Sono tante le immagini dell’edizione del Terre di Canossa, andato in scena dal 16 al 19 aprile, che resteranno nella memoria di chi l’ha vissuto. Innanzitutto, la quantità delle auto: oltre 100 quelle che hanno preso il via alla manifestazione organizzata dalla Scuderia Tricolore, una ventina delle quali anteguerra, con molti “pezzi” degni di nota.
Poi, il percorso: 620 chilometri suddivisi in tre tappe, a cavallo tra Emilia, Toscana e Liguria, ricchi di saliscendi e di curve che hanno esaltato il piacere della guida. E hanno permesso di godersi la bellezza dei luoghi: le architetture Liberty del Palazzo dei Congressi di Salsomaggiore Terme, dove la gara ha preso il via, la scalata dell’Appennino, avvolto dalla nebbia ma sempre affascinante, la discesa verso Le Cinque Terre, a Riomaggiore, con il mare che si fa largo all’improvviso tra le nuvole, il glamour di Forte dei Marmi e lo splendore rinascimentale della piazza di Pietrasanta.
Cartoline dell’Italia che si porteranno a casa i concorrenti, soprattutto i tanti stranieri. A conferma della vocazione turistica di questa competizione, che ha sì impegnato gli equipaggi in 78 prove a cronometro (e una di media), ma ha lasciato loro anche il tempo di gustarsi le meraviglie che incontravano lungo la strada. A illustrarle c’era il roadbook che, oltre alle note sul percorso, riportava anche una descrizione di luoghi e monumenti sfiorati dalla gara. E così il passaggio all’Arsenale della Marina Militare di La Spezia è stato l’occasione per visitare il suo museo. L’ingresso a Pisa ha portato le auto davanti alla celebre Scuola Normale Superiore, quello a Lucca le ha fatte sfilare sulle sue antiche mura. E che dire del “clou” nella caserma della Brigata Folgore, sempre a Pisa, dove quattro paracadutisti si sono lanciati stringendo un enorme Tricolore, per atterrare proprio nella piazza d’armi riempita di auto d’epoca? Un colpo d’occhio straordinario, quello delle cento auto contornate dai toni camouflage delle divise dei parà.
Gara turistica sì, ma non semplice. Chi questa competizione l’ha già affrontata in passato (sì, perché ci sono equipaggi che hanno preso parte a tutte le cinque edizioni fin qui organizzate e sono stati premiati per la fedeltà), ha avuto modo di saggiarne il lato sportivo, divenuto più impegnativo. Prove cronometrate tecniche, con lunghe sequenze di passaggi concatenati e tracciati non sempre facili hanno ravvivato la sfida. Ognuno, poi, l’ha affrontata secondo il proprio gusto: i turisti armati di cronometro a cipolla, a contare i secondi. I regolaristi esperti, con l’attrezzatura digitale per spaccare il centesimo. In fondo, il bello del Terre di Canossa è proprio questo: ognuno la affronta come vuole, assaporandone il lato che preferisce.
Così, per dare a tutti il gusto della sfida, sono stati organizzati anche due trofei riservati ai piloti non prioritari, composti da tre prove ciascuno, disputati a Forte dei Marmi e a Reggio Emilia. I vincitori del primo, il duo italo-australiano Morcombe-Montalbetti su Ermini Siluro 1100 del 1951, si sono aggiudicati un cronografo messo a disposizione dalla Eberhard, sponsor della manifestazione insieme a Credit Suisse e Maserati.
Tra i top driver, ovviamente, è stata battaglia. A spuntarla sono stati ancora una volta Andrea Vesco e Andrea Guerini che, con la loro Fiat Siata 514 Mille Miglia del 1930, hanno messo a segno la terza vittoria consecutiva e conquistandosi l’altro cronografo Eberhard in palio. Secondo, l’equipaggio Di Pietra-Di Pietra su Fiat 508 C del 1938, seguiti dalla coppia Fontanella-Covelli, terzi su una Ford B Roadster del 1933. Tra le scuderie, vittoria del Classic Team Eberhard.
Le quote rosa al Terre di Canossa non sono un problema: il 40% dei concorrenti, del resto, è composto da donne, molte delle quali sedevano al volante. Così, anche la Coppa delle Dame è stata piuttosto combattuta: ad aggiudicarsela sono state Lucia Fanti e Caterina Vagliani, con la loro Alfa Romeo Giulietta Sprint rossa fiammante, premiate insieme agli altri vincitori nella splendida Sala del Tricolore di Reggio Emilia, dove le auto hanno fatto ritorno domenica, dopo aver scavalcato di nuovo l’Appennino. Qui, nel 1797, nacque il vessillo verde, bianco e rosso, diventato poi la bandiera italiana. L’evento della Scuderia Tricolore non poteva, dunque, che concludersi qui.
Laura Confalonieri