Non vogliamo guastare la festa al 50° compleanno della GS, auto capolavoro, nel suo genere, di cui ci siamo già molto occupati. Ma anche in questa storia a lieto fine (2.5 milioni di auto prodotte) non mancò una tempesta memorabile, che contribuì alla débacle della Citroën nel 1974. Era la sfortunata avventura del motore Wankel.
Tutti sanno che quando la DS scese sulla terra nel 1955, le berline della concorrenza invecchiarono di colpo. Non si riusciva più a guardare, non diciamo una Peugeot o una Simca, ma neanche le blasonate Mercedes, BMW e Rover: erano diventate dei dinosauri. In Italia, chi comprava Alfa lo faceva per altri motivi e nel ’57 arrivò il paradigma della Flaminia; anche lei un mondo a parte. La forma disegnata dal vento, il futuro immaginifico, il condensato di tecnologia e di confort erano però ancora dalla parte della Deésse. Ma all’ammiraglia francese, nonostante le follie di Fantomas al cinema, non si potevano chiedere prestazioni sportiveggianti. Il capolavoro di Bertoni era mosso dallo stesso motore della Traction Avant tipo 11, quattro cilindri a corsa lunga, albero a camme laterali, messo in bella copia ma…anno di grazia 1934.
L’antidoto Wankel. Forse per la consapevolezza di questi limiti, a cui si era cercato di porre rimedio con progetti interni a sei e otto cilindri, tutti fallimentari, i manager Citroën cercarono sbocchi all’estero. Da un lato la joint-venture con NSU nel rivoluzionario progetto Wankel, dall’altro l’acquisizione della Maserati, che avrebbe condotto alla motorizzazione della SM e, magari, di altri modelli di punta. Purtroppo entrambe queste scelte non portarono fortuna, a fronte di costi elevatissimi per la Società che avrebbe, anche per questo, alla fine perso l’equilibrio.
Intesa franco-tedesca. Nel 1967, dopo tre anni di ricerche preliminari, Citroën e NSU, avevano dunque fondato la Comotor, una fabbrica non grande (impiegava circa duecento operai), ma che sembrava guardare al futuro. Nel ’69 debuttò la prima Citroën con motore rotativo. Battezzata M35 e derivata dalla Ami 6, era alimentata da un piccolo motore a rotore singolo. Non era destinata alla produzione in serie, ma a fungere da banco-prova nel mondo reale per il suo “cuore” Comotor. Si prevedeva di produrre cinquecento M35, che sarebbero state vendute a clienti selezionati, che accettavano di coprire almeno trentamila chilometri all'anno. La manutenzione era a totale carico Citroën e alla fine dei test la Casa avrebbe ricomprato i prototipi a prezzi vantaggiosi. Le prestazioni e l'affidabilità della flotta M35 sarebbero state monitorate attraverso la rete di concessionari. Era un'idea audace e a suo modo funzionò. Sebbene siano state effettivamente costruiti solo la metà delle M35 previste, una notevole quantità di dati utili arrivò ai tecnici di Citroën e Comotor. La strada per un grande Wankel a tre rotori per l’erede della Déesse appariva spianata. Ma il progetto della futura CX muoveva allora i primi passi e il buon senso voleva che prima di rischiare tutto su una tale ammiraglia, si tastasse il terreno con una vettura più piccola. E questa era già pronta: si chiamava GS.
L’anno fatidico. Tre anni passarono tra il debutto del modello base e l’arrivo della GS Birotor, (con appunto solo due cilindri rotanti), che fu lanciata al salone di Francoforte del 1973. Tre anni cruciali, sia per quel che successe nel mondo, che per quanto capitò alla NSU Ro80, l’altra metà del progetto Comotor. La tanto attesa berlina tedesca, che ancora oggi ci colpisce per il suo disegno modernissimo ed essenziale, stava facendo fiasco. Applaudita per l’estetica e le promesse che faceva, premiata come Auto dell’anno del 1968, si era rivelata fragile su strada, proprio nella durata e affidabilità del suo sorprendente propulsore. Come è noto, le parti di attrito del rotore non reggevano l’usura a freddo e i primi disastri si verificavano dopo soli trentamila chilometri. Proprio dove si era interrotta la sperimentazione delle M35. Era un problema di materiali e metodologie costruttive, che comunque furono messe a punto nei primi due anni di produzione.
Andò a ramengo. Il Birotore gemello della GS nasceva quindi rodato e con cinque anni di esperienza. Ma, come quasi sempre accade, smentire una cattiva notizia – non parliamo poi di una bugia - è molto più difficile che darla. Persa la fiducia e la faccia, val la pena abbandonare il campo. L’occhio quindi di chi vide nascere al nuova GS, bicolore metallizzata, ben rifinita, scattante (107 cv) e vellutata come mai, non fu benevolo. Soprattutto quello del cliente, che tra l’altro doveva sborsare il 60% in più del prezzo di listino del modello normale. Del resto costruire la Birotor era costoso: a parte l’ammortamento della meccanica, cambio, sistema di scarico (molto complesso a causa del calore e delle emissioni), carreggiata, pianale, parafanghi, cruscotto erano componenti specifiche al modello.
Il colpo di grazia. Alla dubbia fama ereditata dalle prime Ro80 si aggiunse la crisi petrolifera e fu questa, probabilmente, la scure che affossò la automobili Wankel in Europa. La Birotor consumava il 35% in più delle consorelle e beveva pure olio, perché per lubrificare il rotore era necessaria – di fatto – una miscela all’1%. In questo scenario a dir poco ostile gli uomini della Citroën incrociarono le dita, come già stavano facendo per l’avvenire della lussuriosa SM (le cui vendite si fermarono con la Guerra del Kippur) ed i costi di sviluppo della CX (che per questo avrebbe debuttato anche col preistorico quattro cilindri derivato dalla Traction). Purtroppo la scaramanzia non bastò: solo settecento Birotor furono acquistate dalla clientela nel 1974 e meno di duecento l’anno successivo. Il progetto era morto.
A un passo dal tracollo. Con centoventimila auto invendute, un buco di cinquecento milioni di franchi nel bilancio di metà anno e Michelin socio di controllo che si dava alla fuga, la nobile Casa stava fallendo. Il Governo francese implorò Peugeot di salvare la nemica di sempre, anche perché era l’unica nel Paese che potesse permetterselo. Cosa che infine avvenne. Ma la medicina del Leone fu durissima: la DS e la SM uscirono di produzione nel ’75, la Ami Super nel ’76, I camion Berliet furono ceduti alla Renault, la Maserati a De Tomaso. E la GS Wankel? Gli ottocentosettantatre proprietari si videro recapitare una proposta di permuta che offriva, con un minimo extra, la nuova CX. Un codicillo non trascurabile lasciava anche capire che, oltre il periodo di garanzia, manutenzione e ricambi non sarebbero più stati disponibili. Così, ingloriosamente, si chiuse la breve parabola di questa vettura per molti versi deliziosa, ma arrivata nel momento sbagliato, nel posto sbagliato. Altri, altrove (ad oriente per esempio) avrebbero saputo farne un successo.
Un sacrificio ingiustificato. In Francia quasi tutte le Birotor furono ritirate, con notevole esborso, poi trasferite al centro “segreto” di La Ferté-Vidame e da qui, con molto comodo, avviate alla demolizione. In particolare i motori, furono resi subito inservibili e poi schiacciati, insieme tonnellate di ricambi. Una lettera raccomandata della direzione assistenza aveva già diffidato i concessionari di “anche solo accogliere” i pochi veicoli rimasti. Fu in infanticidio crudele. Perché se la macchina consumava un po’ troppo, non era certo l’unica a farlo. L’oggetto era innovativo e di pregio, perfettamente in linea con la filosofia Citroën. Col senno di poi (ma è un esercizio facile), se si fosse tenuto duro un po’ di più a lungo la regina delle GS avrebbe potuto trovare la sua strada. Oggi imbattersi in una Birotor è cosa rara: se ne vedono un paio alla volta ai raduni, nelle migliori occasioni. Ma esiste un club Wankel-Citroën che le ricerca e le protegge, e si stima che una trentina siano ancora a spasso. L’ultima avvistata sul Web era in Inghilterra, offerta in vendita (e venduta), pochi mesi fa, a trentatremila euro.
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