 500 Mach III, le due facce della tecnologia, sviluppata dalle avanguardie giapponesi del dopoguerra, che alla fine degli anni 60 surclassò di colpo quella europea e quella statunitense, trasformando la motocicletta da mezzo di trasporto e da corsa in strumento di divertimento, ma anche di ostentazione.

Pronte a ogni sfida. Nella terza sezione, si celebra il rally Parigi-Dakar , immaginato alla fine degli anni 70 da Thierry Sabine come una “scuola di vita”, che racconta al meglio la terribile attrazione del deserto africano. In evidenza, le grandi moto da Enduro protagoniste di questa gara furiosa, come la Yamaha Tenéré e la BMW R80 GS, ma anche la Honda Africa Twin e la Cagiva Elefant; a contorno, l’istallazione con polveri di spezie Sulle vie del Sahara di Medhat Shafik, e, su una parete, il quadro Miraggio di Mario Schifano.

Il mito della velocità. Nella quarta sezione, si distinguono la MV Agusta 500 GP 3 cilindri di Giacomo Agostini e la Yamaha YZR M1 di Valentino Rossi, a rappresentare due epoche della massima categoria della gare di velocità su pista, mentre su un mega schermo compaiono le frasi più celebri pronunciati da tanti grandi campioni.

Il sapore della libertà. Nella quinta sezione, la Vespa PX 125 del raid Roma-Saigon compiuto nel 1992 da Giorgio Bettinelli e l’Harley-Davidson guidata da Roberto Parodi nel raid Milano-Cape Town del 2012 testimoniano come nulla più del viaggio su due ruote rappresenti il segno della liberazione individuale e sociale.

Si gioca Inghilterra - Giappone. Nella sesta sezione, la BSA Gold Star, la Matchless G80, la Norton Commando le Triumph Bonneville e Trident testimoniano gli ultimi fuochi dell’industria motociclistica inglese colpita alla fine degli anni 50 dal termine della prosperità economica seguita alla disgregazione dell’Impero Britannico e poi, alla fine degli anni 60, dalla superiorità tecnologica delle maximoto nipponiche.

American style. Nella settima sezione, si esalta il viaggio a cavalcioni di una moto, soprattutto negli Stati Uniti, come on the road dell’anima, alla ricerca del senso di ogni cosa, con la certezza che, citando Robert M. Pirsig, “solo lungo i fianchi della montagna e non sulla cima si sviluppi la vita”. Se Pirsig guidò sempre e solo una BMW, esposte in questa sezione ci sono naturalmente solo Harley-Davidson e Indian, mentre sulle pareti spiccano i dipinti di Robert Indiana, Glen Rubsamen e Ida Tursic & Wilfred Mille

Le fuoristrada. Nell’ottava sezione, la Ducati Scrambler, la Montesa Cota e l’Husquarna CR, tra le altre, testimoniano la maniera, per gli appassionati del Cross, della Regolarità, del Trial e dell’Enduro di ritrovarsi nella sopportazione, tra la polvere e il fango, ma circondati dalla bellezza della natura. In un Fuoristrada che sperimenta una libertà altra e diversa. Su una parete, il sorprendente “dipinto” di Aaron Young, creato da una moto frenata, che, sgommando, lascia la sua traccia su una lastra di alluminio.

Le star del cinema. Nella nona sezione infine, le moto protagoniste di alcuni capolavori cinematografici, come la Triumph Thunderbird Duplex del film Il Selvaggio (1953), la Triumph Bonneville del film La grande fuga (1963), ma anche la Vincent Black Shadow del film Nel 2000 non sorge il sole (1956), la Kawasaki GPZ 900 R del film Top Gun (1986) e, naturalmente, il chopper su base Harley-Davidson Hydra Glide del 1949 del film Easy Rider (1969), che dà il nome a una mostra davvero evocativa e avvincente.

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