Al momento del lancio, nel 1995, l'Alfa Romeo GTV era disponibile solo con motori due litri, ma molto diversi tra loro per architettura, caratteristiche e potenza. Se, da un lato c’era il 4 cilindri in linea Twin Spark, dall’altro c’era il 6 cilindri a V dotato di turbocompressore: entrambi propulsori sportivi, fieramente Alfa, capaci di gratificare, seppur con sfumature diverse, chi guida. Allora perché puntare sulla 2.0 V6 TB?
Una bella spinta. Al tempo il listino poneva la V6 TB su un gradino ben più alto rispetto alla versione a quattro cilindri in linea; basti pensare che ci volevano circa dieci milioni di lire in più di una 2.0 TS, ma si veniva ripagati alla voce prestazioni, grazie al “magico” overboost che, lavorando su centralina e pressione di sovralimentazione, garantiva per poco tempo una bella spinta in più da parte del 1.996 cm3 dotato di iniezione elettronica Multipoint Bosch Motronic e turbocompressore Garrett T25 completo di intercooler. Un propulsore da 200 CV e 280 Nm che, nella prova dell’epoca di Quattroruote, era risultato tutt’altro che nervoso, ma che premendo a fondo l’acceleratore, richiedeva attenzione nella guida, perché si raggiungevano senza sforzo velocità molto elevate.
Supera i 235 km/h, senza farsi notare. Se la velocità massima dichiarata, di 235 km/h, era di poco inferiore a quella reale, sullo 0-100 gli strumenti si fermavano a 7,3 secondi, complici i 1.430 kg - 60 in più della 2.0 TS - che comunque risultavano in linea con i modelli della concorrenza. Più prestante, ma non più accessoriata: l’allestimento era lo stesso della 2.0 TS in versione Lusso, ma i sedili di pelle erano a richiesta e la differenza di prezzo era quindi destinata a crescere ulteriormente. Nulla infatti, se non ciò che si trovava sotto al cofano e la targhetta identificativa sul baule, poteva distinguerla dalla sorella aspirata. Non i cerchi, dello stesso disegno e con le medesime misure di gomme 205/50ZR16 presenti sulla TS Lusso, e non l’abitacolo dove, purtroppo, non erano stati previsti sulla console il manometro del turbo e l’indicatore della pressione olio.
Apprezzata dai nostri tester. Alla guida, la 2.0 V6 Turbo confermava le doti del telaio, abilmente rimaneggiato e impreziosito dalla sospensione posteriore multilink, con una tenuta di strada che i collaudatori di Quattroruote avevano giudicato eccellente. Così come i freni, peraltro identici a quelli montati sulla 2.0 TS, ovvero da 284 mm di diametro (e autoventilanti) all’anteriore e da 240 mm al posteriore. Quattro stelle le aveva meritate lo sterzo, "pronto, progressivo e preciso", mentre il 6 cilindri turbo "elastico e regolare ai regimi medio bassi, si scatena a quelli più elevati". Meno soddisfacente il cambio, non tanto per la spaziatura dei rapporti, che permettevano di sfruttare bene il motore, quanto per gli innesti contrastati.
Da comprare. Prodotta fino al 2005 e anch’essa soggetta al restyling del 1998 (paraurti, scudetto, abitacolo con materiali di qualità migliore, nuova console, volante a tre razze, Abs di ultima generazione, clima automatico) non è facilissima da trovare oggigiorno, ma il range di richieste è ancora più che accettabile considerato il lignaggio: tra i diecimila e i quindicimila euro per un esemplare in buone o perfette condizioni. Occhio però: l’anno prossimo la prima serie compie 30 anni e i prezzi sono già in ascesa.