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Al traguardo la prima Dakar Classic

Una trentina di veicoli assortiti ha disputato la prima edizione della Dakar Classic in Arabia Saudita, una corsa di regolarità parallela a quella ufficiale per auto e camion anni 80 e 90. I due equipaggi italiani sono riusciti ad arrivare fino in fondo.

È stata un’ottima idea, se non altro per due motivi. Il primo è l’aumento della popolarità della formula rally raid per mezzi d’epoca – che schiacciano sassi e mangiano sabbia da quarant’anni. L’altro è per recuperare un minimo di credibilità e senso della storia per una gara che si chiama ancora Rally Dakar, ma da un decennio ha smarrito le piste dei deserti africani per diventare nomade. Così, la prima edizione della Dakar Classic in Arabia Saudita ha schierato una trentina di equipaggi a bordo di auto e camion degli anni Ottanta e Novanta. Non si è trattato di una corsa contro il cronometro, come il Rally Dakar ufficiale. Piuttosto, di una gara “con” il cronometro, di regolarità, per non stressare troppo le varie Buggy, Range Rover e i vecchi fuoristrada giapponesi. Fra i partecipanti non potevano mancare gli italiani. Con il tricolore sullo sportello hanno corso l’equipaggio numero 225 formato da Luciano Carcheri e Roberto Musi, giunto settimo; e il numero 207 con Roberto Camporese e Umberto Fiori, che hanno terminato in 22esima posizione.

Una lunga storia di passione. La coppia Carcheri-Musi si è presentata a bordo della Nissan Patrol schierata dalla Squadra Corse Angelo Caffi di Brescia. Dopo le incertezze e un problema tecnico nella prima metà delle 12 tappe, Carcheri-Musi hanno scalato la classifica fino al settimo posto assoluto, che hanno mantenuto fino al traguardo vincendo la Classe H2.8. Dei due piloti, Luciano Carcheri ha una carriera dakariana che risale al 1992 quando debuttò come motociclista. Fu la prima di una serie di otto partecipazioni africane. A 18 anni dall’ultima del 2002, Carcheri ha deciso di rimettersi in gioco con un altro veterano, Roberto Musi, che ha al suo attivo oltre duecento fra rally e spedizioni nel deserto dal 1986 a oggi nelle vesti più disparate: organizzatore, team manager, responsabile assistenza, reporter, pilota e co-pilota. L’aspetto più bello e curioso è che Carcheri ha scelto di correre sulla stessa Nissan Patrol sulla quale parteciò alla sua unica Dakar su quattro ruote, edizione 1998, con i colori del Team Giletti. Alla vigilia della partenza, aveva dichiarato: “Sono davvero curioso di scoprire quanto sia cambiata la Dakar in tutto questo tempo. Quando si correva in Africa era una gara tosta per via dei diversi terreni che c’erano: i sassi in Marocco, la sabbia in Mauritania, le piste in Niger, Mali e la Guinea con la laterite. Poi la grande sabbia della zona Sahariana e le piste Saeliane in Senegal. Ritrovare quello spirito è uno dei motivi per cui corriamo nella Classic sulla stessa Nissan Patrol del 1998. Correva in categoria Marathon, era di per sé simile alla vettura di serie, mentre ora è stata portata alle specifiche T1, quindi decisamente più competitiva. Ricordo bene quell’edizione: nel ‘98 ricorreva il ventennale della Dakar e per celebrarlo adeguatamente pensarono bene di farne una delle più dure di sempre. In tutto 11.000 km, meno della metà degli iscritti giunse al traguardo”. La Nissan Patrol è stata aggiornata negli anni con un motore 6 cilindri in linea da 4.5 litri, cambio Sadev a innesti frontali, serbatoio di benzina da 450 litri e carrozzeria alleggerita in carbonio e Kevlar.

Buttarsi nella mischia. Ancora più vecchia scuola il Peugeot 504 pick up con cui Roberto Camporese e Umberto fiori hanno affrontato le sabbie e i sassi sauditi. Se il primo è un rookie alla Dakar, nonostante i 40 anni di fuoristrada alle spalle, l’amico Fiori ha una lunga storia di rally internazionali alle spalle. Sui camion alla Dakar è arrivato, fra le altre edizioni, 21° nel 2009, 7° di classe nel 2012 e 13° assoluto come co-pilota di Miki Biasion sull’Iveco ufficiale del Team De Rooy. “Siamo andati d’accordo sin dall’inizio: se la facciamo, ci siamo detti, la facciamo per davvero, con un mezzo vecchio modificato quel minimo che basta, per replicare quello spirito degli anni Ottanta e Novanta quando chiunque poteva prendere un mezzo di serie, fargli qualche modifica e buttarsi nella mischia”, ha detto Fiori.  L’equipaggio italiano ha romanticamente corso a bordo della Peugeot 504 del 1982 che hanno allestito e risistemato da soli, così come da soli si sono fatti assistenza durante la gara, con i ricambi nel cassone. Per vivere l’avventura fino in fondo facendo più affidamento sull’esperienza, che non sulla performance.

Manca la vittoria italiana. La prima Dakar Classic è stata dominata dalla prima all’ultima tappa dall’equipaggio formato dagli specialisti francesi Marc Douton ed Emilien Etienne, sulla Buggy del ’79 del Team Sunhill. Invece il Rally Dakar auto “competitivo” è stato vinto da un “certo” Stéphane Peterhansel, esattamente a 30 di distanza dal suo primo trionfo in moto alla Dakar. All’arrivo di Qiddiya, il 55enne fuoristradista francese ha aggiunto il 14° trofeo dakariano (l’ottavo dietro un volante) alla sua collezione diventando l’unico pilota a vincere nei tre continenti. Nell’albo d’oro delle auto manca ancora il tricolore italiano. Solo fra i camion non sono mancati i successi con Vismara/Minelli su Mercedes U 1300 nel 1986; quindi Villa/Delfino/Vinante nel ‘90, Houssat/De Saulieu/Bottaro nel ’91, Perlino/Albiero/Vinante nel ’92 e ’93, tutti su Perlini 105F. A proposito di camion: all’edizione 1987 partecipò anche il famoso attore Renato Pozzetto, accanto a Giacomo Vismara. L’equipaggio si classificò quinto dopo 18 tappe, su oltre 8.000 km e 98 ore di gara.

Com’è stata organizzata la Classic 2021. Con molto buonsenso. Inutile tirare il collo ai mezzi e soprattutto ai piloti vintage, per quanto allenati. Auto, moto e camion classici hanno ancora molto da dire in un rally che soffre un po’ di crisi d’identità – e forse potrebbe decidersi a cambiare nome. Il percorso di gara della Dakar Classic si è articolato su 12 tappe di 3.000 km complessivi, con partenza e arrivo a Gedda. È stato tracciato dagli eperti Yves Loubet e Alain Lopes su distanze variabili fra i 200 e i 300 km. Le difficoltà previste hanno tenuto conto delle caratteristiche delle auto in corsa, per evitare frquenti problemi meccanici e di surriscaldamento. Quindi poche dune e ben distanziate, ma non sono mancati i tratti sabbiosi che potevano mettere in scacco i piloti meno esperti. L’atmosfera minimalista dei bivacchi africani degli anni Ottanta è stata rivissuta con un bivacco ambientato apposta per i piloti della Classic, che nella mente conservano il ricordo delle notti nel Sahara sotto le stelle, accanto al fuoco.

 

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