Se la regina delle grandi berline a due volumi rimane senza dubbio la Citroën DS - ideata da quel genio di Flaminio Bertoni e prodotta tra il 1955 e il 1975 - a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta si impose una nuova linea di pensiero che andava a cavalcare il concetto della coda tipo “fastback” caratteristica dei modelli più sportivi.
Dai banchi del Politecnico di Milano. Spariva il terzo volume occupato dal baule posteriore e anche alcune ammiraglie a quattro porte si sentirono un po’ più snelle e slanciate. Oltre che più aerodinamiche. Questo nuovo filone scaturì dalla tesi di laurea di un giovane Leonardo Fioravanti, che nel 1963 divenne ingegnere al Politecnico di Milano con la tesi su una berlina aerodinamica, accompagnata da due modellini di legno testati nella galleria del vento della Breda. Relatore di questa tesi fu niente meno che il professor Antonio Fessia, ben noto nel mondo dei motori per aver firmato, tra gli altri, i progetti di Lancia Flavia e Fulvia.
Ai tavoli da disegno della Pininfarina. Quella tesi finì in un cassetto. Fioravanti, nel frattempo, finì ai tavoli da disegno della Pininfarina e qualche anno dopo quello studio universitario tornò incredibilmente utile per assecondare le richieste della inglese BMC: la British Motor Corporation, infatti, chiese aiuto al carrozziere italiano per aggiornare la sua vetusta Austin 1800, e Fioravanti, con l’aiuto di Paolo Martin, concepì un prototipo ultramoderno che venne ammirato al Salone di Torino del 1967. Battezzata BMC Aerodinamica Pininfarina, non era una semplice maquette da esposizione, ma una proposta realizzabile in grande serie. Era caratterizzata da un profilo semplice, essenziale, con luci laterali che circondavano l’intero padiglione dando un piacevole senso di panoramicità. Il frontale tondo era caratterizzato dall’assenza della calandra e dai fari carenati e l’ampio parabrezza era dotato di un raggio di curvatura plurimo. La parte posteriore, invece, sfoggiava la linea tronca per garantire maggior efficacia aerodinamica (Ercole Spada docet).
Paura di osare. Tutti, sotto i riflettori torinesi, guardarono con ammirazione quella grande berlina gialla, ma nessuno (a partire dalla BMC) ebbe il coraggio e la lungimiranza di farla sua e metterla in produzione. Troppo avanti, troppo azzardata, troppo moderna. Ma in poco tempo molti capirono la bontà dell’idea, a partire dai soliti avanguardisti francesi della Citroën, che nel 1970 proposero la più compatta GS per poi fare il colpaccio, nel 1974, con l’ammiraglia CX. Vettura che, di fatto, aveva ripreso e affinato il layout della BMC “made in Pininfarina”. Fatto il primo passo e ottenuti i primi, concreti riscontri da parte del pubblico, altri costruttori si misero subito a ruota cavalcando l’onda della modernità e della aerodinamicità in formato famiglia.
Musa ispiratrice. Ricordiamo, in questo senso, le nostrane Lancia Beta (1972) e Gamma (1976), la francese Renault 30 (1975), la tedesca Volkswagen Passat (1975) e la inglese Rover 3500 (1976). Solo per citare le più popolari. E vogliamo dirla tutta? Che cosa vi ricordano la BMW Serie 5 GT lanciata nel 2009 e l’Audi A7 del 2010? Esatto.