Design originale, motore performante e un nome evocativo. La due posti realizzata da Pininfarina sarà prodotta in due generazioni e altrettante varianti di carrozzeria, coupé e “spider”, in un numero contenuto di esemplari
La Lancia Beta Montecarlo rappresenta al meglio il genio, l’estro e il coraggio tipico delle aziende italiane, capaci di scrivere importanti pagine nella storia dell’automobilismo. Siamo a metà degli anni settanta, periodo in cui il benessere del decennio precedente incomincia inevitabilmente a calare. Nel settore Automotive la produzione di vetture sportive rallenta, complice la paura diffusa di un’imminente crisi petrolifera dalle conseguenze catastrofiche.
Mossa strategica. In questo contesto la Fiat compie una scelta produttiva davvero originale: il marchio inizia a pensare a un nuovo progetto di auto sportiva, ma avendo già a listino la X1/9, apprezzata da un ampio pubblico, decide di cedere il progetto alla “sorella” Lancia. Di primo acchito si potrebbe considerare come una mossa azzardata e folle, ma in realtà è l’esatto opposto. Si tratta di un’accurata strategia pensata per rilanciare il marchio Lancia, sprofondato da qualche tempo in una profonda crisi economica e d’identità. Mentre le Beta che a partire dal 1972 l’anticiparono nei listini (berlina, coupé e spider) utilizzavano la tipica impostazione tecnica del “tutto davanti” la Montecarlo si distinguerà per l’impego della trazione posteriore, abbinata a un motore posteriore-centrale.
Un “grande” motore, per grandi ambizioni. Si tratta di un 2.0 litri quattro cilindri in linea, montato trasversalmente, con alimentazione a carburatore doppio corpo. Una scelta mossa sicuramente da una strategia d’immagine, pensata per attirare un vasto pubblico grazie all’impego del motore più grande disponibile per una vettura di questa tipologia. Le sue dirette rivali, infatti, hanno tutte delle motorizzazioni più piccole: Fiat X1/9 (1290 cm3, 75 cv), Volkswagen Porsche 914 (1795 cm3 e 85 cv oppure 1971 e 100), Matra Simca Bagheera (1294 cm3 e 84 cv) e Alpine Renault (1300 cm3 e 81 cv oppure 1600 e 138).
Un abito davvero affascinante. L’aspetto più accattivante della Montecarlo, però, è senza ombra di dubbio l’originale forma della carrozzeria, nella cui linea col muso lungo e la coda vistosamente tronca alcuni possono intravedere una somiglianza con la Ferrari BB. Del resto entrambe sono il frutto dello stesso genio, quello di Pininfarina. La due posti italiana rappresenta inoltre il modello con il quale quest’ultimo darà una grande svolta alla propria carriera: la Montecarlo è infatti la prima auto ad essere completamente progettata all’interno della carrozzeria torinese, pianale compreso. Presentata al Salone di Ginevra del 1974, viene modificata nella meccanica e in alcuni dettagli della carrozzeria già l’anno seguente, per poter essere commercializzata anche negli Stati Uniti col differente nome di Scorpion, al fine di scongiurare omonimie totalmente fuorvianti con la Monte Carlo della Chevrolet.
Specifiche Yankee. La versione riservata al mercato statunitense è leggermente diversa rispetto a quella commercializzata nel Vecchio Continente: sfoggia fanali tondi, paraurti rivisitati, cofano motore con una griglia più ampia e altre modifiche di dettagli. Differente la meccanica, costituita da un motore di 1.8, dotato di tutti i dispositivi antinquinamento necessari per rendere il livello di emissione dei gas di scarico conforme ai severi standard americani. Le grandi aspettative sul suo conto vengono annullate dalla risposta del mercato Usa, che boccia in maniera netta il modello.
Due generazioni, 7.578 esemplari. Il fiasco fatto registrare sul mercato statunitense contribuisce in maniera significativa alla decisione di interrompere la produzione nel 1978. Una sorta di pausa di riflessione, voluta dai vertici Lancia per valutare al meglio quale sarebbe stato il futuro della Beta Montecarlo, che nel 1980 tornerà in commercio con la sua seconda serie. Contrariamente a insistenti voci che volevano l’auto equipaggiata con un motore di cilindrata superiore, il propulsore rimane quello della prima serie, opportunamente aggiornato, così come nuove ricerche stilistiche ne rendono più moderna la linea. La discussa berlinetta di Pininfarina uscirà definitivamente di scena nel settembre 1981, rimanendo però a catalogo fino al 1984. Della prima serie ne furono realizzati 5.638 esemplari. Una produzione che equivale a circa il triplo rispetto a quanto fatto dalla seconda serie, con 1940 unità.