Salone di Francoforte, settembre 1963: irrompe sulla scena mondiale la nuova berlinetta di Zuffenhausen. Si chiama ancora 901, un anno dopo arriverà la denominazione ufficiale e l’inizio di un’escalation senza fine
Segni particolari: bella, bellissima, accidenti a lei. L’atto primo della Porsche 911 (1965), il Cavallino di Stoccarda più conosciuto e più amato da tante generazioni di appassionati si appresta a festeggiare l’importante compleanno (60 candeline) con una classe e un portamento che non accennano a invecchiare, anzi. Il suo fascino non è stato scalfito dal tempo, a testimonianza del fatto che si tratta di un autentico capolavoro sia di stile sia di meccanica di proverbiale affidabilità. Mail processo creativo della 911, che sfocerà nella presentazione ufficiale al Salone di Francoforte del 1963, sarà lungo e zeppo di imprevisti.
Punto di partenza, il Boxer. A Zuffenhausen si comincia a pensare alla sostituta della gloriosa 356 già a partire dalla seconda metà degli anni 50. L’ipotesi di evolvere ulteriormente la berlinetta dell’esordio Porsche in realtà sfiora appena l’equipe dei progettisti, anche perché non sembra offrire margini di miglioramento significativi. Il 4 cilindri boxer è arrivato al limite del suo sviluppo, mentre il sofisticato Carrera 2 viene considerato troppo costoso per essere prodotto in regolare serie. A questo punto la scelta di creare ex novo il modello diventa prioritaria, con un solo legame col passato, lo schema boxer raffreddato ad aria. La definizione della linea viene inizialmente affidata ad Albrecht von Goertz, diventato famoso in quel di Stoccarda per aver creato la meravigliosa BMW 507 nel 1955. Ma lo stile elaborato dal designer tedesco, opulento e ridondante, viene giudicato troppo “made in Usa” e diametralmente opposto agli stilemi tanto cari alla Casa.
Cahier des charges in evoluzione. A questo punto Ferry Porsche decide di ripiegare sulle risorse interne e fissa un nuovo cahier des charges: oltre al motore boxer, anche il passo di 20 cm più lungo di quello della 356 (per lasciare più spazio alle gambe dei passeggeri posteriori) e la coda più sfuggente possibile, per non tradire le velleità sportive che la futura berlinetta dovrà avere nel suo Dna. Purtroppo, anche lo studio di progettazione interno non sortisce l’effetto desiderato. Si esce da questa impasse grazie a uno dei figli di Ferry, Ferdinand Alexander (soprannominato Butzi), capo dell’ufficio stile. La proposta presenta sulla carta una linea aerodinamica e moderna, ma nello stesso tempo formalmente rispettosa della tradizione stilistica della Casa. Si passa dunque alla realizzazione dei primi prototipi. Quello denominato T7 (col passo di 2,4 m, lo stesso del Maggiolino) arriva ad assomigliare addirittura a una quattro posti, suscitando il disappunto di Ferry che richiama tutti all’ordine. Si riparte perciò dall’idea iniziale, fino a quando non viene trovato il giusto compromesso. Col passo di 2,2 m torna ad assumere la sportività perduta, dando un’impressione di forte compattezza, come si conviene a una vera coupé.
Giovani tecnici crescono. Anche per quanto riguarda il “cuore” della futura berlinetta il percorso è in salita. All’inizio sembra prevalere l’idea di un motore il più possibile piatto, nell’intento di ridurre l’ingombro a favore dello spazio per i bagagli dietro gli strapuntini posteriori. Le prime ipotesi prevedono ancora un 4 cilindri, ma subito dopo si fa strada l’idea di una vera sorella maggiore della 356. Nello sviluppo del nuovo motore, affidato principalmente al tecnico Hans Mezger, assumerà un ruolo attivo anche un giovane studente del Politecnico di Zurigo, tal Ferdinand Piëch. Nonostante si lavori giorno e notte per la sua progettazione, il tempo per la definizione finale è insufficiente e, per di più, ci sono ancora numerosi problemi tecnici da risolvere, fra i quali la scelta dell’alimentazione. Al punto che, quando la neonata berlinetta 901 (si tratta del prototipo numero 5 di colore giallo chiaro) farà il suo debutto ufficiale, il 12 settembre 1963, a Ginevra sotto il cofano posteriore c’è sì un motore, ma è finto. Gli affinamenti per il 6 cilindri boxer raffreddato ad aria proseguiranno nei mesi successivi. Il dato di fatto è che i primi esemplari di regolare serie vengono messi in produzione solo a partire dal settembre 1964. Appena un mese dopo, la Peugeot rivendicherà il diritto di utilizzare per i nomi delle proprie auto tutti i numeri di tre cifre con lo zero al centro. Per evitare inutili discussioni, anche se a malincuore, la Casa di Zuffenhausen si adegua e così, il 10 novembre 1964, nasce la denominazione ufficiale 911. Inizialmente l’accoglienza, da parte anche dei clienti più affezionati, si dimostra tiepida: “Bella sì, ma non sembra una vera Porsche”, affermano. Il buon Ferry controbatte con un’affermazione destinata a diventare leggendaria: “Se un oggetto piace al primo colpo, a mio parere non è destinato a essere gradito a lungo”. Il tempo, infatti, gli darà ragione e ancora oggi, nel listino della Casa di Stoccarda, c’è una 911, che in 60 anni di gloriosa storia e tante versioni è diventa¬ta il vero, indiscutibile, cavallo di battaglia.
Restauro complicato e divertente. L’esemplare protagonista è uno dei primi allestiti a Zuffenhausen e uno dei più datati rimasti in circolazione al mondo. Si tratta infatti del telaio 930, ultimato nell’aprile 1965, di colore Blu Bali (codice 6412B) con interno in similpelle nera e, a richiesta, l’impianto di riscaldamento Webasto Tipo P1018. Venduto in Germania, è stato poi esportato da un colonnello americano dapprima nel Michigan e poi in Italia, dove il graduato aveva prestato temporaneo servizio. Da qualche anno l’auto appartiene a Maurizio Colpani, che ne ha curato il restauro integrale. “Era stata aggiornata e modificata nel corso degli anni”, spiega il collezionista bresciano, “un classico per quanto riguarda le 911. Quindi il ripristino si complica, in questi casi, perché oltre agli inevitabili interventi strutturali alla scocca e alla meccanica, si deve passare tanto tempo alla ricerca dei componenti originali peculiari di questa versione. E, nel corso del restauro, ci siamo letteralmente divertiti a trovare tutti i “pezzi” mancanti, che sono quelli originali, usati o new old stock. A mio parere impreziosiscono un esemplare di questa rarità. Il lavoro di ripristino è durato circa un anno e mezzo”. Con un risultato eccellente.