C’era una volta un importatore olandese con un’idea semplice ma geniale. Si chiamava Ben Pon e un giorno, aggirandosi per la fabbrica Volkswagen dove nascevano i celebri Maggiolini, vide dei piccoli camioncini da lavoro che lo ispirarono: tirò fuori un taccuino, fece uno schizzo e – senza saperlo – disegnò la storia: il Volkswagen Type 2, fratello maggiore del Beetle, pronto a rivoluzionare il trasporto su quattro ruote.
La semplicità era la sua forza
Nel 1950 nasceva ufficialmente il primo Vokswagen Transporter, detto anche T1: motore boxer da 25 cavalli, 1131 cm³ di pura praticità, e un look talmente spartano da sembrare uscito da un manuale di economia domestica. Ma proprio questa sua semplicità conquistò gli artigiani, i commercianti e chiunque avesse bisogno di un mezzo robusto, economico e sorprendentemente agile da guidare. Poco dopo arrivò il Kombi, una versione multitasking ante litteram: bastava smontare i sedili posteriori e il furgone si trasformava in un cargo, o viceversa. Modesto nelle finiture ma ricco di ingegno, divenne taxi, minibus e ambulanza.
Alla scoperta del mondo
Chi invece cercava un pizzico di comfort poteva avere sedili fissi, pannelli fonoassorbenti e cromature a imbellire la carrozzeria, ma è con l’allestimento basato sul modello De Luxe con finestrini a lucernario e tettuccio apribile, oltre alle finestrelle sul padiglione (per un totale di 23 punti luce) che la sua popolarità spicca il volo. Sono in tanti, infatti, a scoprire la sua versatilità: dalle compagnie aree agli hotel che lo sfruttano come mezzo navetta, per non parlare dei modelli usati come servizio assistenza – celebri quelli Porsche – e come veicoli pubblicitari. Il successo è inarrestabile. Nel 1952 la Westfalia trasforma il Type 2 in camper, anticipando la moda del “camper van” di decenni, e nello stesso anno debutta anche la versione pick-up, molto apprezzata dalle imprese edili.
Aumenta la potenza e la praticità
Nel 1953 la cilindrata aumenta a 1.192 cm³, la potenza a 30 CV e nel giro di due anni viene sottoposto alle prime significative modifiche estetiche: lo sportello del vano motore viene ridotto di dimensioni, mentre nella zona anteriore la carrozzeria viene allungata a formare una sorta di palpebra sopra il parabrezza. Si riduce inoltre il diametro dei cerchi, che passa da 16 a 15” e nel 1963 il motore di 1.5 litri diventa standard. Dall’anno successivo viene introdotta la porta laterale scorrevole, che ne aumenta ulteriormente la praticità, ma vengono eliminati i finestrini angolari posteriori e il modello De Luxe inizia a essere soprannominato “Samba”.
La seconda generazione viene adottata dagli hippies
La vera metamorfosi arriva nel 1967 con la seconda generazione: addio al parabrezza sdoppiato e benvenuto al Bay Window, ovverosia il parabrezza unico, con conseguente maggiore spazio a bordo, figlio di un aumento di dimensioni. Nello stesso anno la potenza aumenta a 54 CV ma per l’universo giovanile – che soprattutto negli USA guarda sempre più con simpatia al pacifico furgone tedesco – è l’anno del “flower power”. Sono proprio gli hippies a imprimere una nuova identità a quello che nel frattempo viene identificato come T2, trasformandolo nel mezzo d’elezione per andare a concerti, vivere “on the road” e protestare contro la guerra in Vietnam. Era infatti sufficiente togliere qualche stanghetta e il gigantesco logo Volkswagen sul muso si trasformava nel simbolo della pace.
Evoluzione del mito
Nello stesso anno termina la produzione del T1 in Germania ma non in Brasile, dove prosegue fino al 1975, anno in cui per la prima volta, grazie al motore da 2 litri e 70 CV, ci si può muovere un po’ più speditamente. L’evoluzione era passata per l’1.6 da 50 CV del 1971 che aveva portato anche i freni a disco anteriori, mentre dal 1972 gli indicatori di direzione anteriori erano stati spostati in alto, ai lati della griglia, in un frontale che nel T2 aveva perso anche la caratteristica piega a V della carrozzeria. Ormai il furgone Volkswagen è diventato allo stesso tempo un’icona pop e un compagno di vita e lavoro per milioni di persone: in Italia non è raro vederli utilizzati da istituti religiosi, da gruppi sportivi e dalle tante cooperative che negli anni 70 iniziano a fiorire.
Praticamente immortale
Ogni epopea però ha il suo epilogo: nel 1979, dopo 2,4 milioni di esemplari, la produzione tedesca viene interrotta, ma il T2 non era pronto a dire addio e ha continuato la sua avventura in Messico (fino al 2001) e in Brasile (fino al 2013) come simbolo di mobilità accessibile, segnando un record degno di una leggenda su ruote. Impossibile, infatti, considerarlo solamente un furgone: è un’icona universale di libertà, amicizia e praticità e il “Bulli” – come lo chiamano affettuosamente in Germania – è da tre quarti di secolo che porta sogni, bagagli e sorrisi.
