A vederlo così, sembra un ragazzo normale. Come tanti altri della sua età. Stesso giaccone, stesse Vans, stesso ciuffo impennato. Ama le auto come altri della sua età, sempre più pochi.
Tutto ebbe inizio con un'Alfetta. Con quel cognome che si porta dietro, Luca Manzoni, 25 anni, ha la modestia e il buon senso di non definirsi “salvatore”. Cercatore, se mai. Di auto da salvare. Luca vive e lavora a Monza. L’amore per le macchine sbocciò da piccolissimo, nel cortiletto della concessionaria del padre. Quella per le Alfa Romeo invece è una malattia che ha preso dal nonno, che lavorò per 40 anni come meccanico prima ad Arese, poi all'Autodelta. “La prima è stata un’Alfetta del 1981 trovata nel Piacentino, avevo la patente da un mese e obbligai i miei a portarmi a prenderla. I primi risparmi li ho investiti lì. Blu, 1.600 unificata, l’ultima con i quattro fari tondi e le maniglie incassate. Sì, sapevo quello che volevo. Da lì è cominciato tutto”.
La seconda Alfa Romeo?
“Sempre blu, sette anni dopo: 1.800 del '72, secondo mese di produzione, uniproprietario. Apparteneva a un signore che l’ha tenuta ferma vent’anni e poi doveva fare spazio in garage. Ci ho montato la sirena originale dei Carabinieri!”.
Fra le altre, ho notato una 2000 Sprint.
“Sì, del 1961, ne produssero circa 700. È rimasta 35 anni in un fienile del Modenese, l’ho recuperata insieme ad altre Alfa Romeo, tra cui alcune della Guardia di Finanza e dei Carabinieri da restaurare. Tre Alfa 75 originali sono state acquisite dal Museo Storico della GdF di Roma e dal Club Lampeggiante Blu, che mi ringraziano ancora oggi per avergliele trovate. Sono le 2.000 a carburatori, a cavallo fra la prima e seconda serie”.
Quindi il barn find, l’ago nel pagliaio esiste ancora?
“Sì. Molto è già stato trovato, ma non tutto. In Italia c’è ancora veramente tanto. Non è facile, occorre girare quasi tutti i giorni. Le regioni più pescose sono l’Emilia Romagna, terra di motori per antonomasia. E poi Lombardia, Veneto, Marche, Abruzzo. Qualcosa in Toscana, poi Piemonte e Liguria dove sono sempre i più duri da convincere. I più disponibili sono sempre gli emiliani, forse per un fatto di carattere. Hanno molto spazio, sono rimasti tanti campi e quindi tanti granai. Nonostante le razzie delle squadre ecologiche, chiedendo e girando per le cascine qualcosa riesce a saltar fuori. Mi conoscono un po’ di persone, qualcuna mi chiama, altrimenti girare l’Italia al buio sarebbe impossibile. I lombardi sono più pratici, sanno quello che vogliono: hanno già in mente delle cifre, sanno che comunque vogliono disfarsene. La cosa più strana è quando ti chiedono: cosa mi offri? È imbarazzante fare i prezzi a casa degli altri. Anche perché le condizioni spesso non li giustificano le pretese. Magari si tratta di vetture rimaste lì trent’anni e quando manifesti interesse, improvvisamente le attribuiscono un valore che non hanno. Altri invece sono contenti già solo se gliele porti via…”.
Il ritrovamento più clamoroso?
"Sempre in Emilia, nel Ferrarese. Risale proprio a poche settimane fa. Mi sono imbattuto in un accumulatore seriale che cominciò da ragazzino con i trattori, per passare ai camion e poi alle auto. Ne aveva circa duecento, nascoste nei fienili per evitare le confische da parte delle guardie ecologiche. Quando ho aperto il portone del primo, mi è mancata l’aria. C’erano pezzi da novanta, due Giulia SS, 45 GT scalino, una GT AM, tante Giulia e Alfette, Duetto osso di seppia… Abbandonate, sporche, ricoperte di escrementi e piume di piccioni, le tipiche condizioni dei ritrovamenti in campagna”.
Qual è la psicologia di chi accumula queste vecchie auto?
“Sono persone spinte dal desiderio di possedere. Non gli interessa la condizione di quello che hanno, basta che sia tanto. Macchine, rottami, di tutto e di più. Case piene di roba. Spesso si riesce a rilevarla solo quando vengono a mancare, quindi tramite i figli o le aziende incaricate della bonifica… In Trentino un accumulatore seriale aveva tenuto per anni una Giulietta, una berlina degli anni 50, una Mini, una Multipla Coriasco, vari camion, tutti tenuti malissimo, esposti agli agenti atmosferici. Per fortuna hanno chiamato me, anziché rottamarli”.
I casi più strani?
“A volte sono anche i più tristi, come un recente recupero in Toscana. Famiglia ricca e localmente influente vicino ad Arezzo, padre mancato, madre chiusa in istituto di cura, figlia incapace di gestire il patrimonio di famiglia. Si è ritrovata con un capannone piena di auto, con il legale incaricato di vendere. Ho salvato una 2000 Berlina Bertone del ’72, una Fiat 600, una Bianchina panoramica furgone che non avevo mai visto prima, una jeep Willys, addirittura un’Arna, qualche Apecar, camion, biciclette… Un altro caso di accumulatore patologico”.
Il momento magico?
“È sempre il ritrovamento. Un’emozione indescrivibile che riempie il cuore. Il secondo è quando vai lì con il carro attrezzi e la strappi a un destino crudele. Non potrei dire qual è stato il più bello, ne ho passati tanti. Ho recuperato più di duemila vetture in sette anni. Ho perso il conto dei chilometri che ho fatto da quando ho la patente”.
Cosa succede dopo aver recuperato il tesoro?
“Spesso il ritrovamento è solo il primo passo di un lungo cammino della speranza. Quasi sempre ci sono problemi di documenti, targhe radiate quando ci sono, libretti che mancano, procure a vendere… A volte è un casino risalire al vero intestatario. Per esempio tra i proprietari dell’Alfetta Sprint 2000 è spuntato un Mondadori. Non sai mai cosa trovi. E solo quando è il caso si passa al restauro conservativo”.
Percentuale di salvataggio?
“In stato di relitto, sono salvabili meno della metà. Altre diventano auto donatrici di lamiere, motori e parti varie per salvarne altre messe meglio”.
Il ritrovamento più imprevedibile?
“Dopo una giornata di ricerche fra il Lodigiano e il Pavese, demoralizzato dopo dieci ore di ricerche, nel tornare a casa decido di prendere una stradina minore ed entrare in un paesino in mezzo ai campi tipo Borgo Tre Case, hai presente il film ‘Il ragazzo di campagna’ con Pozzetto. In un cortile intravedo un faro strano. Penso: fermiamoci un attimo prima che faccia buio. Entro in questa cascina e trovo un Maggiolino con kit Rolls Royce. Busso, chiedo, esce un signore sulla settantina abbondante: vuole darlo via? Mi accoglie in casa, aveva anche una Dune Buggy del ’63”.
Non è strano avere 25 anni e avere sempre a che fare con persone anziane?
“Io mi trovo molto bene. Sono molto alla mano, tante volte mi blocca il dialetto… Tanti dicono, muoio io, muore la macchina, ma di solito se sono molto anziani nella mia passione rivedono se stessi tanti anni prima. Sono stupiti di vedere un giovane della mia età. Sono paicevolmente sorpresi e diventano disponibili.
Qual è il tipico teatro del ritrovamento, il granaio o il magazzino?
“Cascinali sperduti nei campi per un buon 70 per cento, il resto carrozzerie e officine, specie in Lombardia. Sembra strano, ma tanti non hanno più spazio o abbandonano la macchina dal meccanico perché non hanno più i soldi per il restauro. Passano gli anni e il meccanico a sua volta rivende”.
Il ritrovamento più bello?
“È come chiedere a quale figlio vuoi più bene. A me piacciono le Alfa Romeo, ma anche salvare una 127 ti dà soddisfazione”.
Quali sono i segreti del cercatore?
"Non ce ne sono. È la passione che muove tutto. Ci vuole un minimo di disponibilità economica e di tempo a disposizione, girare costa soldi e tempo. E molta testardaggine, voglia di fermarsi nei paesini, chiedere nei bar. Poi c’è un trenta per cento di soffiate da amici e conoscenti. Non ci sono segreti, non c’è un metodo scientifico, perché ogni ritrovamento è diverso, le persone si somigliano, ma hanno caratteri diversi, ognuno fa storia a sé".
Oltre alle auto, sei appassionato di altre cose vecchie?
“Assolutamente sì. Frequento le fiere del disco in vinile, passione nata in contemporanea con l’automobile. Convinsi i miei genitori a portarmi alla prima convention del disco a sette anni, comprai ‘Rubber Soul’ dei Beatles per trentamila lire, stampa americana”.
Quindi ti piace tutto ciò che è datato?
“Sì, tranne le donne. Vorrei rassicurare sul fatto che la fidanzata ha la mia età! Per il resto, amo tutto ciò che è modernariato anni 60 e 70, juke-box, flipper, insegne, l’arredamento”.
Cosa non va nella modernità?
“Siamo nell’epoca dell’usa e getta, dell’obsolescenza programmata, dai telefoni alle auto. Ci hanno insegnato a produrre, vendere e cambiare. Invece una volta si facevano le cose belle che duravano. Noto però l’ispirazione al passato in tanti campi, design automotive compreso. Chissà, forse proprio perche questo sentimento viene condiviso”.
C’è un’auto che, una volta ritrovata, dirai basta, questa è l’ultima?
“Certo che c’è: la Giulietta Spider. Ma mentirei a me stesso e so che non mi fermerò comunque”.