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Lancia Prisma, una compatta in abito lungo

A tre anni dalla presentazione della fortunata compatta Delta, seguì una nuova berlina media  dallo stile classico e tipicamente “sabaudo”, con la coda e le quattro porte. Una vettura onesta, capace di esprimersi anche in prestazioni brillanti.

Il 1982 è passato alla storia per la vittoria della Nazionale di Calcio durante i mondiali di Spagna, un anno importante per Lancia, che si apprestava ad aggiornare la sua gamma di vetture: uscita di scena la Beta Trevi, debuttava una nuova berlina di classe media. Con la “Tipo 831”, i vertici aziendali cercarono di tornare in quello che oggi potremmo identificare come segmento D presentando una berlina molto tradizionale per competere con rivali del calibro dell’Alfa 75, l’Audi 80 e la BMW Serie 3.

Somiglianze. Partendo dall’immagine agile ed elegante della Lancia Delta, Giorgetto Giugiaro riuscì a definire modello con un’identità a sé, in grado di esprimere il nuovo family feeling della Casa. Il frontale era la parte in cui la somiglianza era più evidente ma i dettagli, in primis i fari e gli indicatori di direzione angolari, consentivano di distinguerle immediatamente. Al posteriore spiccava invece una fanaleria rettangolare a sviluppo orizzontale.
A differenza di altre auto derivate dalle hatchback, la linea della Prisma risultò armonica e proporzionata. E ciò contribuì al discreto successo di quest’auto che, soprattutto nei primi anni, fu molto apprezzata dal pubblico.

Gli interni. La Lancia Prisma poteva contare su una buona dotazione di serie, una strumentazione completa e leggibile, oltre alle finiture di buon livello. Proprio nell’abitacolo emergevano le principali differenze con la Delta, riaffermando così il profilo leggermente più elevato della Prisma. Il volante era specifico, così come la plancia mentre per i rivestimenti venne usato un nuovo tessuto.
Nell’equipaggiamento figuravano il vacuometro, l’orologio digitale e, solo sulla versione di punta (la 1600) , il “Check Control”. Questo permetteva di consultare diversi parametri della vettura, persino il livello d’usura delle pastiglie dei freni. Antesignano dei moderni computer di bordo, questo dispositivo iniziò a diffondersi negli anni 80 tra le vetture di prestigio pertanto, su una berlina media come la Prisma, era considerato una vera novità.

La tecnica. La produzione della Lancia Lancia Prisma venne affidata agli stabilimenti Lancia di Chivasso (To) e quello Fiat Rivalta (To), dividendosi in due serie: la prima dal 1983 al 1986 e la seconda, dal 1986 al 1989. La gamma iniziale prevedeva i 1.3 e 1.5 a carburatori, già in uso sulla cugina Fiat Ritmo, accreditati rispettivamente di 78 e 85 CV. Al vertice, il 1.6 bialbero da 105 CV sempre a carburatori.
Dal punto di vista tecnico, la Prisma rispecchiava il layout delle moderne tutto avanti, con motore trasversale e trazione anteriori. Le sospensioni erano indipendenti sulle quattro ruote, con schema MacPherson e barra stabilizzatrice.

Peso piuma. La reattività dei motori otto valvole, con carburatori a doppio corpo Weber (a corpo singolo sulla 1.3) era superiore a quella delle auto odierne, spesso “imbrigliate” dall’elettronica e dai catalizzatori, pertanto la Lancia Lancia Prisma si rivelò molto fruibile e piacevole da guidare. Infine il peso contenuto, nell’ordine dei 1.000 kg, contribuiva a rendere agile e brillante la Prisma, anche nelle versioni d’ingresso. Ad esempio, la “Prisma 1600” poteva sfiorare i 180 km/h accelerando da 0 a 100 km/h in 10,2 secondi.
Dal 1984, le motorizzazioni a benzina vennero affiancate da due unità a gasolio da 1,9 litri, presenti anche sugli altri modelli del gruppo Fiat e declinati nelle varianti aspirata (65 CV) e turbo “ds” (80 CV). Quest’ultima disponibile dal 1985.

Secondo atto. Nel 1986 venne presentata la seconda serie, intanto la Lancia Prisma si assestava su una produzione di oltre 200.000 unità. Esteticamente vennero apportate delle lievi modifiche che non snaturarono l’immagine: vennero montati dei nuovi paraurti, più avvolgenti, una griglia più ampia (e in rilievo) oltre a nuove grafiche per la fanaleria posteriore.
All’interno venne aggiornata la plancia e installato un nuovo impianto per la climatizzazione. Sulle restyling venne leggermente modificata la nomenclatura delle etichette: per esempio, si passava da “Lancia Prisma 1300” alla notazione abbreviata  “Lancia Prisma 1.3”.

Arriva l’Integrale. L’offerta delle motorizzazioni si arricchì del 1.6 i.e. (109 CV) e del 2.0 i.e. (da 116 CV), montato sulla Prisma 4WD con trazione integrale. Quest’ultima, dal 1987, venne commercializzata come “Integrale”. Trattandosi di un allestimento di alto profilo, il marketing pensò ad una leggera diversificazione: ecco quindi le targhette d’identificazione replicate sulle finiture laterali e la vistosa verniciatura bicolore, disponibile nelle tinte Grigio Chiaro e Grigio Medio, Bordeaux tono su tono, Platino e Marrone.
La nuova top di gamma spiccava anche per la meccanica raffinata: al motore due litri venne abbinata una trasmissione con trazione integrale permanente dotata di tre differenziali. Di questi il centrale era di tipo autobloccante, collegato a un giunto viscoso Ferguson. Con queste prerogative la Prisma Integrale poteva sfiorare i 185 km/h, coprendo lo 0-100 in 10,5 secondi ma soprattutto, poteva vantare una tenuta di strada invidiabile su fondi scivolosi.

Una Prisma molto speciale. Nel 1988, giunta a fine serie, la Prisma venne proposta nel ricco allestimento LX, abbinato solo al motore 1.5 e inclusivo di Check Control, chiusura centralizzata, alzacristalli elettrici, poggiatesta e rivestimenti in tessuto a quadretti.
Parlando di modelli speciali, va menzionata la “fuoriserie” realizzata per l’allora Presidente di Fiat Auto Gianni Agnelli. Questo esemplare unico venne sviluppato dalle maestranze Abarth ed era equipaggiato con la meccanica della Lancia Delta Integrale. Sotto il cofano c’era dunque lo stesso cuore della regina dei rally, il noto due litri turbo da 200 CV. All’interno figuravano optional specifici, come gli opulenti rivestimenti in pelle Connolly e il volante sportivo Nardi con corona in legno. Dotazioni più “ordinarie” erano invece i vetri elettrici, il retrovisore destro, il climatizzatore, il servosterzo e i cerchi in lega.
Per la carrozzeria, l’Avvocato scelse il classico Blu Ministeriale: un colore che all’epoca non destava troppa attenzione, del resto questa era una delle auto che Agnelli usava per i suoi spostamenti privati, situazioni in cui preferiva non dare troppo l’occhio…

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