Caso più unico che raro, questo, in cui la Casa decide di commercializzare prima la versione sportiva, e poi, anni dopo, quella normale. La Suzuki Swift 1.3 Gti - è di lei che stiamo parlando - sbarca sul suolo italiano nel 1990, con un biglietto da visita pungente: 885 kg di massa e 101 cavalli di potenza, sufficienti per fendere lo 0-100 in 8,6 secondi, come la katana più affilata, e oltrepassare i 180 km/h. Dopo aver scandito fino a 7.400 giri ogni passaggio di marcia.
Milletre bialbero. Sotto al cofano, un quattro cilindri in linea 16 valvole da 1.298 cm³ a doppio albero a camme: e, giusto perché fosse chiaro a tutti, su entrambe le fiancate la Suzuki aveva ben pensato di posizionare in bella mostra gli adesivi “Twin Cam 16 V”. Niente di particolarmente vistoso, se pensiamo agli eccessi dell’era turbo, ma è proprio da questo cambio di filosofia, con un aspirato assetato di giri che riesce a sviluppare una cavalleria importante rispetto alla cilindrata ridotta, che si possono dichiarare aperti gli anni 90. La Swift arriva in Italia sorprendendo prima di tutto la clientela Suzuki, abituata a vedere nel marchio nipponico - eccezion fatta per la produzione motociclistica - un pacifico costruttore di piccole fuoristrada, ma anche l’utenza del mercato, fino a quel momento confinata alla triade Fiat Uno Turbo i.e., Peugeot 205 Gti e Renault Supercinque GT Turbo. Proprio il territorio della Swift, quello più rude e “proletario” delle utilitarie con minigonne e fendinebbia, dove la piccola nipponica poteva giocare le sue carte sfruttando il fattore sorpresa.
Vestita giusta. Certo, a un occhio attento non potevano sfuggire il doppio terminale di scarico, l’accenno di spoiler sul lunotto posteriore, i paraurti avvolgenti e pronunciati, le minigonne ben armonizzate alle fiancate. Come, nell’abitacolo, i due bei sedili sportivi con fianchetti contenitivi, il volante a tre razze e il tachimetro con fondoscala a 220 orari. Tutti ingredienti giusti per una vettura che, con il suo look esotico - difficile considerarla propriamente bella, forse più “un tipo” - non era di certo un’apparizione frequente sulle strade italiane. E ciò, anche in virtù del fatto che, a quei tempi, l’importazione delle vetture nipponiche nel nostro mercato era contingentato. In soldoni, ne arrivavano poche.
Bella verve. Chi, però, si metteva in garage una Swift 1.3 Gti lo faceva attirato dagli indubbi contenuti tecnici - oltre al già menzionato “milletre” 16 valvole, c’erano quattro freni a disco e i cerchi in lega da 14 pollici -, ma pure per distinguersi, senza dare troppo nell’occhio e pronto a scatenare, traffico permettendo, l’indole sportiva della piccola Suzuki.
Temibili francesi. La carriera della Swift 1.3 Gti è durata fino al 1999, anno in cui sono stati immatricolati gli ultimi esemplari in Europa. A quel punto, la concorrenza era diventata molto più agguerrita, con le “terribili” francesi Peugeot 106 Rallye e Citroën Saxo VTS a dominare la scena delle “superleggere”. Ma la sportiva nipponica non è stata dimenticata dagli appassionati, che oggi vanno in cerca delle pochissime vetture rimaste, testimoni di un’epoca in cui il Giappone sfornava auto brillanti e affidabili, in grado di offrire emozioni. Anche con soli 101 cavalli.