Ferrari Superamerica e Superfast: Le fuoriserie più esclusive del Cavallino (Parte III) - Ruoteclassiche
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18/05/2021 | di Giancarlo Gnepo Kla
Ferrari Superamerica e Superfast: Le fuoriserie più esclusive del Cavallino (Parte III)
Terza ed ultima parte dello speciale sulle granturismo Ferrari d'alta gamma. In questo articolo vi raccontiamo la storia e le caratteristiche della 500 Superfast.
18/05/2021 | di Giancarlo Gnepo Kla

La Ferrari 500 Superfast conclude il ciclo delle Ferrari d’alta gamma realizzate artigianalmente. Punta di diamante della produzione granturismo del Cavallino, nel 1964 la 500 Superfast garantiva il massimo in termini di lusso e prestazioni. Venne realizzata in pochissime unità, tutte destinate ai più noti esponenti del jet set.

Con quasi cinque metri di lunghezza, potremmo definire la 500 Superfast una Ferrari in abito lungo. Dimensioni importanti, dissimulate con grazia dalla leggiadria dei suoi volumi affusolati e sfuggenti. E non poteva essere altrimenti per un’auto come la Superfast, predestinata ad entrare di diritto nell’Olimpo delle automobili.
Con circa 40 esemplari, la 500 Superfast resta uno dei modelli più esclusivi di sempre nella storia Ferrari. La rarità e una risonanza mediatica, più contenuta se vogliamo, rispetto alle “superstar” dipendono dalla sua identità: aristocratica e improntata più all’opulenza che alla sportività viscerale dei modelli da corsa e di certe stradali estreme che hanno reso famosa la Casa del Cavallino. Le prestazioni non mancavano di certo, anzi… ma l’esperienza a bordo di una 500 Superfast elevava i fortunati occupanti ad una dimensione nuova in cui collimavano finiture curate, materiali pregiati e la magia di un motore V12, celato sotto un lungo cofano che puntava all’infinito.

La nuova ammiraglia Ferrari. La 500 Superfast raccolse il testimone dalle 410 e 400 Super America, debuttando al Salone di Ginevra del 1964. La linea riprendeva chiaramente quella del modello che andava a sostituire, ma la 500 Superfast appariva immediatamente più lunga e slanciata. La denominazione “500”, anche in questo caso richiamava la cilindrata totale del motore, che era di cinque litri, e non quella unitaria. La dicitura Superfast evocava le eclettiche e potentissime fuoriserie che si sono susseguite tra la fine degli anni 50 e i primi 60.
A metà anni 60, la 500 Superfast è stata la più glamour tra i modelli Ferrari e probabilmente svettava anche sulle altre granturismo di lusso, non foss’altro per l’ethos evocato dal quel magico Cavallino rampante.

La granturismo dell’élite. La clientela di riferimento non era solo facoltosa, ma apparteneva a un mondo completamente estraneo all’ordinarietà che accomuna quasi tutti noi. Tra i fortunatissimi proprietari c'era un parterre di grandi intenditori di automobili, un pubblico colto composto da estimatori del bello, figure come lo Scià di Persia (che ne comprò due), i principi Sadruddin Aga Khan e Bernardo d’Olanda. Quest’ultimo già proprietario, tra le altre, della Ferrari 250 GT Speciale, antesignana delle Ferrari 400 e 500 Superfast. Oltre alle teste coronate, tra i più noti possessori della 500 Superfast, vi erano poi gentlemen drivers del calibro di Peter Sellers e del Colonnello Ronnie Hoare della Royal Artillery, un habitué del circuito di Goodwood.
Parlare di prezzi, specialmente quando si affronta un discorso su un modello tanto raffinato, non è sintomo di eleganza, lo sappiamo… in questo caso, tuttavia, è necessario per comprendere la dimensione ultraterrena di questa straordinaria creatura a quattro ruote. La Ferrari 500 Superfast costava l'equivalente di due Rolls-Royce Silver Cloud o cinque Jaguar E-Type coeve. Rimanendo in “casa”, al prezzo di una Ferrari 500 Superfast si potevano acquistare ben due 275 GTB.

Arte in movimento. Nel complesso, la silhouette della nuova Superfast appariva più snella e filante. La linea era infatti armonizzata su una lunghezza maggiore e resa più pulita con l’eliminazione delle modanature lungo le fiancate. Un’altra differenza stilistica rispetto al passato consisteva nel particolare taglio aerodinamico della “Coda Kamm”, prominente e rastremata. Potremmo definire “poetico” il passaggio con il lunotto posteriore, avvolgente, nella zona in cui si innesta nel volume posteriore che genera la più sottile delle ondulazioni mentre degrada verso il taglio brusco della coda Kamm, con la fanaleria incassata.
Il muso, basso e veloce, si caratterizzava per i fari circolari, incassati (carenati su richiesta), e i paraurti a lama, uno per lato, che furono poi adottati su tutta la gamma Ferrari. Al centro del frontale, la tipica bocca ellittica. L’ensamble di questi elementi stemperava elegantemente i numeri di cui è capace questa vettura. L'acquirente tipico della Superfast la desiderava esattamente così, in modo che fattori come il suo potere personale ed economico, ma soprattutto la sua classe venissero sussurrati, emanati quasi, non urlati.
La bellezza dei volumi e la cura nella lavorazione delle superfici tracciate da Pinin Farina, per mano del maestro Aldo Brovarone, rimandava alle sculture degli antichi “profeti” della sezione aurea: opere che incantano tutt’oggi i visitatori delle sale espositive dei principali musei sparsi per il mondo.

Produzione artigianale. Nonostante le dimensioni importanti, la nuova ammiraglia Ferrari risultava più elegante delle 330 GT 2+2 e 365 GT 2+2, prodotte poco dopo. Inoltre, la Superfast è stata l’ultima vettura del Cavallino costruita in serie limitata per una pletora, selezionatissima, di connoisseurs. A metà degli anni 60, gli stabilimenti Ferrari si stavano convertendo alla produzione su linee di montaggio, più moderne e meccanizzate. La realizzazione di questi esemplari speciali prevedeva che i telai venissero inviati a Torino, alla Pinin Farina, dove sarebbero stati vestiti con la carrozzeria e gli interni: un processo lungo e decisamente costoso, non conciliabile con la produzione in serie.
La scocca era in acciaio e rappresentava un aggiornamento del “Coupé Aerodinamico”, un concetto adottato per la prima volta sulla precedente Ferrari 400 Superamerica. Si calcola che venissero costruite solo due 500 Superfast al mese, per un totale di 25 unità completate entro il 1965. Nel 1966 vennero ultimati 12 esemplari della seconda serie, equipaggiati con cambio a cinque marce.

Coupé extralusso. All'interno, gli occupanti godevano di un abitacolo ampio, dotato di sedili regolabili e rivestiti in profumato cuoio Connolly. Dietro le sedute era presente una grande piattaforma rivestita in pelle per caricare bagagli. La plancia era rifinita con legno Teak impiallacciato e prevedeva un grande dispiego di manometri e indicatori: il linguaggio dell’epoca per sottolineare il prestigio e la vocazione edonistica della Superfast. La console centrale e la plancia erano unite, mentre un bracciolo centrale, piuttosto tozzo, forniva un comodo supporto per il gomito del guidatore. Di serie gli alzacristalli elettrici, mentre l'aria condizionata era un'opzione, al pari dei sedili posteriori ottenibili al posto del pianale per i bagagli, dotato di cinghie fermacarico.

La meccanica. Sul piano tecnico, la Ferrari 500 Superfast derivava dalla 400 Superamerica, ma era dotata di un nuovo cinque litri. Il propulsore era frutto degli studi condotti da Gioachino Colombo e Aurelio Lampredi nel dopoguerra. Indicato come “Tipo 208”, combinava il cosiddetto blocco lungo del V12 del 1950 progettato da Aurelio Lampredi (e i suoi centri dell'alesaggio di 108 mm) con le teste dei cilindri del successivo V12, a blocco corto, di Gioacchino Colombo, che definì questa variazione. La cilindrata era a pari 4962cc era, mentre l’alimentazione era assicurata mediante tre carburatori Weber 40 DCZ/6. Ferrari dichiarava una potenza di 400 CV, sufficiente per far toccare alla Ferrari 500 Superfast una velocità massima di 280 km/h.
La maggior parte degli esemplari appartenenti alla prima serie montava un cambio a quattro marce con overdrive commutabile sulla quarta. Gli ultimi esemplari ottennero invece una trasmissione convenzionale a cinque marce.

Base collaudata.
Il telaio della Superfast riprendeva l’architettura tubolare, in acciaio, usata sulla 400 Superamerica, della quale conservava anche la stessa misura dell’interasse. Eccezion fatta per il motore, meccanicamente l'auto rispecchiava il modello precedente, sospensioni incluse. Queste consistevano in ruote indipendenti con l’anteriore a doppi quadrilateri a molle elicoidali e barra antirollio, al posteriore c’era invece un meno raffinato ponte rigido con due puntoni. L’impianto frenante, sviluppato dalla Dunlop, si avvaleva di freni a disco sulle quattro ruote. Come buona parte delle Ferrari d’antan, anche la 500 Superfast viaggiava su ruote a raggi Borrani, qui di diametro allargato per calzare pneumatici 205 x 15.

L’eredità della Superfast. Con la consegna degli ultimi esemplari, la Ferrari 500 Superfast non ebbe eredi dirette: la grande coupé venne sostituita dalla Ferrari 365 California, un modello altrettanto lussuoso ma con carrozzeria roadster. L’idea dell’ammiraglia Ferrari a due porte venne riproposta con la Ferrari 365 GTC 2+2 del 1967 ma giunse a piena maturazione solo con la 365 GT4 2+2 del 1972 (e con le sue derivate 400 e 412).
In tempi più recenti, sono stati modelli come la 456 GT del 1992 e la 612 Scaglietti del 2004 a perpetuare i principi del granturismo all’italiana introdotti con i modelli Superamerica. Il nome Superfast oggi evoca ancora prestazioni elevatissime ed esclusività, espresse con un linguaggio diverso: più aggressivo e flamboyant.

Musica maestro! La silhouette seducente della Ferrari 500 Superfast resta ancorata a pensieri romantici che si accompagnano a tutti quei dilemmi che una vettura del suo fascino può instillare: dalla scelta del luogo più chic per l’aperitivo con vista, all’abito più idoneo per raggiungere una cena di gala, il jet, lo yacht o… semplicemente, guidare verso l’angolo di Paradiso (terrestre) che offre gli scorci più belli da godersi con in sottofondo la sinfonia esaltante del suo V12.

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