Vista da lontano, la tempesta di questa settimana increspò appena le acque. Tutto, tra Torino e Sochaux, sembrava logico e naturale, ma chi si intendeva di automobili si accorse del cambiamento. Novità epocali, prima e dopo. E non solo per l’industria francese.
Georges Boschetti, nel 1949 era il direttore del reparto carrozzeria alla Peugeot.Ma non era il suo cognome a fargli tener d’occhio cosa facevano gli stilisti dall’altra parte delle Alpi. Il ricordo dello scandalo al “Salon des Refusés”, tre anni prima, era ben vivo. Il Figaro aveva titolato “Quel diavolo di Farina” e applaudito il maestro italiano che – non potendo esporre ufficialmente in quanto ex-nemico – aveva parcheggiato le sue auto davanti al Grand Palais, creando un trambusto che fermava il traffico. Quando, con il nuovo anno, Boschetti e Jean Pierre Peugeot fecero sapere che si stava cercando un incontro con il principe dei carrozzieri, al “bureau d’étude“ de La Garenne qualcuno mugugnò. Ma in fondo ce lo si poteva aspettare.
Si cambia musica. Ma perché il marchio del leone, appena risorto dalle ceneri della guerra con la 203, aveva già bisogno d’aiuto? Proprio per via della 203, l’unica vettura allora in listino, nata senza molta fantasia, pantografando in piccolo le berline americane degli anni ’40. Appena prima dell’arrivo della rivoluzione Ponton. Si aveva quindi la sensazione che la nuova Peugeot fosse nata un po’ vecchia e - pur vettura onestissima e bene accolta dal pubblico – avrebbe presto avuto bisogno di una compagna più moderna. Nulla di eclatante successe però fino all’aprile del ’51, quando Jean Pierre Peugeot e Battista Farina si strinsero finalmente per la mano, al Salone di Torino. O meglio: il “bureau d’étude” aveva lavorato sodo, e stava per proporre la terza versione in scala di quella che sarebbe stata la futura 403. Una linea pulita, europea, abbastanza moderna, per dimostrare ai piani alti che gli stilisti interni potevano fare da soli. Ma nessuna decisione ai vertici era stata presa, in attesa dell’incontro.
Guardando Oltreoceano. Esaminate oggi (sono miracolosamente sopravvissute e visibili al Museo di Sochaux) le maquette “interne” 1 e 3 del nuovo modello hanno già alcuni degli elementi distintivi della vettura che sarà prodotta nel ‘55. Mentre la proposta 2, più spigolosa e ardita, sembra prendere l’ispirazione proprio da una creatura di Pinin per l’America: la Nash Rambler. Si può allora facilmente immaginare la non facile coabitazione dell’ufficio stile Peugeot con i rimaneggiamenti venuti da Torino, tra il ’51 e la fine del ’52. Quelli che daranno poi vita alla 403, una delle Peugeot di maggior successo e rilevanza per lo sviluppo del marchio. D’altra parte, guardando modelli e disegni nei dettagli, è evidente l’importanza dell’apporto venuto da Farina, che alleggerisce, ingentilisce e rende essenziale l’insieme, calibrando le proporzioni. Come in un bel viso, del resto, anche in una bella automobile basta spostare qualcosa un po’ più in su, o un po’ più in giù, farlo appena più grande o un poco più piccolo, per renderlo attraente.
Mezzo secolo di successi. Ecco quindi la prima tempesta sotterranea, scoppiata con la firma del contratto di collaborazione dell’11 maggio 1951, arrivata al suo acme con il lancio del ‘55, e portatrice di un complesso di inferiorità dei creativi Peugeot, che durerà qualche decennio. D’altra parte la qualità dei progetti che seguiranno, dalla 404 alla 504 – incluse le versioni sportive - alla 405, fino al coupé 406 – quest’ultimo considerato tra i più belli della Casa – non fa che sottolineare il successo dell’affare Peugeot-Pininfarina. Che durerà mezzo secolo e costruirà anche legami di amicizia all’interno delle due famiglie. Proprio con la 406 coupé (tra l’altro ingegnerizzata e prodotta a Grugliasco, fino al 2005) e la citycar 1007 a porte scorrevoli, si interrompe il matrimonio da favola. E qui arriva la seconda tempesta, perché se signorilità e discrezione sono state la regola, il vuoto che si apre alla Pininfarina è preoccupante e con la fine del connubio con Ferrari nel 2013, segnerà il tramonto di un’epoca.
La fine delle piccole produzioni. Ma i fatti un po’ malinconici che narriamo non riguardano solo il principe dei carrozzieri e la lunga dinastia dei Peugeot. Si trattava di una fine annunciata, non di incidenti di percorso che, come detto, non ci furono affatto. Era lo scorrere del tempo e del mondo che cambiava. A cavallo degli anni ’80, e poi sempre più, il fattore stile diventa strategico nella visione dei costruttori. Il DNA delle marche, il family feeling, il bisogno di rinnovare un modello in tempi sempre più serrati, detta le regole per il rafforzamento degli uffici stile interni. In più la tecnologia ha fatto passi da gigante. Se fino agli anni ’70 costruire le piccole serie era antieconomico, le nuove linee robotizzate permettono di differenziare, essere flessibili, efficienti, anche per i coupé, cabriolet e le spider. Quindi, d’ora in poi, tutto può nascere in casa, generando profitto.
Arrivederci e grazie. Da sempre il contratto Pininfarina-Peugeot si rinnovava ogni tre o quattro anni, adeguando le cifre. Con l’arrivo di Pierre Peugeot, all’inizio degli anni 2000, una parte di quei soldi vengono dirottati su La Garenne, per far crescere i designer interni. Ci vorrà tempo e fatica: spesso i “giovani” dovranno accontentarsi di rimaneggiare le idee migliori, che vengono ancora da Torino. Poi l’addio definitivo, che come detto tocca o ha già toccato quasi tutti, costruttori e consulenti. Gérard Welter, chief designer di Sochaux, firma la 407, che nelle sagome parla ancora un po’ di italiano. Poi arriva la veramente modesta 408 e – qualcuno dice per fortuna – l’età della pensione. Gli succede Michel Gallix che brilla ancora meno, al punto che qualche anno dopo lo stile Peugeot passa sotto l’egida Citroën, con Jean Pierre Ploué a capo di PSA e Gilles Vidal sul marchio del leone. Sic transit…