Nordiche da viaggio: Volvo 240 Turbo, il “mattone volante” - Ruoteclassiche
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26/04/2024 | di Andrea Paoletti
Nordiche da viaggio: Volvo 240 Turbo, il “mattone volante”
Pochi avrebbero immaginato che la squadrata, pesante e pacifica icona scandinava potesse diventare veloce e addirittura sportiva. Ma gli svedesi sorprendono tutti, partendo con la versione berlina
26/04/2024 | di Andrea Paoletti

La febbre del turbo aveva contagiato tutti agli inizi degli anni 80, complici i primi successi in Formula 1. Non c’era grande (o piccola) Casa automobilistica che non avesse a listino una versione turbocompressa, ovviamente la più sportiva della gamma: tutti, tranne Volvo, che, infatti, sfatando il mito dei nordici banali e prevedibili, sorprese tutti installando, nel 1980, una turbina Garrett T3 sulla 244, ovvero la berlina, per poi estenderla alla 245 (la station wagon) e solo alla fine concedere questa possibilità anche alla “due porte”, ovvero la coupé 242.

Trasformazione. L’idea che un’auto esplicitamente votata non alle prestazioni, ma alla praticità e alla sicurezza potesse improvvisamente avere velleità sportive veniva così ribaltata grazie al B21 ET da 2.1 litri, capace di erogare 155 cavalli. Il “Red Block”, soprannome dato al propulsore in quanto il blocco era verniciato in un aggressivo rosso - passionali, questi svedesi - diventa il primo motore a benzina sovralimentato della storia di Volvo: un’unità moderna, con accensione elettronica e iniezione Bosch, accoppiata al cambio, sempre a quattro rapporti più overdrive, mentre i freni anteriori per l’occasione diventano autoventilanti. Non sono le uniche novità, al riguardo, in quanto la Turbo beneficia anche degli aggiornamenti estetici comuni a tutta la gamma, ovvero nuovi fanali e calandra, paraurti più piccoli e leggeri, mentre per riconoscerla dalle sorelle aspirate basta guardare la fiancata, decorata con una filettatura adesiva nera e con cerchi di lega a cinque razze con pneumatici 195/60 15.

Aggiramento gabelle. In Italia la 244 Turbo viene commercializzata a partire dal gennaio 1981, quasi subito con il consueto “trucco” della cilindrata inferiore ai 2 litri (codice, B19 ET) per aggirare la tassazione di “lusso”: la potenza scende a 145 CV (ma la coppia è di 225,6 Nm…), in ogni caso, con una velocità massima di 200 km/h e uno 0-100 in circa 9 secondi, la berlina svedese si può confrontare ad armi pari, anche in termini di prestazioni, con Alfa Romeo e BMW.

Anche in gara. Per dimostrare la validità della ricetta messa a punto dagli ingegneri di Volvo, l’occasione giusta arriva nel 1982, quando vengono introdotti i nuovi regolamenti internazionali del Gruppo A, che prevedono la realizzazione di almeno 5.000 esemplari del modello da utilizzare, in gara, che deve avere almeno quattro posti, mentre il peso minimo - la 240 da corsa finirà col pesare circa 3,5 quintali in meno di quella di serie - è legato alla cilindrata del motore. Ecco, quindi, che la versione racing trasforma la due porte (viene scelta la variante di carrozzeria 242, la più “sportiva” del lotto) in una vera belva, che finirà col meritarsi il soprannome di “flying brick”, ovvero “mattone volante”. Modifiche alla testata, bielle e alberi forgiati, pressione del turbo portata a 1,5 bar permettono di estrarre oltre 300 CV, per una velocità massima attorno ai 260 km/h. E questo, insieme a cofano e portiere realizzate con metallo dallo spessore inferiore rispetto a quelle di serie, permette alla più improbabile delle auto da competizione di dominare sui circuiti europei, portando a casa la vittoria sia nel Campionato Europeo Turismo, sia nel campionato tedesco.

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