Jeep Grand Cherokee: più grande e più Suv - Ruoteclassiche
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15/02/2025 | di Andrea Paoletti
Jeep Grand Cherokee: più grande e più Suv
Se già la Cherokee XJ aveva preso la direzione di quelle che diventeranno le sport utility, la sorella maggiore perfeziona il concetto
15/02/2025 | di Andrea Paoletti

Le auto degli anni 90 sono in pieno boom di rivalutazione, con le sportive a rubare la scena, ma quello che era un mercato ricco e variegato, tra spider, coupé, monovolume, è stato anche testimone di una prima volta. La prima Jeep dichiaratamente urbana e globale, la prima a gettare il seme del gigantesco albero degli Sport utility vehicles. Stiamo parlando della Grand Cherokee.

Suv premium. Lanciata nel 1992 con un’entrata in scena degna di un film di Bruce Willys, ovvero frantumando una vetrina del Naias, North american international auto show di Detroit, la Grand Cherokee era il primo modello sotto la gestione Chrysler, anche se la genesi risaliva all’epoca AMC e il capo progetto, il francese François Castaing, era lo stesso della Cherokee. Pensata come sostituta, finisce per affiancarla, andando a strizzare l’occhio a chi cercava qualcosa di diverso da una station wagon, ma non era disposto ad accettare la scomodità di un fuoristrada, né tantomeno aveva la disponibilità economica per una Range Rover.

Inadatta al turbodiesel. Detto fatto, la Grand Cherokee, con il suo telaio a scocca portante, risponde efficacemente a tutte e tre le esigenze, proponendosi come la più accessibile tra le Suv di lusso (ancora da venire). Dei tre allestimenti, SE, Laredo e Limited, l’ultimo è praticamente full optional, con alzacristalli elettrici, cruise control, volante e sedili di pelle - quelli anteriori anche elettrici e, dal 1996, riscaldati - dettagli esterni dorati, climatizzatore e stereo Jensen. Sarà il più diffuso in Italia, anche se, diversamente dalla Cherokee, non abbinato al 2,5 litri turbodiesel da 115 CV della VM, purtroppo sottodimensionato rispetto a una massa di oltre 1.600 kg e soggetto a surriscaldamenti e a frequenti rotture della testata.

Cilindrate Usa e CV a profusione. Diversa, infatti, la storia con il 6 cilindri in linea di 4.0 litri e 190 CV o il V8 5.2 da 220 CV, abbinati al cambio automatico (mentre per la turbodiesel europea c’era solo il manuale). Soprattutto il secondo, possente e dotato di coppia in abbondanza, ma assetato come pochi, è il complemento ideale, fino a quando, nel 1998, non arriva la versione 5.9 Limited da 245 CV e tetto apribile di serie: una “belva” da 210 km/h che inaugura la stagione delle Suv con velleità sportiveggianti.

Trazione 4x4 per tutti i gusti. A parte i primi due anni di commercializzazione, gli esemplari europei vengono prodotti dalla Magna Steyr, in Austria, specialisti in 4x4 e, parlando di trazione, si parte dal “Command-Trac” ovvero l’integrale inseribile manualmente, oppure Selec-Trac, che invece è permanente, in entrambi i casi abbinati a marce ridotte. Con il V8 5.2 litri debutta il sistema Quadra-Trac a gestione elettronica che normalmente inviava il 60% della potenza alle ruote posteriori, per ripartirlo 50-50 in caso di perdita di trazione.

Solo benzina, anzi Gpl. La produzione termina nel 1998, ma solo per far spazio alla nuova generazione. Contrariamente alla Cherokee, la Grand Cherokee si trova praticamente solo dotata del 4.0 o del 5.2, normalmente con chilometraggi importanti e, spesso, con impianto Gpl, unico antidoto a un rapporto d’intimità con i benzinai. Per un esemplare sano ci vogliono circa 15.000 euro.

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