A poche ore dalla scomparsa di Frank Williams ripercorriamo la vita e le imprese di Sir Williams, uno dei grandi nomi nel firmamento del motorismo sportivo.
Il filmato è lungo mezzo secolo. Contiene i gesti svelti di un uomo sveglio e scaltro, la temerarietà che anima i sogni di un innamorato della velocità, le sagome di macchine che hanno segnato epoche asfaltate, i caschi di piloti da battaglia a vita persa, una lunga sequenza di gioie, intense e terribili pure queste visto che raccontiamo di Williams. Anzi, di Frank Williams, un uomo che ha avuto Enzo Ferrari nell’anima, nel mirino, che ha fatto, disfatto, vinto e perduto, soffrendo fisicamente e assistendo, in questa sua lunga vecchiaia, alla fine del proprio regno.
I grandi successi. Il conto, considerando anche questi ultimi anni di magre, è imponente. Nove titoli costruttori vinti tra il 1980 e il 1997, sette titoli piloti conquistati con Alan Jones (1980), Keke Rosberg (1982), Nelson Piquet (1987), Nigel Mansell (1992), Alain Prost (1993), Damon Hill (1996) e Jacques Villeneuve (1997). In aggiunta, 128 pole position, 114 vittorie, 311 podi, 132 giri veloci. Abbastanza per osservare con una amarezza fonda, la fine di questa avventura: team ceduto ad un fondo americano, vale a dire ad una entità carica di denari ma sprovvista di storia, di quella passione che ha scandito i passi dell’ultimo grande team inglese. “Garagisti”, come li chiamava il Grande Vecchio, capaci di complicargli molte domeniche. Con Sir Frank in testa. Legato a uomini capaci di comprenderlo, di interpretarlo, di trasformare un’ambizione in una magnifica concretezza, a cominciare da Patrick Head, fisico massiccio, modi spicci, una testa finissima, il primo complice, il braccio tecnico del team, un progettista di rara qualità.
Genesi di una grande passione. Stiamo parlando di una storia che contiene il fascino primo, quelle immagini vaghe e magnifiche di un Inghilterra immaginata moltissimo e vista poco o niente, dentro le quali giovani ragazzi correvano tra le corde di un’arpa d’erba verde e identica al colore di carrozzerie strane e filanti. Un mondo a parte, costellato di marchi da storpiare nella pronuncia, di figure che la nostra esterofilia fresca consegnava, gonfiate, alla fantasia. Piloti dal coraggio immenso, morti presto, lanciati sempre. Uno scrigno che deve aver avvolto anche lui, il giovane Francis Owen Garbett Williams, nato a South Shields, contea del Tyne and Wear, lassù, verso il mare del Nord, a pochi chilometri dal confine scozzese, 16 aprile 1942. Padre ufficiale della RAF, madre maestra. Una Jaguar (ah, la Jaguar!) per il primo contagio, la voglia di correre che prende un ventenne, le mani dentro i motori per capire, costruire, trafficare, muovendosi tra i circuiti britannici prima, europei poco dopo.
Le prime corse. La creazione del Frank Williams Racing Cars data 1966. Piccolo team, piccole monoposto, piloti destinati a farsi notare. Piers Courage soprattutto, un giovanissimo Richard Burton, destinato ad altri film, nel vero senso della parola. Già allora Williams era una figura nota in ogni paddock. Compreso quello di Monza. Mario Acquati, un signore del motorismo, il primo a vendere le bellissime, ambitissime tute “Linea Sport” ai piloti, animatore di libreria motoristica, vero e proprio covo di appassionati, lo ricorda abile e attivissimo in compagnia del suo amico Ron Dennis, ex meccanico, un altro ragazzo destinato a grandi imprese da corsa. “Dennis importava soprattutto gomme della Goodyear, Williams era più specializzato in ricambi da corsa, pezzi realizzati in Inghilterra da vendere qui. Non proprio impeccabile negli affari ma abile, altroché”. Williams imparava molto e in fretta, compreso l’italiano, aiutato dal giovane amico Giancarlo Falletti, giornalista, appassionatissimo, con il quale strinse un rapporto che è durato fino ai giorni nostri, mentre era proprio Pier Courage, figlio di un ricchissimo produttore di birra, a sostenere il giovane Frank, insieme all’amico Jonathan Williams, anch’egli pilota (un unico Gran Premio con la Ferrari, in Messico, nel 1967). Insieme avevano messo in piedi una piccola scuderia nel ‘64, l’Anglo-Swiss Racing, esperienza che diede a Frank gli strumenti per continuare come imprenditore da corsa.
Il Circus. Il debutto in Formula 1 data 1969, come team che assembla senza costruire. Telaio Brabham, motore Ford, of course, Courage pilota. Nacque allora la breve collaborazione con Alejandro de Tomaso per dare vita ad una avventura complicata e triste: Courage perse la vita durante il GP d’Olanda e questo lutto cambiò di nuovo prospettive e panorama.
Sogni. E bisogni. La prima Williams, griffata Politoys (ah, la Politoys!) fu allestita nel ’72. Durò pochi chilometri, guidata da Henry Pescarolo. Frank cercava disperatamente sponsor e partner, trovò aiuti da Philip Morris e Iso Rivolta, marchio con il quale gareggiò nel ’73 e ’74. Pochi sorrisi, pochissimi punti. Piloti, una sfilza: Pescarolo, Ganley, Jabouille, Van Lennep, Belso, i nostri Nanni Galli e Arturo Merzario,. Bilancio: fallimento della Iso Rivolta, team ceduto al ricco austriaco Walter Wolf. Voglia di andarsene, di ripartire, di rifondare.
Verso il primo mondiale. La vera Williams nasce da questi affanni. Frank si lega definitivamente a Patrick Head, ex pilota di scarso talento, laurea in ingegneria meccanica, un po’ di pratica con Lola e Huntingdon. Fanno società (Williams 60%, Head 30%), mettono su casa in un ex negozio di tappeti a Didcot, fondano al Williams Grand Prix Engineering. Arrivano i soldi dall’ Arabia Saudita, Head comincia a mettere in pista macchine di primissimo ordine. Prima vittoria nel Gran Premio di casa, addirittura, 1979, Clay Regazzoni pilota. Primo titolo mondiale un anno più tardi, con Alan Jones.
La filosofia appare chiara sin dai primi capitoli. Coppie di piloti fortissime, chissenefrega se litiganti. Niente ordini di scuderia. Il team più forte di ogni interprete (ah, Enzo Ferrari!). Tanto è vero che non ci sono bis individuali nell’albo d’oro piloti.
La grande Williams. Le disgrazie che si accanirono sulla Ferrari diedero il titolo a Rosberg nell’82 ma poi Williams significò per anni eccellenza tecnologica assoluta. Motori onda dall’83 all’87, una parentesi con i Judd nell’88, una nuova avventura felice con i Renault dall’89 al ’97. Abbastanza per dominare il campo spesso e ferocemente, cacciando in pista non soltanto macchine vincenti ma grandi antagonismi. Quello, memorabile, che oppose Nelson Piquet ea Nigel Mansell, insieme alla Williams nel biennio 1986-’87, in lotta permanente, con un Mondiale vinto dal brasiliano nell’87 ed uno perso dall’inglese l’anno precedente a vantaggio di Prost in un pirotecnico finale di partita ad Adelaide. Per rifarsi, Nigel impiegò sei anni, 1992, dopo una tumultuosa escursione in Ferrari.
Gloria e sventura. Si ma intanto la vita di Frank era cambiata. Drammaticamente. Un incidente viaggiando da Nizza verso il Paul Richard, in Francia, la vettura che si ribalta, lui che resta schiacciato, frattura di due vertebre, paralizzato per sempre. Nulla che l’abbia fermato. L’immagine di quest’uomo magrissimo, sofferente ma sempre presente, spinto su una sedia a rotelle tra il motorhome e il box, è vivissima nella memoria di chi ha seguito le corse da allora sino a pochi anni fa. Faceva fatica a fare tutto, era difficile persino disturbarlo per chiedergli una breve intervista, un parere. Ma intanto lì, come un vero capo, un testimone straordinario di un’epoca anche sua. Con Head pronto a tenere in mano le redini di un team con il solito piglio, a custodire ciò che insieme a Williams avevano costruito, aprendo le porte a una raffica di giovani progettisti di talento, compreso Adrian Newey. Bravo, bravissimo ma non autorizzato ad far parte della società. Head, un vero leader, pure lui. Il più bravo di tutti nello spiegare a noi somaroni “come funziona”. A patto che di tecnica si parlasse. Il resto: chiacchiere, roba che non lo riguardava.
Il trionfo di Villeneuve. Le ultime stagioni davvero smaglianti coincidono con i due Mondiali vinti da Damon Hill e da Jacques Villeneuve nel '96 e nel’97 con macchine strepitose, ai danni di Schumacher, agli esordi con la Ferrari. Danni gravi, inflitti soprattutto da Jacques a Jerez con un sorpasso tanto azzardato quanto devastante per Michael, finito nella ghiaia dopo stizzita ruotata al giovane canadese dai capelli tinti di biondo per quel trionfale sipario.
Appuntamento mancato. Prima di allora, tocca parlare di Ayrton Senna che con la Williams avrebbe voluto correre nel 1993, quando invece fu Alain Prost a muoversi d’anticipo con la consueta abilità per accaparrarsi una vettura velocissima e andare a vincere il suo quarto Mondiale, pretendendo di non avere più tra i piedi quel terribile, insopportabile brasiliano. Ayrton arrivò tardi all’appuntamento nonostante fosse stata una Williams la sua prima Formula 1, provata in un test a Donington il 19 luglio 1983 quando era un ragazzino capace di dominare ogni corsa di F.3 e di suscitare la curiosità di mister Frank. La storia a questo punto è nota. Regole nuove per il 1994, un inizio di stagione critico, Schumacher che domina con una Benetton giudicata da Ayrton irregolare. E poi Imola, il Tamburello, il piantone che si spezza. Fine. Seguita da un assurdo processo, tanto lungo quanto inutile. Con un retrogusto amarissimo visto che quel titolo lo vinse Schumacher, appunto, ma in dirittura su Hill, con una mossa più irregolare che accettabile (ah, Ayrton!).
Fine di un’epoca. L’ultima vittoria di una Williams data 13 maggio 2012. Spagna. Pilota Pastor Maldonado, al suo unico centro, un vero personaggio del motorismo. Un lampo, dentro anni complicati dall’epopea schumacheriana e rossa, dalle bizze di un’ennesima coppia feroce, formata da Montoya e Ralph Schumacher, dalla sfortunata avventura di Alex Zanardi. E poi il ciclo Red Bull. E poi il ciclone Mercedes.
Patrick Head si era defilato alla fine del 2011, Sir Frank, ultrasettantenne, ha deciso di affidare le sorti del team alla figlia Claire, terzogenita dopo la nascita di Jonathan e Jamie. La moglie, Virginia è scomparsa nel 2013. Claire, ecco. Un’altra pasta, un altro tempo. Disposta a vendere dopo tratti di sola salita. La storia del Team Williams, in realtà, era già finita da un pezzo. E per molti versi, anche questo è un segno di tramonto più esteso. Quello della Formula 1, per come abbiamo imparato a conoscerla e ad amarla noi vecchi romantici disorientati.
testo di Giorgio Terruzzi