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Sprint, 30 anni fa l’ultima coupé compatta del Biscione

Prodotta dal 1976 al 1989, l’Alfasud Sprint (dal 1983 solo “Sprint”) è l’ultima coupé costruita dall’Alfa Romeo come azienda di Stato. Ecco come e perché, ancora oggi, la sportiva disegnata da Giorgetto Giugiaro fa sognare gli appassionati.

Quanta “scienza” automobilistica infusa in un involucro di lamiere. A porre il sigillo della propria creatività sull’Alfasud Sprint, oltre agli ingegneri che ne hanno tracciato (e sviluppato) il progetto, Rudolph Hruska e Domenico Chirico, è anche il “designer del secolo” Giorgetto Giugiaro. È proprio allo stilista torinese che la dirigenza dell’Alfa Romeo si rivolge quando, nella prima metà degli anni Settanta, si tratta di definire le forme di una piccola coupé basata sulla meccanica della compatta di Pomigliano d’Arco. L’obiettivo della Casa milanese è duplice: si vuole ampliare la gamma dell’Alfasud verso l’alto, offrendo agli automobilisti più esigenti un modello ancor più sportivo della TI a due porte presentata nel 1973 e, al contempo, provare a riabilitare una volta per tutte, agli occhi della clientela più scettica, un’automobile per certi versi controversa ma indubbiamente innovativa. E, pur nella sua atipicità, al 100% Alfa Romeo.

(Anche) un problema culturale. Sull’Alfasud aleggerà per lungo tempo lo spettro della ruggine, un incubo che si manifestava a volte solo dopo pochi mesi dall’uscita di fabbrica, con sgradite ossidazioni dei lamierati specialmente in corrispondenza dei passaruota e dei montanti intorno al parabrezza e al lunotto. Un problema di qualità, ma non il più grave: sono gli anni delle agitazioni operaie e sindacali, che – complice una gestione poco lungimirante delle partecipazioni statali, all’epoca detentrici del controllo dell’azienda – trovano un terreno particolarmente fertile nello stabilimento di Pomigliano d’Arco, dove la maggior parte delle maestranze non ha (né saprà mai assorbire) una cultura meccanica paragonabile a quella degli operai di Arese.

Nasce l’Alfa per tutti. Peccato, ma fino a un certo punto, perché i contenuti tecnologici erano davvero d’avanguardia, al punto da riuscire a superare anche le impasse più imbarazzanti. L’Alfasud è una macchina importante, fondamentale nella storia del marchio sia per ragioni tecniche sia per ragioni commerciali. Si trattava della prima Alfa Romeo a trazione anteriore e, per giunta, della prima Alfa Romeo dotata di un motore boxer, schema caro all’ingegner Hruska che ne conosceva i vantaggi grazie alle applicazioni da lui effettuate già qualche decennio prima alla corte di Ferdinand Porsche. Anche la carrozzeria – compatta, a due volumi – era una novità, soprattutto se si considera il fatto che fino all’ultimo, nonostante il “periodo d’oro” dell’economia italiana (e la volontà di portare avanti l’industrializzazione del Mezzogiorno), non era chiaro se il presidente Luraghi sarebbe riuscito o meno a convincere i vertici dell’IRI a produrre una macchina popolare e, quindi, in chiara concorrenza alla Fiat.

Un gioiello di meccanica e di design. L’Alfasud doveva costare poco ma essere, nella forma e nei contenuti, una vera Alfa Romeo. E in questo, i progettisti fecero centro: il motore quattro cilindri boxer, brillantissimo e con una sonorità appagante (chi ha guidato o guida oggi un’Alfasud, una 33 o un’Arna sa benissimo di cosa stiamo parlando…), regalava all’auto un temperamento sportivo e, grazie agli ingombri esigui, consentì a Giugiaro di disegnare un cofano molto basso e slanciato, a tutto vantaggio dell’aerodinamica. Sulla Sprint, presentata nel settembre 1976 alla Baia Domizia, nel casertano, queste caratteristiche erano accentuate da una carrozzeria più bassa, larga e aggressiva, che riproponeva in scala ridotta gli stilemi di un’altra splendida coupé disegnata da Giugiaro, l’Alfetta GT.

Un motore di razza. Ai motori dell’esordio, il “1300” e il “1500” con un solo carburatore a doppio corpo, seguiranno nel 1979 le unità di pari cilindrata ad alimentazione singola (un marchio di fabbrica per il Biscione), che consentivano prestazioni impensabili per qualsiasi concorrente di pari cilindrata. Due anni più tardi sarà la volta della Sprint Plus, basata sulla Sprint Veloce 1.5, prodotta in 2007 esemplari numerati e contraddistinta dalla carrozzeria color bronzo.

Gli anni Ottanta e l’uscita di produzione. Con la presentazione dell’Alfa 33 e la conseguente uscita di scena dell’Alfasud, la gamma della coupé di Pomigliano si rinnova e assume la denominazione “Sprint”, perdendo quindi il nome “Alfasud”. La carrozzeria viene aggiornata e parti come la calandra e i paraurti vengono ridisegnate prevedendo, secondo la moda degli anni Ottanta, un massiccio impiego di plastica nera. In coda spiccano i gruppi ottici di nuova foggia, mentre all’interno si notano nuovi sedili sportivi e una plancia rinnovata. L’ultima serie della Sprint vede la luce nel 1987 e, nella sua versione più sportiva, denominata Quadrifoglio Verde, abbandona il “vecchio” 1.5 in favore del 1.7 dotato di punterie idrauliche già montato sulla 33 1.7 QV. Con il pensionamento del modello, nel 1989, l’Alfa Romeo saluterà la sua ultima coupé, a testimonianza di una crisi aziendale iniziata all’alba del decennio precedente e, purtroppo, mai risolta.

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