Mentre oggi le Case automobilistiche promuovono l’utilizzo di fibre naturali nelle loro vetture “green”, ottant’anni fa Henry Ford presentò la Hemp Car, un prototipo realizzato in gran parte con materiali derivati dalla canapa. Un progetto modernissimo che si dissolse in un filo di fumo…
“Perché consumare foreste che hanno impiegato secoli per crescere e miniere che hanno avuto bisogno di intere ere geologiche per stabilirsi, se possiamo ottenere l’equivalente delle foreste e dei prodotti minerari dall’annuale crescita dei campi di canapa?”. Può suonare incredibile, ma queste parole non sono state pronunciate da Bob Marley o Greta Thunberg, bensì da un costruttore di auto. E non uno qualsiasi: Henry Ford. Era l’agosto del 1941 quando presentò al mondo il prototipo della Hemp Body Car, che – lo dice il nome – aveva la carrozzeria realizzata con materie vegetali derivate da soia e canapa ed era alimentata a etanolo, prodotto sempre dalla cannabis. Un’auto ecosostenibile? Si può fare, eccome. Henry Ford ci era arrivato addirittura ottant’anni fa. E senza nemmeno il bisogno di fumarsi l’impossibile.
Vedo verde. In effetti, per secoli con la canapa era stato prodotto di tutto, dagli abiti ai cordami e le vele delle navi. Dunque perché non mettere questo materiale vegetale duttile e resistente al servizio dell’industria automobilistica? All’alba della Grande Depressione e fiutando il vento contrario che stava per soffiare sull’America, Henry Ford diede ordine al suo centro ricerche di progettare il prototipo di una macchina economica da produrre e naturale al cento per cento, dalla carrozzeria all’alimentazione e ai consumi, con l’ovvia esclusione del motore e del telaio. Dopo 12 anni di ricerche, Ford presentò il prototipo della Hemp Car (detta anche Soybean Car, l’auto di soia) al Festival di Dearbon, città natale di Ford e sede dell’azienda. Il progetto era assolutamente avanti sui tempi: come suggerisce il nome, la carrozzeria, i finestrini e il parabrezza della Hemp Body Car erano in plastica costituita per il 70% di materiali naturali. Alla bilancia segnava appena 900 chili, contro la tonnellata e mezzo delle altre “sedan” americane dell’epoca. Un filmato dell’epoca mostrava anche l’elasticità e la resistenza della scocca, presa a martellate durante la presentazione. Persino gli pneumatici erano stati studiati ad hoc da Thomas Alva Edison, che per l’amico costruttore ottenne una mescola a base di sostanze naturali – quanto resistente e duratura, non fu mai dato sapere.
Stroncata sul nascere. La difficoltà aguzzò l’ingegno: un’auto come quella avrebbe portato grandi vantaggi, in un periodo economicamente difficile come gli anni Trenta. Il sogno della Hemp Car morì al’alba della Seconda Guerra Mondiale, scoppiata appena quattro mesi dopo la presentazione. A posteriori, fu stroncato anche dalla lunghezza eccessiva della prototipazione e dagli effetti collaterali della canapa indiana, la cui coltivazione fu dichiarata illegale nel 1955 su suolo americano. Eppure la tanto vituperata pianta avrebbe potuto cambiare, forse in modo significativo, l’impatto ambientale di un comparto fra i più inquinanti in assoluto, considerato il consumo di idrocarburi fossili. Ford aveva dato l’esempio e probabilmente altri costruttori l’avrebbero seguito. E immaginatevi come sarebbe oggi, fare il pieno a una stazione di servizio davvero “verde” con il logo illuminato della foglia di marijuana…