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25/07/2022 | di Gaetano Derosa
Abarth-Simca 2000 GT Corsa: una bomba da 270 orari
L'Abarth-Simca 2000 GT Corsa nasce da un accordo tra Ernesto Pigozzi, fondatore della Casa francese, e Carlo Abarth: è una bomba in grado di raggiungere i 270 km orari: leggi tutto su Ruoteclassiche.it
25/07/2022 | di Gaetano Derosa

L’accordo tra Ernesto Pigozzi, fondatore della Casa francese, e Carlo Abarth suggella la creazione di bolidi da competizione il cui apice viene raggiunto dalla versione Corsa della “2mila”. Una bomba in grado di raggiungere i 270 km orari.

Salone di Ginevra, 14 marzo 1963: all’apertura molti riflettori sono puntati sullo stand Abarth, dove il funambolico Carlo dovrebbe presentare la berlinetta corsaiola Simca con motore di 1600 cc (vista in Italia già a febbraio), derivazione del brillante 1,3 litri che ha esordito giusto un anno prima sia in strada sia in pista, con ottimi risultati. E, soprattutto, che ha decretato la fine dell’egemonia dell’Alfa Romeo Giulietta nella categoria. Ma, si sa, il brillante ex pilota e tecnico nativo di Vienna non si accontenta mai, preso com’è dal “morbo della velocità”. Vuole non solo staccare sempre e comunque i concorrenti di una lunghezza, ma più di ogni altro vuole stupire con le prestazioni: ecco perché a Ginevra l’Abarth toglie i veli, a sorpresa, all’evoluzione della 1600 con motore di due litri, accompagnata da un paio di dati scritti a caratteri cubitali sul tabellone che sovrasta l’auto al centro dello stand: quelli della potenza sia della versione stradale (177 CV) sia della versione Corsa, ben 204.

Deriva dalla Simca 1000. Per capire l’importanza di questo splendido “mostro” bisogna fare un passo indietro. O meglio di lato, per spostarsi in Francia. Punto di partenza, la Simca 1000, nata nel 1961, la cui storia è legata in maniera indissolubile all’Italia. La Société Industrielle de Mécanicque et Carrosserie Automobile, nata dall’inventiva di un imprenditore italiano, Enrico Teodoro Pigozzi, nel 1935 incomincia a costruire su licenza delle vetture Fiat in Francia. Verso la fine degli anni 50 i due marchi iniziano a lavorare in parallelo allo sviluppo di una nuova utilitaria, ma dopo alcuni ripensamenti la Casa torinese decide di cessare il proprio lavoro. Così, si presenta l’occasione per Pigozzi di acquisire l’esperienza del progetto maturato dal marchio piemontese e farla confluire nel proprio, dando vita a un modello nato in maniera autonoma. Le origini Fiat della Simca 1000 appaiono nitide fin dalla progettazione dell’impostazione meccanica (da parte di Dante Giacosa e Rudolf Hruska) e di quella estetica, nata dall’ispirazione di alcuni schizzi di Mario Revelli sotto la supervisione di Felice Mario Boano, direttore del centro stile di Mirafiori.

Velocità folle. L’auto ottiene subito un buon successo, che Pigozzi vuole ulteriormente stimolare attraverso una possibile trasformazione corsaiola, magari dello Scorpione. Tramite Hruska, che è ben contento di rivedere Carlo con cui ha vissuto l’avventura Cisitalia nell’immediato dopoguerra, la Simca contatta l’Abarth, con la quale chiude un accordo che prevede la messa a punto di alcune elaborazioni per la 1000 e persino la realizzazione di una granturismo destinata ad avvicinare anche la clientela sportiva alla marca francese. Nasce così in pochi mesi la berlinetta Abarth-Simca 1300, seguita poi dalla massima evoluzione, la “2mila”, così come è la scritta che campeggia sul frontale dell’auto. Carlo Abarth sa benissimo che per essere competitivi nella seconda Divisione del Mondiale Gran Turismo ci vuole una due litri, con prestazioni tali da non rischiare nulla. E, proprio per impressionare la concorrenza, a Ginevra viene esposto il cartellone che indica le potenze della versione stradale e, soprattutto, della Corsa, un “mostro” con 204 CV e, udite udite, una velocità massima identica alle Formula 1 coeve, 270 km all’ora, quasi esagerata per alcune corse, come quelle in salita.

Carburatori giganteschi. Il bialbero, siglato 236, con due candele per cilindro, due carburatori Weber di dimensioni gigantesche, è interamente pensato in casa Abarth, ma non è la derivazione del “milletré”, bensì un progetto totalmente nuovo, con corsa più corta e albero a gomiti su cinque supporti. Il monoblocco e la testata sono in alluminio, roba molto raffinata. Il raffreddamento avviene mediante un radiatore posto nel frontale della berlinetta e l’aria, dopo averlo attraversato, si scarica verso il basso lungo un’apposita feritoia. Tutti gli altri componenti dell’auto (pianale, trasmissione, sterzo e sospensioni) provengono, opportunamente adattati, da quelli della Simca 1000, così come il cambio, dal quale però viene derivata una versione speciale a sei marce. Dal punto di vista stilistico la “2mila” è immediatamente riconoscibile per il disegno della coda che porta chiaramente la firma dello stilista di casa, Mario Colucci: addio a ogni rotondità, in questo modello il lato B è allungato, con uno sbalzo più deciso e il cofano motore che termina in un piccolo spoiler, una citazione di quelli della Bialbero e della Monomille di seconda generazione.

Prove aerodinamiche. Allestito tra la fine del 1963 e gli inizi del 1964, il telaio 0056 (dei circa 100 costruiti per ottenere l’omologazione nella categoria GT) viene affidato ufficialmente ad Hans Hermann, che lo utilizza per alcune prove aerodinamiche: nel corso della stagione, infatti, il muso della “2mila” GT Corsa viene più volte ritoccato per migliorare, attraverso l’adozione di prese d’aria supplementari, il raffreddamento dei freni e dell’olio. L’auto poi viene acquistata dall’editore Luciano Conti, grande appassionato di auto sportive, che la utilizza per correre qualche gara (vedi box a destra). Successivamente la “0056” gareggerà nel biennio 1965-66 con Gianni Lado, poi passa a Mauro Lotti e Bruno Veggenti e nel 1977 finisce nella collezione Abarth di Fabrizio Violati. Da qualche anno appartiene a Federico Buratti, che ha partecipato, vincendo la propria classe, all’edizione 2019 della Vernasca Silver Flag.

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