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Maserati Karif e Shamal, le più rare e preziose della dinastia Biturbo (Parte I)

Tra la fine degli anni 80 e la prima metà dei 90, le Maserati Karif e Shamal sono state i due modelli al vertice della gamma Biturbo. Entrambe si rivolgevano ad un novero ristretto di fedeli appassionati del Tridente, piloti esperti in cerca delle massime performance ma anche del lusso tipico delle granturismo Maserati. Ve le presentiamo entrambe, raccontandovele in dettaglio in due puntate.

Nella miriade di versioni e motorizzazioni che hanno segnato l’epopea delle Maserati Biturbo, spiccano due modelli prodotti: la Karif e la Shamal. Queste due coupé sportive vennero sviluppate sul pianale accorciato (e rinforzato) della Maserati Biturbo Spyder. La scelta del passo corto assicurava una rigidezza torsionale più elevata e una miglior reattività nei cambi di direzione. Del resto, entrambe si rivolgevano allo zoccolo duro dei maseratisti più incalliti, guidatori capaci di domare vetture dalle prestazioni molto elevate e dall’indole emozionale, sanguigna, tipicamente emiliana. Procedendo con ordine, iniziamo presentandovi la Karif, svelata nel marzo del 1988.

Stile Zagato. La Maserati Karif proseguiva la lunga tradizione che vedeva le “debuttanti” della Casa del Tridente battezzate col nome di un vento. Nel caso specifico, Karif è il nome di una corrente calda che soffia nel Golfo di Aden, tra la sponda somala e lo Yemen.  
La nuova granturismo venne svelata al Salone di Ginevra del 1988, ma nonostante un corredo tecnico importante, ricevette un’accoglienza abbastanza tiepida. La scocca della Karif venne sviluppata dall’atelier milanese Zagato, al pari della decapottabile da cui derivava. Di fatto, la nuova coupé appariva come una Spyder con un hardtop saldato. La Karif riprendeva tutti gli aggiornamenti estetici del “model year” 1988 introdotti sul resto della gamma Maserati: paraurti calandra smussata, paraurti più robusti, specchietti retrovisori aerodinamici e cerchi in lega da 15”. Le volumetrie canoniche della Biturbo vennero estremizzate dal passo corto e dalla presenza di un padiglione molto lineare, con montanti molto sottili. Ne risultò uno stile poco armonico che fece storcere il naso alla critica e alla potenziale clientela. Tuttavia, sottopelle i contenuti erano di alto livello.

Impetuosa. Per quanto riguarda la meccanica, il motore era il noto 2,8 litri (2790 cc) con due turbocompressori e due intercooler della Maserati 228i. Stando a quanto dichiarato dalla cartella stampa Maserati, l’unità guadagnava 35 CV rispetto alla 228, precedentemente omologata, ed era capace di erogare fino a 285 CV e 432 Nm di coppia massima. Con queste specifiche, la Maserati Kharif raggiungeva una velocità massima di 255 km/h, coprendo l’accelerazione 0-100 km/h in meno di cinque secondi.
Il motore della Karif teneva fede alle origini con un’erogazione tumultuosa, accentuata dal “turbo lag” dei motori sovralimentati vecchia scuola. Un diktat di Alejandro De Tomaso che voleva una GT in grado di tenere testa alle rivali più quotate, come la Ferrari 328 GTS e la Porsche Carrera 3.2. I dati, tuttavia, si riferivano alla versione non catalizzata. La potenza del modello con marmitta catalitica “crollava” a 223 CV.

La prova di Quattroruote.
Il cambio era lo stesso ZF cinque marce degli altri modelli dell’epoca, con la prima la prima in basso. Si trattava di una trasmissione sportiva e collaudata, ma come riporta la prova di Quattroruote del marzo 1988, non esente da qualche impuntamento. Durante il test, lo sterzo (servoassistito) venne indicato come preciso e leggero, anche se non molto diretto. Buona la tenuta di strada: il rollio contenuto e il telaio più solido accentuavano la maneggevolezza della Karif, con un buon equilibrio tra comfort e stabilità. Con un peso a vuoto di 1281 kg, il rapporto peso-potenza molto favorevole garantiva prestazioni di rilievo e una guida coinvolgente.

Educata o scatenata.
Messa alla frusta la nuova GT richiedeva impegno e perizia. Il passo, accorciato dagli originari 2514 mm della Maserati Bitubo Coupé ai 2400 della Spyder, portò ad una diversa ripartizione dei pesi. L’asse posteriore risultava più leggero: in partenza da fermo o sui fondi a scarsa aderenza, occorreva dosare il gas a meno di non volersi esibire in vistosi pattinamenti.
In condizioni di utilizzo più tranquillo, la Maserati Karif sapeva anche comportarsi da vettura “a modo”, rivelandosi comoda e brillante anche nelle trasferte autostradali, confermandosi come una validissima granturismo all’italiana.

Tradizionalista. All’interno, l’abitacolo riprendeva la stessa impostazione delle altre Biturbo, con ampio uso di materiali pregiati, dai pellami per i rivestimenti alle essenze per le ebanisterie in radica. Dettagli che omaggiavano la storica manifattura artigianale della Casa modenese. Solo due i posti “veri” a bordo: il divanetto posteriore della Biturbo venne omesso, rimpiazzato da due sedute di fortuna, non omologate, pensate più che altro per ospitare due bambini o ampliare il volume di carico del bagagliaio.

Instant classic. La Maserati Karif rimase a listino fino al 1991 e, con un prezzo di 65.500.000 di lire, rappresentava una proposta di nicchia per veri appassionati. Un circolo esclusivo di amanti della Maserati capaci di perdonare anche le pecche nelle finiture e di far fronte alle problematiche che affliggevano i modelli della famiglia Biturbo.
Legata ai canoni di una produzione artigianale, con tutti i pro e i contro del caso, la Karif venne prodotta in soli 221 esemplari. Ciò la rende un modello piuttosto difficile da reperire e dalle quotazioni molto più impegnative rispetto a quelle di altri modelli della serie Biturbo. In ottica collezionistica vale sicuramente la pena considerarla, in primis per la rarità e in secondo luogo per lo zampino di Zagato, che aggiunge ulteriore prestigio ad una GT dal sapore autentico e con un temperamento da vera Maserati.

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