Mini, i vent'anni di un classico reinventato - Ruoteclassiche
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27/04/2021 | di Giancarlo Gnepo Kla
Mini, i vent’anni di un classico reinventato
Il 26 aprile 2001, la prima Mini di nuova generazione lasciava lo stabilimento di Oxford. Ecco come si è evoluto l'iconica compatta anglo-tedesca.
27/04/2021 | di Giancarlo Gnepo Kla

Sono trascorsi 20 anni dal debutto della “nuova” Mini, prodotta dalla BMW. Le somiglianze col modello d’origine si limitavano a richiami estetici, perpetuate con lo stile rétro imperante nei primi anni 2000. Anche il “go kart feeling” venne mantenuto, ma la Mini del 21° secolo era un’auto completamente nuova e, sin dalla sua presentazione, abbastanza matura per essere acclamata come una classica di domani.

All’alba del Terzo Millennio, la gloriosa Mini progettata da Alec Issigonis usciva di scena dopo 40 anni di onorata carriera. Il modello originale venne commercializzato con innumerevoli marchi, a seconda degli intricati assetti finanziari dell’industria britannica. Nella sua ultima iterazione, la Mini originale sostò nei listini Rover fino al 1999. Già a metà degli anni 90 vennero presentate delle proposte di stile per tastare il polso del pubblico in vista del nuovo modello, che avrebbe traghettato l’iconica vetturetta inglese nel nuovo secolo.
Nel 2000, con l’acquisizione della Rover da parte di BMW, l’erede della gloriosa utilitaria britannica divenne una prerogativa della Casa tedesca. L’anno successivo venne svelata con clamore la “Nuova Mini”, indicata con la sigla R50.

La gamma Mini R50. Due i modelli disponibili al lancio: One, Cooper, seguite nel 2002 dalla Cooper S. Tutte con motore Chrysler-Rover da 1,6 litri declinato nelle varianti da 90, 116 e 163 CV (con compressore volumetrico). Dal 2003, la gamma si ampliava con la Mini OneD, spinta da un 1,4 litri common rail di origine Toyota.
Alla fine del 2004 la linea della Mini venne sottoposta ad un leggero restyling. Oltre al maquillage che interessò i paraurti, la fanaleria e alcuni indicatori interni, vi furono alcuni aggiornamenti meccanici. La Cooper S guadagnò 7 CV toccando così i 170 CV. Gli interventi riguardarono il compressore volumetrico, l’impianto di scarico e il cambio (con rapporti più corti) che la resero più brillante. La Cooper S copriva l’accelerazione 0-100 km/h in 7,2 secondi e raggiungeva una velocità massima di 222 km/h. Nel 2003, lo storico preparatore John Cooper Works mise a punto un kit di potenziamento che elevava la potenza delle Mini Cooper S fino a 200 CV sui modelli pre-restyling e 211 CV sugli esemplari ristilizzati.
La Mini Cooper venne equipaggiata con un cambio Getrag, più robusto della trasmissione “Midland” proposta in origine. Infine, con il facelift, la Mini OneD guadagnò 13 CV raggiungendo una potenza di 88 CV: a tutto vantaggio delle prestazioni.

Nuova identità. Il Gruppo BMW mise a punto un imponente campagna marketing e dette al nascente brand “MINI” un’identità propria, ricercata e sbarazzina. Nelle lettere d’invito per la presentazione, ai potenziali clienti si dava del tu, con un format giocoso e sul filo dell’irriverente. Del resto, anche lei, la Mini non aveva certo voglia di essere un’auto seriosa, con la sua vasta gamma di colori sgargianti, le “bonnet stripes” (le caratteristiche strisce sul cofano) e le diverse bandiere per il tetto. Di tipologie differenti anche la lunga lista di cerchi in lega. Configurare la propria Mini doveva essere divertente quasi come guidarla, perché una volta in strada sfoggiava la stessa grinta e la precisione dell’antenata.
La Mini piaceva e piace tutt’ora per il suo stile British, trendy e ricercato, capace di esprimere la personalità del proprietario. Una peculiarità sempre più rara da riscontrare sulle auto recenti. Le infinite personalizzazioni, la maneggevolezza, così come le sue linee, essenziali ed iconiche, sancirono il successo globale ed immediato della nuova piccola anglo-tedesca.

Gli stabilimenti Mini. In virtù di queste riflessioni, il Gruppo BMW decise mantenere la produzione della nuova “R50” in Inghilterra, nello storico stabilimento di Oxford, garantendo così l’identità fortemente britannica del modello. Nei primi mesi del 2001, a Swindon iniziava la produzione delle scocche, mentre il 26 aprile 2001, la prima Mini di nuova generazione lasciava le linee di montaggio di Oxford.
I due impianti vantano una lunga tradizione manifatturiera: a Swindon si costruiscono automobili dal 1956, mentre lo stabilimento di Oxford, ancora più antico, è attivo dal 1913. Qui, negli ultimi vent’anni sono state costruite oltre cinque milioni di automobili, tra cui le attuali Mini “hatchback” a tre e cinque porte, la Clubman e la Cooper SE elettrica.
Il lancio della nuova Mini, ha attirato un crescente numero di turisti nella zona: lo stabilimento di Oxford è diventato meta di "pellegrinaggio" per gli appassionati del marchio e per tutti coloro che transitano nell’antica città universitaria. Il tour degli stabilimenti Mini, infatti, ha già deliziato 26.000 visitatori.

Squadra vincente. Oliver Zipse, attuale Presidente del Consiglio di Amministrazione del Gruppo BMW, è stato responsabile della produzione nello stabilimento di Oxford nel biennio 2007- 2008. In occasione del ventesimo anniversario dall'inizio della produzione, ha dichiarato: "Porgo le mie congratulazioni agli stabilimenti Mini di Oxford e Swindon per aver raggiunto un traguardo produttivo così importante. Conservo ricordi molto belli del mio periodo a Oxford. È stato un vero piacere lavorare in ‘Casa Mini’ con persone coinvolgenti e appassionate, che sono il cuore pulsante del marchio. Quasi un quarto di loro ha dedicato questi 20 anni, e anche più, alla costruzione delle nostre vetture".
Tra Swindon e Oxford sono impiegati oltre 4.500 dipendenti e 130 apprendisti: una squadra capace di assemblare 1.000 vetture al giorno. “Produciamo una Mini ogni 67 secondi” dichiara Peter Weber, Managing Director degli stabilimenti di Oxford e Swindon dal 2019 e aggiunge: "Sono estremamente orgoglioso dei nostri team di Oxford e Swindon e dell'incredibile lavoro che svolgono. Il continuo impegno e la loro passione, negli ultimi 20 anni, hanno contribuito a rafforzare la reputazione della Mini in tutto il mondo".
In un ventennio, gli stabilimenti di Oxford e Swindon hanno svolto un ruolo decisivo nel rendere la produzione sempre più sostenibile e sono diventati determinanti nella strategia del Gruppo BMW per ridurre le emissioni inquinanti delle vetture e dei processi produttivi. Inoltre, a partire dal 2030, Mini sarà il primo marchio dell’orbita BMW ad offrire l’intera gamma di modelli con propulsione elettrica.

Evoluzione della specie. Dal 2001 il nome “Mini” non indica soltanto un’automobile ma un brand composto da modelli diversi, ciascuno con una precisa identità. A partire dalla capostipite R50, la produzione Mini ha visto un rapido proliferare di versioni, allestimenti e serie speciali.
Il clamore suscitato lasciava presagire che la nuova Mini sarebbe stata un grande successo e già nel maggio del 2002, l’esemplare numero 100.000 lasciava le linee di produzione.
Nel 2004 è stata la volta della Mini Cabrio, l’elegante versione a cielo aperto con tetto in tela. L’anno seguente è toccata alla speciale Cooper S John Cooper Works GP, prodotta in soli 2.000 esemplari con la collaborazione della Bertone nello stabilimento di Grugliasco. Intanto, con la nascita della seconda generazione (R56), nel 2006, la gamma si è ampliata con la Clubman, la variante “wagon” con passo allungato di 25 cm e porte posteriore a battente. La giardinetta si distingueva anche per la particolare anta laterale sul lato passeggero che facilita l’ingresso al divano posteriore. Nel 2009 vengono avviati i test per la Mini E, il primo modello elettrico. Nella prima decade del 21° secolo, il segmento dei crossover si stava affermando rapidamente e, nel 2010, Mini lancia il primo modello a trazione integrale del marchio: la Countryman.

Verso il 2030. Tra il 2011 e il 2012 sono state presentate le varianti più “estreme” della gamma: le Mini Coupé e Roadster, entrambe a due posti. Nel 2021 debutta anche la Paceman: una rivisitazione coupé, con sole due porte della Countryman.
La terza generazione, indicata come F56 debutta nel 2014 e per la prima volta è disponibile anche in versione cinque porte (F56), mentre la Clubman viene proposta con quattro comode porte di dimensione ordinaria. Prosegue intanto la produzione della Cabrio e della Countryman, che nel 2017 giunge alla sua seconda generazione. Nel 2019, lo stabilimento di Oxford tocca un nuovo record: con la 10.000.000ª Mini. Con il nuovo decennio, nel gennaio 2020 inizia la produzione della Mini Cooper SE, è Il primo passo verso l’elettrificazione completa della gamma e il primo capoverso di un nuovo e importante capitolo nella storia Mini.

Instant classic. Mentre l’industria automobilistica si orienta con decisione verso la mobilità elettrica, la Mini R50 debutta ufficialmente tra le youngtimer portando con sé un corredo molto appetibile: una guida decisamente analogica e improntata alla miglior interazione possibile tra automobile e guidatore e ovviamente il fascino, quello autentico delle vere icone. Se ne parlava già dal suo debutto, quando diversi addetti mormoravano “Questa Mini sarà un classico!”.
In molti sottolineano, ben a ragione, che le riedizioni delle auto che hanno fatto scuola nel Novecento, non hanno la stessa portata innovativa. E la Mini non fa eccezione. Tuttavia, oggi, i tempi sono maturi per riconoscere che la R50 è stata un prodotto che ha segnato la storia dell’automobilismo contemporaneo. In primis per lo stile ma anche per il concept, assolutamente riuscito, che ha permesso di trasporre i geni di una vettura fortemente identitaria ad un’intera famiglia di modelli. Un’idea vincente che rende la Mini degna di essere annoverata, a pieno titolo, tra i grandi classici del 21° secolo.

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