Dalle storiche alle youngtimer, ecco 10 proposte per vivere la città senza stress e senza rinunciare ad uno stile unico. Più o meno vintage a secondo delle preferenze.
Chi vive in città sa bene quanto possa essere frustrante la ricerca del parcheggio, il traffico a passo d’uomo e tutta la serie di situazioni snervanti che comporta la circolazione nelle ore di punta. Alzi la mano chi non ha sognato di uscire di casa per raggiungere un certo indirizzo senza trovare ingorghi e magari con il parcheggio esattamente davanti al luogo prestabilito. La realtà purtroppo è diversa e in tal senso le dimensioni contano: piccolo è meglio. Nella giungla urbana, un veicolo compatto è sicuramente un vantaggio.
Ci hanno insegnato che la trasmissione automatica rende la guida più fluida e sicura e che ci permette di concentrarci maggiormente sulla strada. In teoria non fa una piega, nella pratica è anche vero che i cambi automatici di vecchia concezione non sono l’ideale per chi vuole provare l’ebbrezza della guida autentica e sportiva. Se siete degli smanettoni, probabilmente avrete già smesso di leggere, per tutti gli altri resta valido il principio di base: con uno stile di guida rilassato le automatiche svolgono perfettamente la loro mansione utilitaristica. Come sempre, tutto va contestualizzato.
Ecco perché abbiamo scelto 10 piccole utilitarie, tutte con cambio automatico, totalmente diverse per epoca e nazionalità ma accomunate dalla stessa missione: combattere lo stress della guida cittadina affrontandolo con souplesse e una buona dose di stile e simpatia, due doti che non guastano mai.
DAF 44. Prima di parlare del modello specifico è bene ricordare che l’olandese DAF è stata tra le primissime Case europee a proporre la trasmissione automatica sulle utilitarie, un marchio di fabbrica che accompagnò l’intera produzione automobilistica della Casa olandese fino al 1975. Negli anni 60, il cambio automatico era una prerogativa delle auto di alta gamma, senza contare che c’erano grandi pregiudizi legati a questo tipo di trasmissione, che iniziò ad avere una maggior diffusione soltanto a partire dagli anni 70.
La DAF 44, nel 1966, era tra le pochissime auto di piccole dimensioni dotata di cambio automatico. Con una linea equilibrata e piacevole firmata da Giovanni Michelotti, l’utilitaria olandese riscosse un buon successo. Le precedenti Daffodil e la 600, antesignana delle DAF automatiche, non potevano definirsi propriamente aggraziate. Come i modelli precedenti, la DAF 44 adottava il cambio “Variomatic”. Il sistema era composto da cinghie e pulegge che, in base alla velocità, variavano in modo continuo il rapporto di trasmissione. Al conducente non restava che accelerare e frenare concentrandosi soltanto sulla strada. La Daf 44 era mossa da un “otto e mezzo” da 34 CV ed era capace di superare i 120 km/h. La Daf 44 venne proposta sia nella classica configurazione berlina due porte e sia in una simpatica variante giardinetta con portellone.
Innocenti Mini Matic. La Mini è una delle utilitarie più amate nella storia dell’auto, una piccola grande icona British famosa ai quattro angoli del globo terracqueo. Questo modello, tuttavia, è stato prodotto anche al di fuori del Regno Unito: tra il 1965 e il 1975 è stata la Innocenti di Lambrate a realizzare su licenza BMC la mitica Mini Minor. Rispetto alle corrispettive inglesi, le varianti italiane si distinguevano per una miglior cura nelle finiture e per alcuni particolari esterni, dovuti a differenti norme omologative. Un’altra peculiarità riguardava l’impianto frenante: tutte le Innocenti Mini potevano contare sul servofreno, mentre sulle BMC era previsto solo per le più potenti Cooper S. Nel 1970 con il debutto della terza serie, venne presentata la Mini Matic, un’interessante versione dalla forte vocazione cittadina. La piccola italo-britannica era spinta dal classico 998 cc con potenza di 46 CV, abbinato ad una trasmissione a quattro marce con innesto idraulico prodotta dalla Automotive Products. Il cambio della Mini Matic prevedeva un classico convertitore di coppia e consentiva sia l'azionamento automatico che quello manuale dei vari rapporti: a patto di non inserire la seconda marcia oltre i 65 km/h e la terza a velocità superiori agli 80 km/h. Quattroruote prova la vettura nel maggio del 1971, elogiando la vivacità del motore, la ripresa e la tenuta di strada. Fino ad una velocità di 67 km/h la cambiata era affidata all'intervento della valvola del regolatore, oltre questa velocità la scalata avveniva manualmente. Con queste prerogative la Innocenti Mini Matic poteva toccare i 128 km/h divelocità massima.
Renault 5 Automatic 1300. La Renault 5 è stata una delle bestseller della Régie, apprezzata in molte città del Vecchio e del Nuovo Continente. Si, perché venne venduta anche Oltreoceano come Renault “Le Car", comerisposta europea, al sapore esotico e un po' psichedelico, alle subcompact che sul finire degli anni 70 iniziavano a popolare anche le strade americane.
Nel 1978, al di qua dell'Atlantico, Renault presentava la R5 in allestimento Automatic, una versione di lusso se vogliamo caratterizzata da finiture ricercate, a partire dal tetto in vinile. Ci sono poi elementi ripresi dalla GTL con paracolpi laterali e dalla TS come i cerchi in lega, i sedili (con poggiatesta integrati), le due luci di retromarcia, il vano accendisigari e i comandi di ventilazione illuminati. Il motore era il 1,3 litri (1.289 cc) da 55 CV accoppiato ad una trasmissione automatica a tre marce, che consentivano alla R5 Automatic di raggiungere una velocità massima 142 km/h. Nell’agosto 1979 la gamma R5 subisce un importante aggiornamento, a partire dall’introduzione delle versioni a cinque porte e della nuova plancia che integra un quadro strumenti, più completo e una nuova consolle centrale. Rinnovati anche il volante e i sedili, l’Automatic (al pari della GTL) ricevono anche l’esclusivo orologio digitale, un accessorio “di prestigio” a quei tempi.
Renault Twingo. La Renault Twingo ha saputo sintetizzare il segmento delle supermini e quello delle monovolume in unico prodotto: due mondi che nel mercato europeo dei primi anni 90 sembravano inconciliabili.
Vettura urbana per antonomasia, la Twingo prima generazione è nata nel 1992 come utilitaria basic e spartana, che si è progressivamente “imborghesita” per contrastare una concorrenza senza più agguerrita. La vocazione cittadina della Twingo trovava conferme con le varie versioni a trasmissione automatica o semiautomatica, a cominciare dalla Twingo Easy disponibile dal 1995. Questo modello, dotato di frizione faceva a meno del pedale della frizione, mentre un vero e proprio cambio automatico a tre marce equipaggiava la Twingo Matic, presentata nel 1997. Un ulteriore passaggio evolutivo avvenne nel 2001, con il lancio della Renault Twingo Quickshift dotata di un più moderno cambio robotizzato a 5 marce.
Autobianchi Y10 Selectronic. Era “l’auto che piace alla gente che piace” e con il suo riuscito mix tra praticità e ampie possibilità di personalizzazione, l’Autobianchi Y10 è stata uno dei più grandi successi della produzione italiana a cavallo tra gli anni 80 e 90. In molti ricorderete poi la campagna “Y10, a ciascuno la sua” con diversi personaggi dello spettacolo e dello sport immortalati a bordo delle varie versioni della piccola Autobianchi: Heather Paris, Gullit, Sergio Castellitto, Gerry Scotti e Massimo Ranieri. Il cantante fu il testimonial della Y10 Selectronic, che nello spot viene scelta per poter battere il tempo delle sue canzoni anche mentre guida.
Presentata nel 1989, l’Autobianchi Y10 Selectronic montava il cambio a variazione continua a controllo elettronico ECVT, lo stesso che nel 1987 aveva fatto il suo debutto sulla Fiat Uno 60 Selecta. L’allestimento della Selectronic ricalcava quello della versione Fire LX i.e.. Dal punto di vista tecnico, il motore 1.1 Fire da 1.108 cc era accoppiato alla trasmissione automatica Selectronic, sviluppata in collaborazione con la Hitachi. Il cambio disponeva di un range infinito di rapporti sfruttabili mediante due pulegge in grado di variare il loro diametro in base alla velocità, che fornivano così la miglior risposta in ogni condizione. La frizione elettromagnetica, inoltre, eliminava l’effetto trascinamento e non necessitava di sostituzione perché non soggetta ad usura. Comoda ma anche grintosa, la Y10 Selectronic si configurava così come una delle più eleganti vetture cittadine disponibili nel vivace segmento delle utilitarie.
Fiat Panda Selecta. La Fiat Panda è una nuova icona pop del Made in Italy nazionalpopolare. La Panda è nata e cresciuta per sopravvivere alla frenesia della giungla urbana. Tra le tantissime versioni che hanno caratterizzato i quasi 25 anni di produzione di questo modello, merita un capito a sé la Fiat Panda Selecta: massima esponente della schiera di utilitarie impegnate sul fronte cittadino disseminato di semafori, ingorghi e anatemi vari ed eventuali tra automobilisti.
La Panda Selecta venne al Salone di Parigi del 1990, inizialmente venne equipaggiata con il motore da 999 cc Fire in abbinamento con la trasmissione Selectronic ECVT già presente sull’Autobianchi Y10 e sulla Fiat Uno. Anche in questo caso il cambio è a variazione continua, gestito elettronicamente da una centralina. Una trasmissione innovativa per l’epoca, capace di tarare l’oscillazione delle cinghie di trasmissione su quattro posizioni in base alle condizioni di guida, andando a simulare il comportamento di un cambio automatico a quattro marce. Nel 1991, con il lieve maquillage del modello Supernova, la Panda Selecta venne equipaggiata con il 1.1 da 1108 cc catalizzato da 54 CV che le consentiva di sfiorare i 140 km/h. Un’impresa per temerari...
In una prova d’antan con la Fiat Panda Selecta, il pilota di rally Dario Cerrato si dichiarò assolutamente favorevole all’adozione del cambio automatico sulle auto di piccola cilindrata. Il cambio CVT garantiva un’ottima prontezza in ogni condizione di utilizzo: in città equiparava la ripresa di una vettura con cambio manuale di pari cilindrata e potenza; sui percorsi misti, il conducente poteva tenere entrambe le mani sul volante. Ciò portava ad una maggior concentrazione e un controllo più immediato nella guida brillante. Un’accoppiata vincente con il vivace motore 1.1 che rende oggi la Panda Selecta molto interessante ai fini collezionistici, sia per la dotazione di serie (basata sul completo allestimento CLX) che per la rarità.
Fiat Punto Selecta. Nel 1993 la Fiat Punto segnò un importante benchmark stilistico e tecnologico nel segmento delle utilitarie. Indicata internamente come “Tipo 176”, la prima generazione della Punto si configurò immediatamente come un grandissimo successo per il Gruppo Fiat. Nel mare magnum di motorizzazioni e allestimenti, troviamo anche la Fiat Punto Selecta. La base di partenza era quella del modello 60 SX equipaggiato con 1.2 da 60 CV, accoppiato alla nota trasmissione ECVT a variazione continua. Il cambio della Punto Selecta si avvaleva di una trasmissione con frizione elettromagnetica in grado di adattarsi istantaneamente agli input del conducente eliminando il tipico effetto trascinamento che affliggeva i vecchi cambi automatici. In virtù della vocazione cittadina, l’allestimento ricalcava quello della SX con in più l’idroguida di serie.
Rispetto alle altre versioni con cambio manuale, la Punto Selecta migliorava nello spunto in salita, dove non era necessario giocare con acceleratore e frizione. Il cambio automatico, aiutava il conducente anche nelle discese più ripide generando una maggiore azione frenante. Nel materiale informativo dell’epoca veniva posto l’accento anche sulla sicurezza: potendo tenere entrambe le mani sul volante venivano esaltate sia la stabilità che la direzionalità. Inoltre, sui fondi viscidi, la gestione elettronica della trasmissione si traduceva in vantaggio con un’accelerazione più graduale in base alle condizioni di aderenza. In città la Punto Selecta trovava poi il suo habitat naturale, dovetra una commissione e l'altra, la maneggevolezza e la prontezza di motore e cambioconsentivano di esprimere al meglio il suo potenziale da auto di famiglia.
Nissan Micra Matic. La seconda generazione della Nissan Micra è ancora una presenza frequente sulle strade delle nostre città. Presentata nel 1992, si è subito imposta nel segmento delle utilitarie per le straordinarie doti di affidabilità e robustezza. Il vero asso nella manica era però la ricca dotazione di accessori, di serie o a richiesta che rendevano la Micra una vettura molto completa e ben sfruttabile. I motori a benzina, tutti 16 valvole, garantivano brio e vivacità e per chi faceva tanta strada era disponile anche con motore diesel: un ulteriore plus che non tutte le “piccole” offrivano. Per tutte le versioni era previsto un cambio manuale a 5 rapporti, in opzione per i motori benzina era disponibile l'automatico N-CVT a variazione continua che equipaggiava le Micra Matic (1.0 e 1.3).
Proprio la Micra Matic, a metà anni 90 iniziò a sdoganare l’idea del cambio automatico come valido alleato nella guida cittadina. Con la “Matic”, la trasmissione automatica conquistava una crescente fetta di mercato nel segmento le utilitarie, se in passato le case produttrici azzardavano al massimo un solo modello con cambio automatico, Nissan puntò al raddoppio espandendo l’offerta sui motori da un litro per l’uso urbano e sui “milletre”, pensati anche per le trasferte.
Mcc Smart. L’idea della microcar non è nuova, ma la Smart è stata l’unica a diventare una vera e propria icona conosciuta in tutto il mondo. Il suo è stato un parto travagliato, frutto della difficile relazione tra Nicolas Hayek, il fondatore della Swatch e il gruppo Daimler Benz. Hayek pensava ad un’auto del futuro, elettrica ed economica. E proprio qui iniziarono i guai, perché a Stoccarda non vollero saperne di svincolarsi dal motore endotermico: i tempi non erano maturi. Intanto, nella seconda metà degli anni 90, il progetto W450 iniziava ad avere costi importanti e Hayek si tirò indietro. La società, con capitale Swatch e Mercedes-Benz venne indicata come MCC (Micro Compact Car) e dal 2003 venne completamente assorbita dalla Daimler. Nell’evoluzione del primo modello, indicato a più riprese come MCC “Smart”, Smart “City Coupé” e Smart “For Two”, sono stati montati tre motori diversi: un 599cc e un 691cc a benzina e un rivoluzionario tre cilindri a gasolio da 799 cc con tecnologia common-rail. In tutti i casi, il cambio era un automatico con comando sequenziale a 6 marce indicato come Softip. Si trattava di una trasmissione dagli ingombri molto contenuti che prevedeva l'accoppiamento di tre marce che si innestavano su uno dei due rapporti finali presenti: un principio di funzionamento simile a quella dei riduttori impiegati sui veicoli 4x4. Tramite un pulsante si poteva passare dalla modalità sequenziale a quella completamente automatica (softouch). Purtroppo, a fronte di una grande innovazione tecnica, il cambio della Smart era afflitto da tempi di cambiata abbastanza lunghi che sacrificavano un po' le velleità corsaiole degli “smartisti”. Nonostante le difficoltà iniziali, la Smart si rivelò l’arma definitiva nella caccia al parcheggio e, nell’ultima decade, si è affermata anche tra le più apprezzate vetture dei servizi di car sharing. Con buona pace di Nicolas Hayek che, sin dalla genesi progetto, profetizzava la propulsione elettrica e la condivisione delle microvetture.
Daihatsu Trevis. Concludiamo la carrellata con una curiosa vettura del Sol Levante dai richiami spudoratamente britannici. La Dahiatsu Trevis voleva nascere inglese, come suggeriscono diversi stilemi che si riallacciano direttamente alle leggendarie Mini d’antan. Come la nostrana Innocenti Mini Matic, anche la Trevis era disponibile con il cambio automatico, un CVT a quattro marce in coppia con il motore da un litro e 58 CV (EJ-VE). La Trevis è stata commercializzata tra il 2006 e il 2009, ancora una “young”, sebbene voglia apparire più “old” di quanto appaia. Se cercate un'utilitaria dal fascino inglese ma con l'affidabilità tipica delle auto giapponesi, questa potrebbe essere l'auto ideale.