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03/03/2025 | di Andrea Paoletti

Le microcar delle origini

Realizzate tra gli anni 50 e 80 erano piccole, anzi piccolissime, ma sfoggiavano soluzioni ingegneristiche interessanti e linee coraggiose

03/03/2025 | di Andrea Paoletti

Sono tornate di moda, in versione elettrica, le microcar pensate per la città: Citroën Ami e la gemella Fiat Topolino, ma anche Renault Twizy, XEV Yoyo, Microlino e tanti altri modelli di piccoli produttori molto attivi in un mercato che sta diventando sempre più ricco di opzioni. Ma anche in passato non mancavano soluzioni a tre e quattro ruote che sfoggiavano design avveniristici e soluzioni meccaniche ingegnose.

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LE MICROCAR DAGLI ANNI 50 AGLI ANNI 80

Inter Autoscooter 175A. Direttamente dall’industria aeronautica - la S.N.C.A.N. (Societé Nationale de Construction AeroNautique) - ecco infatti la Inter 175A, una microcar francese che sembra una carlinga con le ruote, presentata al Salone di Parigi del 1953 e prodotta nell’arco di tre anni in circa 300 esemplari. Al posto dello sterzo c’è una cloche, ci si siede in tandem come su un cacciabombardiere e il motore, posteriore, è un due tempi da 175 cc e circa 8 CV.

Messerschmitt KR200. Ancora meno dubbi sulle origini - la Messerschmitt durante la 2a Guerra Mondiale produceva il famoso caccia Bf 109 - per questa auto di piccole dimensioni, in tedesco Kabine Roller (KR, da cui il nome). Anche qui comandi a metà tra un aereo e una moto, da cui proveniva il motore, un Fichtel & Sachs due tempi da 191 cm3 che permetteva di toccare i 100 km/h. Prodotta fino al 1964, fu un grande successo in Germania e nel Nord Europa.

Fuldamobil S7. Rimaniamo in Germania per quella che, rispetto alle precedenti, è molto più “macchina”. La Fuldamobil, prodotta in vari modelli tra il 1951 e il 1969, pesava solo 318 kg e in poco più di 3 metri poteva ospitare due adulti e, sulla panchetta posteriore, bagagli e bambini. La settima generazione adottava una carrozzeria di vetroresina ed era spinta dallo stesso motore della Messerschmitt KR200.

BMW Isetta. L’auto che ha salvato la BMW dal fallimento è un progetto italiano, della Iso Rivolta. A partire dal 1955 infatti, la Casa tedesca iniziò a produrre su licenza una delle prime “bubble car” della storia, equipaggiandola con il monocilindrico 4 tempi da 250 cm3 (poi 300) della moto R25. La Isetta poteva raggiungere gli 85 km/h e con soli 2,28 metri di lunghezza era praticamente imbattibile nei parcheggi, oltre a essere l’unica con due posti affiancati e ad avere l’originalissimo portellone anteriore.

Peel P50. Conosciuta ai più per essere stata guidata dentro gli uffici della BBC da Jeremy Clarkson, si fa fatica a considerare la Peel P50 una vettura, nemmeno una microcar. Pesa, infatti, meno di una persona adulta (59 kg) ed è cortissima, solo 1 metro e 34, motivo per il quale può ospitare una sola persona: mossa da un monocilindrico DKW da soli 50 cm3, può raggiungere i 60 km/h, ha tre marce, ma non la retro. Un esemplare ha raggiunto i 170.000 euro a un’asta nel 2016.

Casalini Sulky. Presenza abituale nelle città italiane tra gli anni 70 e 80, il Sulky - nome che identifica i calessi utilizzati nelle gare di trotto - è l’antesignano dei moderni quadricicli leggeri. Poteva infatti essere guidato a partire dai 14 anni grazie al motore Minarelli due tempi da 50 cm3 (popolarissimo sui “tuboni” come College e Fifty) che riusciva a spingere i due passeggeri fino a 40 km/h come da codice. Le sue caratteristiche: tre ruote, 2,40 metri e linee squadrate che l’hanno reso inconfondibile.

Bond Bug. Non c’entra niente l’agente segreto più famoso del mondo, anche se il design avveniristico e da sportiva non lo avrebbe fatto sfigurare in un film di 007. Prodotto in Inghilterra per soli 4 anni, dal 1970 al 1974, aveva un quattro cilindri da 700 cm3 e 31 CV che gli permetteva di raggiungere addirittura i 122 km/h, con la particolarità della carrozzeria di vetroresina di color arancione e l’assenza di portiere, sostituite da pannelli di vinile con vetri di Pvc.

Scootacar. Soprannominato dagli inglesi “cabina del telefono” per il colore (generalmente rosso) e l’altezza di 1 metro e mezzo, sproporzionata rispetto a lunghezza (2,2 metri) e larghezza (1,3 metri), lo Scootacar è stato prodotto tra il 1957 e il 1964. Aveva sia un motore monocilindrico da 197 cm3 che bicilindrico da 250 cm3, con velocità massima rispettivamente di 89 e 109 km/h e la particolarità di avere una sola portiera per far accedere conducente e passeggero.

Glas Goggomobil. Forse la più “automobile” di tutte, per dimensioni e prestazioni, la Goggomobil, prodotta dalla tedesca Glas dal 1955 al 1969, era a tutti gli effetti, una piccolissima berlina a tre volumi con spazio per due persone più due posti di fortuna. Il motore era un bicilindrico a due tempi - progettato e realizzato autonomamente - da 247 cm3 e 14 CV e grazie al peso di appena 386 kg poteva toccare gli 80 km/h. Quasi 300.000 gli esemplari prodotti, comprese varianti coupé e spider.

Reliant Robin. Protagonista di esilaranti sketch di Mr.Bean insieme alla sua Mini, la Reliant Robin, prodotta a partire dal 1973 per quasi 30 anni, è una delle microcar più popolari del Regno Unito. Mossa da un quattro cilindri da 748 cm3 e, successivamente, 848 cm3, dal 1989, con la seconda generazione, ha addirittura assunto la veste di station wagon e van, sempre con le sue minuscole ruote da 12 pollici. Famosa per la sua instabilità in curva, poteva raggiungere addirittura - ma con sprezzo del pericolo - i 137 km/h.

Citicar. Un nome, un programma. Prodotta tra il 1974 e il 1977 dalla Sebring Vanguard in Florida, negli Usa, è una minuscola auto elettrica di 2,4 metri e 570 kg, gran parte dei quali da attribuirsi alle batterie tradizionali da 6 Volt al piombo-acido, presenti, a seconda dei modelli, in pacchi da 6 e da 8 in tagli compresi tra 1,9 e 4,5 kW. La velocità massima era di circa 60 km/h e l’autonomia di 64 km.

Zagato Zele. Rimaniamo sulle elettriche, per una curiosa proposta di un famoso carrozziere italiano. Il nome Zele infatti è l’acronimo di Zagato Elettrica, una microcar prodotta tra il 1972 e il 1976 in tre versioni in base alla potenza. Si affidavano come la Citicar a batterie in serie e l’autonomia massima era di 100 km, con un tempo di ricarica di 8-10 ore. Costava come una Fiat 126, ma con soli due posti e una velocità massima di 40 km/h non ebbe un grande successo.

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Poche risorse, molto ingegno. Alcune di loro sono diventate dei classici, altre protagoniste in televisione, altre ancora sono diventate rarissime e ricercate dai collezionisti. In comune hanno il coraggio dei progettisti e il desiderio di permettere letteralmente a chiunque di avere un mezzo di trasporto dotato di un tetto, a uno, due o quattro posti, con bassi consumi e prestazioni accettabili, o quasi. Facciamo allora un salto indietro fino al secondo dopoguerra, quando i soldi erano pochi, le risorse pure e riconvertire impianti industriali che producevano veicoli militari in modelli civili richiedeva inventiva e molti compromessi. Per scoprire quali sono sfoglia la nostra gallery.

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