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3 novembre ’65: Lamborghini al decollo, Bugatti prossima alla fine

50 anni fa, al Salone dell’Auto di Torino del 1965, la neonata Lamborghini (nata appena due anni prima) presentò la TP400, la meccanica della Miura, prima della stirpe dei Tori super veloci. Il gigante storico Bugatti, ormai l’ombra di se stesso, tentò un ultimo disperato tentativo, con la 101 C Roadster di Ghia, di rilanciarsi. Ma fallì miseramente.

Il 3 novembre 1965 si apriva ufficialmente il Salone dell’Automobile di Torino. La rassegna italiana, all’epoca una delle più importanti a livello internazionale grazie alla vivacità della nostra industria automobilistica, presentava al pubblico tante novità. E tra la Fiat 124, la Maserati Mexico, le Lancia Flavia Coupé da corsa e la possente Alfa Romeo TZ2 (fresca vincitrice del rally dei Jolly Hotels con Andrea De Adamich), due nuove proposte davano testimonianza di altrettante avventure automobilistiche, una in ascesa, l’altra in declino: la Lamborghini al decollo, la Bugatti condannata al suo destino.

MIURA: UN’AUTO DA CORSA MA STRADALE
Lamborghini era poco più di una Start-up. Ferruccio, imprenditore di successo nella produzione di trattori, due anni prima era entrato di prepotenza nella nicchia delle GT per opporsi alla superpotenza Ferrari. Per lanciare il guanto di sfida a Maranello, propose la stupenda 350 GTV, poi concretizzatasi nella 350 GT magistralmente carrozzata da Touring. Due anni dopo il costruttore bolognese, già avviato al successo, presentò un curioso layout meccanico, l’anticipazione di un nuovo modello sportivo stradale, la supercar più estrema mai concepita ad allora.

Il protitpo TP400 era stato concepito da Gianpaolo Dallara e Paolo Stanzani, alla guida del reparto tecnico di Sant’Agata. L’idea era di andare oltre la “semplice” vettura Gran Turismo e realizzare una meccanica stradale molto vicina alle caratteristiche di un’auto da corsa: per questo elaborarono un telaio scatolato in lamiera piegata, saldata e forata per ottenere un peso molto contenuto.

In coda, in posizione centrale e, rivoluzione, trasversale (da qui la denominazione “TP”), era alloggiato il V12 da 3,5 litri della 400 GT (evoluzione della 350) per complessivi 400 Cv.

A vestire quella meccanica possente e sbalorditiva fu in seguito chiamato il “grande” Nuccio Bertone. Il carrozziere torinese, avvalendosi della bravura di un giovane Marcello Gandini, vestì quelle forme così estreme con una livrea diventata un manifesto di sportività italiana. Il centro stile della Bertone lavorò senza sosta per quattro mesi e creò una carrozzeria affusolata, con il muso lungo, l’abitacolo arretrato e la coda supercompatta. Bassissima e larghissima, con i fari anteriori “distesi” quando lasciati in posizione di riposo, fu svelata al mondo il successivo marzo 1966 al Salone di Ginevra nella sua forma definitiva: era nata la Miura.

BUGATTI 101 C ROADSTER GHIA: IL CANTO DEL CIGNO
Ettore Bugatti
, milanese di nascita ma alsaziano d’adozione, dalla fine dell’800 era diventato un protagonista della neonata industria automobilistica. Nato nel 1881, fin da subito diede prova di una verve creativa assolutamente eccezionale in campo tecnico, divenendo presto autore di una serie di progetti a tutto campo. Emigrato a Molsheim in Alsazia, allora territorio tedesco, nel 1909 fondò la Automobiles E. Bugatti e in breve divenne uno dei più apprezzati costruttori in circolazione, capace di realizzare vetture da corsa vincenti e, nello stesso tempo, auto di lusso di una classe ineguagliabile.

Il successo di Bugatti iniziò una lenta discesa dopo l’11 agosto 1939, giorno della morte dell’amato figlio, il giovane e promettente Jean, uscito di strada mentre collaudava una Type 57 Tank. Lo stabilimento fu bombardato durante la guerra, quindi confiscato. Bugatti si trasferì a Parigi dove continuò l’attività in sordina fino al ’47, anno della sua scomparsa.

Le redini furono prese dal terzogenito Roland, affiancato dal meccanico Pierre Marco. Nonostante una serie di tentativi, sia con auto stradali, sia nelle corse, l’azienda francese non tornò mai ai fasti di un tempo. Nel ’51, al Salone dell’Auto di Parigi, fu presentata la Type 101, l’ultima “vera” Bugatti, animata da un 8 cilindri sovralimentato di 3,2 per 200 Cv, derivato da quello montato sulla Type 57.

Su questo telaio si cimentarono numerosi carrozzieri, Gangloff, Guilloré, Antem e, per l’ultimo di essi (circa 10), Ghia. L’ultimo rolling chassis della Bugatti Type 101C (nonché ultimo telaio Bugatti prodotto), il numero 101 506, fu venduto nel 1961 al designer Virgil Exner. Questi, con il figlio Junior, disegnò un vestito in forma di roadster, una forma sconcertante che faceva parte del progetto Exner Revival Cars. Si trattò di un tentativo di revival, pubblicato sul numero di dicembre ’63 della rivista Esquire, su alcuni dei marchi più importanti del motorismo americano: Stutz, Duesenberg, Packard, Mercer, Pierce-Arrow e Jordan.

La 101 C Roadster fu, insieme a Duesemberg e Mercer, effettivamente tradotta in realtà. La realizzazione della carrozzeria fu affidata alla Ghia di Torino, che per la costruzione impiegò diverso tempo. Alla sua presentazione ufficiale alla rassegna torinese la strana Bugatti roadster by Ghia, invero piuttosto lontana dal DNA della Casa, ottenne un discreto successo, al punto che fu in breve messo insieme un discreto portafoglio ordini. Fu, tuttavia, solo un fuoco di paglia perché nuovi problemi finanziari affossarono nuovamente l’azienda. E, questa volta, in modo definitivo lasciando la C101 una stravagante creazione in esemplare unico.

Alvise-Marco Seno

 

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Categorie: Auto
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