Con un nome così, la DeTomaso Pantera non poteva che essere feroce e a tratti selvaggia. Prodotta per oltre 20 anni, la Pantera è stata l’alternativa "ruspante" in un settore molto combattuto: quello delle supersportive, dominato dalle emiliane più esclusive e blasonate.
C’è un motivo se l’Emilia Romagna è considerata la Motor Valley italiana: in quest'area si concentrano le più importanti case produttrici di auto e moto sportive. E quale posto migliore, se non la terra dei motori poteva scegliere Alejandro De Tomaso, un abile imprenditore argentino che riuscì a dar vita alle sue ambizioni nel panorama automobilistico italiano (e non solo…).
L’orbita blu. Fondata nel 1959 la De Tomaso è stata legata per molti anni alla Ford, che fornì pianali e propulsori a partire dalla Vallelunga, la prima De Tomaso stradale (1963). Il successo commerciale delle auto De Tomaso arriva qualche anno dopo, con la De Tomaso Pantera. Una nuova sportiva ad alte prestazioni frutto della sinergia tra diverse aziende satellite dell’ovale blu: la Pantera montava infatti motori Ford, lo stile venne curato dalla Ghia, mentre la Vignale si occupava dell’assemblaggio. Lo sviluppo della Pantera era stato voluto fortemente dalla Ford, che dopo la vittoriosa esperienza a Le Mans con la GT40 intendeva sfruttare la collaborazione della De Tomaso per commercializzare in Europa una supersportiva che riprendesse lo schema a motore centrale.
Bada alla sostanza. Dal punto di vista tecnico, venne abbandonato il telaio a traliccio della De Tomaso Mangusta: la Pantera doveva essere prodotta in volumi nettamente maggiori e perciò una soluzione di quel tipo sarebbe stata troppo dispendiosa sia in termini di costo che di tempistiche produttive. Tra il 1969 e il '70, lo staff delegato al comparto telaistico mise a punto una carrozzeria monoscocca sotto la regia di un giovane Gian Paolo Dallara, mentre per le sospensioni si optò per uno schema a triangoli sovrapposti sia all'anteriore che al posteriore. La meccanica era vestita da una carrozzeria moderna e appuntita: frutto della matita di Tom Tjaarda, che in quegli anni era in forza al centro stile Ghia. Sul fronte propulsivo, la un collaudato motore Ford 5.8 litri tipo “Cleveland 351”, un V8 con alimentazione a carburatore (quadruplo corpo) dalla potenza di 330 CV. Il propulsore era abbinato a un cambio manuale a 5 marce, prodotto in questo caso dalla ZF, in grado di sopportare una coppia molto poderosa. Considerati i valori importanti di potenza e coppia motrice, per la trasmissione venne adottato anche un differenziale autobloccante.
Pronto corsa. Durante gli oltre 20 anni di commercializzazione la coupé De Tomaso rivaleggiò con le più rinomate sportive a motore centrale: dall’innovativa Maserati Bora, dotata dello stesso frazionamento a 8 cilindri, alle Ferrari BB 365 GT/4 e 512 con il 12 cilindri boxer, fino alla spettacolare Lamborghini Countach, spinta anche lei da un potente V12. Sebbene non potesse competere sul fronte dello sviluppo tecnico e del blasone, la De Tomaso Pantera compensava il minor prestigio con un prezzo più contenuto e prestazioni comunque elevate. C'è da dire, tuttavia che il motore Ford era molto robusto e lasciava ampi margini di potenziamento: la De Tomaso Pantera venne molto apprezzata dai preparatori di auto da competizione e a partire dal 1972 la De Tomaso Pantera iniziò a collezionare diverse vittorie nei Gruppi 4 e 5 del Campionato GT.
Più cattiva. La commercializzazione cominciò nel 1971 e per i primi quattro anni di vendita poteva contare sul supporto ufficiale della Ford che commercializzava le De Tomaso negli Stati Uniti attraverso la rete vendita Mercury: i calcoli si rivelarono esatti e la sportiva italoamericana riscosse ebbe un buon successo. Durante i primi quattro anni l’80% delle vetture prodotte finì negli Stati Uniti, dove Ford tentò di contrastare la Chevrolet Corvette con questa inedita sportiva a motore centrale dal sapore italiano. Nel 1972 venne presentata la Pantera “L”, riconoscibile per gli ampi paraurti maggiorati, necessari per le nuove disposizioni americane per la sicurezza, mentre l’abitacolo si arricchiva di una nuova plancia e finiture più curate. L’anno successivo arrivò la Pantera GTS, caratterizzata da un look molto aggressivo: passaruota allargati per ospitare cerchi più grandi e una vistosa livrea bicolore con cofano e parte inferiore della carrozzeria in nero opaco sottolineavano l'indole corsaiola del modello.
Il declino. Le vendite della Pantera tennero banco fino alla crisi petrolifera del '73, poi la produzione calò drasticamente: nel 1974 Ford si svincolò dalla De Tomaso con una serie di prevedibili conseguenze negative nella produzione della Pantera. In primis la perdita della rete commerciale negli Stati Uniti, così come le linee di assemblaggio Vignale e la collaborazione della Ghia, tutti fattori che causarono un impennata del prezzo di listino. Nonostante queste difficoltà sopraggiunte dalla metà degli anni 70, Alejandro De Tomaso come al solito non si perse d'animo e riuscì a sfruttare i successi sportivi per promuovere due nuove versioni: partendo dal modello GTS, la gamma si arricchì delle varianti e GT5 (1980) e GT5-S (1985). Entrambe riprendevano il look delle auto corsa facendo sfoggio di parafanghi allargati e vistose appendici aerodinamiche. Nel 1990 si concludeva la produzione della De Tomaso Pantera prima serie, che totalizzò complessivamente 7258 esemplari.
Ultimi fuochi. La Pantera iniziava a risentire del peso degli anni già alla fine degli anni 80, ma la De Tomaso non disponeva delle risorse finanziarie necessarie per sviluppare un modello totalmente nuovo. Marcello Gandini venne quindi incaricato di operare un profondo restyling a partire dalla configurazione stilistica della GT5-S (che si distingueva per i passaruota integrati nella carrozzeria, e non rivettati come la GT5). Nel 1991 venne svelata la Pantera “SI”, che vedeva anche il passaggio dai carburatori all’iniezione elettronica. La seconda serie è conosciuta anche col nome di “Pantera 90”. Gli interventi donavano alla vettura un aspetto più moderno dato dalla maggior pulizia delle linee e al contempo più aggressivo per via di un nuovo alettone posteriore e una grande presa d’aria alla base del parabrezza. A livello meccanico, il vecchio “Cleveland”, venne sostituito da un nuovo V8 di origine Ford, lo stesso 5 litri utilizzato sulla Mustang, ma rivisto profondamente e dotato di catalizzatore. Con una nuova testata, alberi a camme, valvole, pistoni e collettori d’aspirazione l’incremento in termini di cavalleria era attestato sugli 80 cv, passando così da 225 a 305 CV.
Le fuoriserie. Sulla base della De Tomaso Pantera 90 venne realizzato uno speciale esemplare unico, biturbo, voluto da un acquirente inglese e denominato “Pantera 200”. Si stima che della seconda serie della De Tomaso Pantera vennero realizzati soltanto 41 esemplari, prodotti fino al 1993. Di questi, 4 vennero proposti in versione targa, con tetto rimovibile: ultimati tra il 1993 e il ‘94 presso la Carrozzeria Pavesi di Milano. Il costo di questa trasformazione era a dir poco proibitivo, corrispondente a metà del prezzo di listino di una Pantera a tetto chiuso…