Nel 1977 la Matra si cimentò nella produzione di un veicolo in grado di adattarsi alle condizioni di guida su fondi stradali differenti e a modalità d’uso disparate, un vero e proprio crossover ante litteram: la Matra Rancho.
Da un marchio come Matra, nato come società dell’industria aerospaziale, è lecito aspettarsi progetti innovativi: si pensi alle mitiche monoposto di Formula di fine anni 60 o la MS670, capace di collezionare tre vittorie consecutive alla 24 Ore di Le Mans (1972-73-74), o ancora alla sportiva Murena con tre posti affiancati. Nonostante una grande allure nel mondo agonistico, il brand francese ebbe una storia piuttosto travagliata, caratterizzata dal rapido succedersi delle gestioni. La Matra operò infatti come sussidiaria dei grandi gruppi automobilistici come Renault, Simca, PSA, Pininfarina e infine MGF Easybike (operante nel settore di veicoli a due ruote).
L’idea della Futura Matra Rancho fu una conseguenza dal crescente interesse verso i veicoli fuoristrada che, a partire dagli anni 70, iniziavano a raccogliere consensi sempre maggiori. Se fino a quel momento, i veicoli 4x4 erano pensati essenzialmente per gli eserciti o per l'impiego su terreni accidentati, con l’avvento della Jeep Wagoneer in America e della Range Rover in Europa il concetto di fuoristrada assunse una connotazione progressivamente più “borghese”. Matra decise di fare breccia proprio nel nascente segmento delle offroad "moderne", le antesignane dei SUV.
Fuoristrada ma senza impegno. I veicoli a trazione integrale restavano impegnativi in termini di consumi e guidabilità e Anche il prezzo, pari a quello di berline di segmento medio-alto, non incentivava l’acquisto per chi non ne aveva stretta necessità. I tecnici Matra presero quindi una via diversa per attingere nel bacino di quei potenziali clienti in cerca di un’auto multiuso per il tempo libero, capace di avventurarsi dove finiva l’asfalto ma senza rinunce in termini di confort. Una soluzione, più a buon mercato rispetto a quella dei fuoristrada puri, ottenuta con la rassicurante trazione anteriore e protezioni in plastica a difesa della carrozzeria. Ciò gli consentì di esimersi dalla progettazione di una trazione integrale che avrebbe fatto lievitare notevolmente i costi complessivi e il prezzo finale.
L’idea. Con il progetto “P-12”, Matra voleva porsi a metà strada tra la costosa Range Rover, a suo agio nelle vie più eleganti come nei raid più massacranti, e la Citroën Mehari: un’auto ludica ma oltremodo essenziale. Il prodotto finale non deluse in termini di personalità, tanto da ispirare sia le multispazio, a fine anni 90 e sia le SUV compatte attuali. Tutte incentrate sulla versatilità e la molteplicità delle destinazioni d’uso.
La Matra Rancho venne svelata al Salone di Ginevra, dove la nuova Matra si fece ammirare per il look solido, l’ampia vetratura e il portellone diviso in due parti con ribaltina inferiore. All’interno il divano posteriore abbattibile poteva trasformarsi in letto: tutto questo rendeva la Rancho perfetta per i viaggi avventurosi e il campeggio. L’unica nota stonata era rappresentata dalle sole due porte, un vincolo progettuale dovuto al pianale d’origine.
Le origini. L’ampio volume posteriore, dal sapore “furgonesco” garantiva ampio spazio a bordo e visibilità su tutti i lati. La Matra Rancho derivava proprio da un veicolo commerciale (il VF2) e, da crossover ante litteram qual era, condivideva la meccanica della Simca 1100 pick up e il motore della 1301. Per ospitare comodamente i passeggeri, il pianale venne modificato e allungato mentre la parte posteriore venne realizzata in materiale plastico e vetroresina per garantire una maggior leggerezza della struttura.
La tecnica. Sul fronte della meccanica, la Matro Rancho adottava lo stesso propulsore della Simca GT, con 80 CV in luogo degli originari 85. L’unità era abbinata ad un cambio manuale a quattro marce con rapporti più corti, in modo da favorire l’erogazione della coppia motrice nello sterrato e sulle forti pendenze. In questo frangente, la Rancho, con i pneumatici tassellati e un assetto rialzato poteva destreggiarsi con una buona agilità nel fuoristrada, a patto di non arrischiarsi nei passaggi più impegnativi. Le sue capacità offroad erano coadiuvate poi da uno schema a ruote indipendenti (con barre di torsione al posteriore) come garanzia per un buon confort durante la marcia su strada.
Ambiziosa. La Matra Rancho venne intesa sin da subito come una vettura per l’uso ricreativo. La modularità degli interni e una gamma variegata di allestimenti, unitamente allo stile “avventuroso” decretarono il successo della Rancho. L’auto superò le aspettative di vendita risultando il secondo modello più venduto della Casa dopo la Renault Espace (realizzata sempre dalla Matra). La ricetta del successo stava in primis nella sua economicità, come pure per la capacità di sintetizzare un’auto da vivere a 360°. La Matra Rancho fece parlare di sé positivamente, entrando nel novero delle candidate al premio “Auto dell’Anno” del 1978, dove giunse quarta: dietro alla Ford Granada (terzo posto) e alla BMW Serie 7 E23 (secondo posto). La vincitrice del titolo fu invece la Porsche 928.
Per le esigenze più disparate. Nel corso della sua produzione, tra il 1977 e il 1984, la Matra Rancho venne proposta in diversi allestimenti: Base, Grand Raid (equipaggiata per l’uso fuoristradistico e dotata di verricello elettrico anteriore, fari supplementari ai lati del parabrezza e ruota di scorta sul tetto. A richiesta il differenziale autobloccante), X (più elegante, con interni in velluto, cerchi in lega, contagiri, vetri oscurati e vernice metallizzata) e Brezza: con la parte posteriore in materiale plastico avvolgibile, come la Mehari), AS (solo per i mercati francese e britannico, uguale alla Rancho Base ma senza sedili posteriori, omologabile come autocarro). Alcuni vaghi richiami alla Rancho sono riscontrabili nella prima generazione della Land Rover Discovery, il modello intermedio tra la Range Rover, sempre più lussuosa e la spartana Defender.
Da Rancho a Ranch. Nel 1979, con il passaggio della Simca sotto l’egida del Gruppo PSA, anche la Matra (sua controllata) subì una riorganizzazione. Il nome “Talbot” subentrò a quello della Simca e la nomenclatura del modello venne cambiata in un più internazionale “Ranch”. Dal mese di luglio, la vettura venne quindi commercializzata col nome di Talbot-Matra Ranch (in luogo del precedente Matra-Simca Rancho). La Rancho totalizzò 55.000 esemplari, gran parte dei quali venduti in Francia.
Trendsetter. Oggi imbattersi in una Rancho non è un’impresa facile e, sebbene le quotazioni siano rimaste basse, ci sono pochissimi esemplari in vendita. Oggi come allora, la Matra Rancho conquista prettamente quella platea di automobilisti dallo spirito “nomade” capace di apprezzare un’auto multiruolo e fuori dagli schemi come questa. La Matra Rancho uscì di produzione senza eredi dirette, ma può considerarsi una vera trendsetter: mamma, se vogliamo, di gran parte dei crossover attuali.