Piccole bombe giapponesi: Daihatsu Charade GTti (1987) - Ruoteclassiche
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08/03/2024 | di Andrea Paoletti
Piccole bombe giapponesi: Daihatsu Charade GTti (1987)
Una minuscola citycar che, grazie al peso piuma e al tre cilindri turbo, poteva, e può, mettere in imbarazzo sportive ben più blasonate
08/03/2024 | di Andrea Paoletti

Alla fine degli anni 80 in Giappone c’era grande fermento: tutte le Case automobilistiche sfornavano nuovi modelli sportivi, sfidandosi sul piano delle innovazioni tecnologiche e, in pratica, introducendo il turbo ovunque. Daihatsu, specialista delle minuscole kei car, decise nel 1987 di dire la sua con la terza generazione della Charade, quella che, per gli standard nipponici, era in realtà un’utilitaria di grandi dimensioni, nonostante una lunghezza di soli 3,63 metri.

Origini 926R. Bisogna fare un salto indietro di due anni, quando, al Salone di Tokyo, Daihatsu presentò la 926R, un prototipo di Charade a motore centrale, pensato per competere nel Campionato mondiale rally. Sviluppata insieme alla De Tomaso - collaborazione che aveva già portato alla realizzazione della Mini omonima - la 926R montava un tre cilindri turbo, bialbero, dodici valvole, da 926 cm³ e 120 CV, su un corpo vettura della massa di appena 800 kg. Un progetto sfortunato (l’abolizione del “Gruppo B” lo condannò a una morte prematura), ma che, evidentemente, convinse i vertici aziendali a non disperdere le conoscenze riversate nel suo sviluppo.

Già un “millino” turbo. Nacque così la Charade GTti (sì, con due “t”) equipaggiata con l’1.0 tre cilindri turbo da 105 CV (101 in Italia, a causa delle normative anti-inquinamento), capace di spingere l’auto oltre i 200 km/h di tachimetro, anche se il dato dichiarato era di 185; notevole, inoltre, lo 0-100 in soli 8,2 secondi. Il piccolo tre cilindri nasceva per le competizioni e vantava primizie tecniche rilevanti per quegli anni: albero di equilibratura, quattro valvole per cilindro, accensione elettronica, radiatore dell’olio e turbo (che soffiava a 0,75 bar) provvisto di intercooler.

Look senza eccessi. A tanta sofisticazione non corrispondeva un aspetto particolarmente aggressivo, perché la GTti, in totale controtendenza rispetto alle esagerazioni estetiche dell’epoca, si limitava a un accenno di spoiler sia al posteriore, sia sotto al paraurti anteriore, ma non sfoggiava nessuna minigonna e nemmeno un paio di fendinebbia, che in quel periodo non si negavano a nessuno. In compenso, la vista posteriore era dominata dalla scritta Charade all’interno della fascia catarifrangente che correva orizzontalmente (ispirata a quella Turbo della Mini) e dal doppio terminale di scarico, abbastanza inusuale. A completare il quadro, cerchi di lega da 14 pollici con pneumatici 175/60, mentre sulle protezioni di plastica laterali, la complessa dicitura “Twin Cam 12 valve Turbo” in grigio, seguita da GTti in rosso, potevano effettivamente far sorgere il sospetto che non si trattasse di una comune utilitaria.

Grinta nascosta. L’abitacolo presentava la classica accoppiata sedili e volante sportivo, mentre il cruscotto prevedeva il contagiri con la spia verde del turbo. Anche qui, niente di clamoroso, ma attenzione: la Charade GTti faceva di un certo anonimato la sua arma principale per sorprendere, poi, con prestazioni esaltanti. In Italia la sportivetta arrivò solo nel settembre 1992, al prezzo di 19 milioni di lire: attualmente, le poche rimaste sono tra le piccole giap più ricercate, con quotazioni che superano facilmente i 10.000 euro.

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