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29/10/2022 | di Fabrizio Greggio
Vent’anni senza Carlo Talamo
29/10/2022 | di Fabrizio Greggio

Sono trascorsi vent’anni dall’incidente in cui perse la vita Carlo Talamo, colui che ha fatto conoscere e amare in Italia le Harley-Davidson e le Triumph

La corsa si ferma. Sono le 11,30 del 29 ottobre 2002: Carlo in sella alla sua Triumph Sprint RS imbocca al casello di Livorno l’autostrada in direzione Genova. Come sempre la sua guida è veloce e sicura. All’altezza di Viareggio si è formata una coda a causa di lavori di manutenzione della siepe spartitraffico; Carlo non si accorge in tempo del serpentone di veicoli fermi: frena, la moto urta dapprima il guardrail e finisce la corsa contro un furgoncino. L’impatto è violentissimo e, nonostante la tempestività dei soccorsi, Carlo non ce la fa. Pochi giorni dopo avrebbe compiuto 50 anni.

Tre amici accomunati dalla passione. Carlo Fulvio Talamo Atenolfi Brancaccio di Castelnuovo, di famiglia nobile decaduta, nasce a Roma il 18 novembre del 1952. Nel 1978 si trasferisce a Milano, accompagnato dalla sua Triumph Trident 750; inizia quasi subito a collaborare con l’agenzia pubblicitaria di Fabio Cei; nel tempo libero lavora sulle Triumph (nel garage di Giovanni Cabassi, conosciuto nel 1980) e scrive per alcune testate motociclistiche. Nel 1983 incontra Crepaldi (la famiglia è dal 1953 concessionaria Ferrari per la Lombardia) e Max Brun, accomunati da una incontenibile passione per le motociclette. Nel giro delle compagnie di centauri entra in contatto con Claudio Castiglioni che, con il fratello, è proprietario della Cagiva e importatore Harley-Davidson in Italia. I due imprenditori intendono disfarsi dell’ingombrante marchio di Milwaukee: Talamo, Crepaldi e Brun rilevano quindi la concessione assieme al magazzino ricambi, in realtà un ammasso di relitti pressoché privo di valore. Viene così costituita nel giugno del 1984 la Numero Uno.

Un negozietto piccolo. Pochi mesi dopo è il 2 gennaio; Milano è stretta in una morsa di gelo e a breve avrebbe cambiato completamente fisionomia, coperta da una coltre bianca spessa quasi un metro gettata da quella che nel Nord-Italia sarebbe passata alla storia come la nevicata del secolo. Ebbene all’angolo fra via Fioravanti e via Niccolini, in zona Paolo Sarpi (la Chinatown milanese), viene inaugurato un negozietto con l’insegna Numero Uno: non vende moto “normali”, bensì Harley Davidson. In molti la giudicano un’impresa folle, destinata a fallire a breve. Il mercato italiano non è certo facile per le ingombranti motociclette d’Oltreoceano, giudicate inutilmente pesanti, con telai e motori obsoleti e del tutto inadatte a percorrere le nostre strade strette e ricche di curve.

Nascita di un impero. Tuttavia Talamo ha fiuto ed è un comunicatore eccezionale. Certo ad aiutare questa avventura c’è il boom della “Milano da bere” e la svolta della stessa Harley-Davidson nel produrre motociclette migliori e nell’inaugurare una nuova strategia di marketing all’insegna del “Proud to be American”. E l’alchimia funziona: dalle 15 moto vendute nel primo anno si passa alle 1900 del 1992. Carlo è instancabile e inarrestabile; la Numero Uno si moltiplica a Savona, a Mantova, a Roma e in tutta Italia; la rete vendita si amplia con le officine Americana e Americana Sports. Ma la sua passione non si ferma a Milwaukee e nel 1991 nasce la Numero Tre, importatrice della britannica Triumph; e l’amore per i motori non è neppure confinato alle due ruote, visto che Talamo diviene distributore dei marchi Rolls-Royce e Bentley fondando la Gialloquaranta. Le sue pubblicità, in realtà poesie che trasmettono le emozioni di andare in Harley-Davidson, conquistano; le scorribande folli da lui organizzate, come il Palle Quadre, entrano nella leggenda.

Spirito libero. Ma Talamo, che non ha mezze misure e che suscita in chi lo incontra sentimenti di amore o odio, è insofferente verso tutto ciò che limita la sua libertà, il suo ingegno. L’impero che ha costruito inizia a stargli stretto, i problemi quotidiani (pastoie burocratiche, banche, amministrazione ecc.) lo affaticano e soprattutto lo distolgono dalla sua “missione”: andare in moto e inventare nuovi modelli. Chiude quindi l’avventura automobilistica della Gialloquaranta e nel 1999 avvia la trattativa con Harley-Davidson per la cessione della galassia Numero Uno. Una partita durissima, che si conclude nell’ottobre del 2000. Carlo porta a casa una cifra stratosferica. Due anni dopo, siamo a settembre 2002, cede anche la Numero Tre, pur rimanendo consulente della Triumph. Ora è libero e i progetti si affollano nella sua vulcanica mente. Si vocifera di un rilancio del marchio Moto Guzzi e di una nuova Laverda. Ma il destino ha disposto diversamente…

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