Alfa Romeo Alfetta, se è speciale c'è più gusto - Ruoteclassiche
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10/06/2019 | di Leonardo Olivari
Alfa Romeo Alfetta, se è speciale c’è più gusto
Quante versioni speciali dell'Alfetta conoscete? Potete scoprirlo leggendo l'articolo: abbiamo raccolto i modelli italiani e stranieri meno conosciuti.
10/06/2019 | di Leonardo Olivari

Quante versioni speciali e serie limitate dell'Alfetta conoscete? Potete scoprirlo leggendo questo articolo, in cui abbiamo raccolto i modelli italiani e stranieri meno conosciuti dell’iconica berlina milanese.

L’Alfetta è una delle pietre miliari dell’Alfa Romeo. Negli ultimi tempi, questo modello è diventato un vero e proprio oggetto di culto, al punto da diventare un pezzo che non sfigura nemmeno nelle collezioni di livello più alto.

Solo per veri intenditori. Durante la sua produzione, durata ben dodici anni, si è evoluta seguendo i gusti della clientela e adattandosi ai mercati esteri nei quali è stata venduta. Questo ha spesso portato a serie “speciali” o a produzioni limitate, talvolta addirittura quasi artigianali, che oggi sono rarissime e stuzzicano l’interesse dell’appassionato più smaliziato.

Voglia di rally. La prima speciale è sicuramente l’Alfetta Rallye, realizzata dalla consociata tedesca per il mercato interno. Venne edito uno striminzito pieghevole in bianco e nero che illustra le principali modifiche rispetto all’Alfetta 1.8 “scudo stretto” da cui derivava: sedili anteriori Recaro, fari antinebbia circolari ed una vistosa fascia adesiva laterale di colore nero, di dimensioni crescenti dal parafango anteriore a quello posteriore, dove spiccava la scritta del modello.

Tuo vuò fa’ l’americana. L’Alfetta 2000 per il mercato nordamericano rappresenta invece la prima applicazione del motore due litri sulla meccanica transaxle che l’Alfetta aveva portato al debutto nel 1972. Lanciata insieme alla coupé GT, mostrava tutte le modifiche necessarie per rispondere alle severe richieste dettate dai vincoli di omologazione statunitensi: paraurti ad assorbimento di energia, side markers laterali e sealed beams, oltre a quelle particolarità che già si erano già viste sulle Alfa con specifiche USA: il tettuccio in alluminio ospitante le luci targa e la scritta cromata in stampatello, di derivazione Montreal, sulla coda. La strumentazione era ovviamente in miglia, e rispetto all’Alfetta italiana al centro della plancia era prevista una spia che ricordava di allacciarsi le cinture. Purtroppo la messa a punto del sistema di iniezione meccanica Spica non riuscì molto presto a trovare la quadra fra emissioni e prestazioni (che erano simili a quelle della nostrana 1600), ci si arriverà solo dopo vari step evolutivi (versione California catalizzata nel 1976 e versione 50 States catalizzata nel 1977) e il successo non ci sarà.

Arriva il cambio automatico. Altrettanto poco incisiva fu la successiva Sport Sedan, basata sul corpo vettura ridisegnato visto da noi con l’Alfetta 2000. Lanciata quale m.y. ’78, manteneva le già citate caratteristiche estetiche necessarie all’omologazione (compreso un inedito frontale a quattro fari), e intendeva porsi un gradino sopra il modello che sostituiva, grazie a dotazioni di accessori a richiesta implementate oltre alla (finalmente!) disponibilità della trasmissione automatica ZF a 3 rapporti. Il m.y. ’79 beneficiava delle modifiche già viste sulla 2000 L e fu venduta fino al 1980, sempre con numeri molto limitati: poco più di 400 esemplari nell’ultimo anno di vendita, a fronte di quasi un migliaio di GTV6 e oltre 1600 Spider Veloce. L’Alfa Romeo si trovò quindi con l’esigenza di smaltire esemplari finiti e ancora invenduti di Alfetta prima e di Sport Sedan poi. Si trattava di automobili spesso dotate di accessori di pregio (tetto apribile, interni in pelle, talvolta trasmissione automatica) la cui sorte è affascinante ed ammantata da quel gusto di “artigianalità” sconosciuto alla produzione ordinaria di serie.

Per la Germania si fa più tecnologica. Nel 1977 un lotto di Alfetta USA (sia berlina sia coupé) venne commercializzato in Germania dando origine alla “Alfetta 2000 I”. Si trattava di auto private del catalizzatore, immesse sul mercato dalla consociata di Francoforte, previa sostituzione della fanaleria “sealed beams” con i caratteristici quattro fanali dei modelli europei. Non esiste documentazione pubblicitaria, ma l’analisi dell’allegato al “libretto uso e manutenzione” (vedi photogallery) evidenzia bene la presenza sulla plancia l’avvisatore del superamento limite di velocità della VDO.

Per chi la voleva full optional… Sulla base della Sport Sedan vennero invece commercializzate la “Si” (mercato svizzero e tedesco) e la “Li America” (mercato italiano). La “Si” del 1980 era disponibile sia in versione berlina che coupé, poteva essere personalizzata con accessori di pregio e scelta sulla base di una gamma colori molto ampia e variegata. Disponibile anche con cambio automatico (“Si A”), questa versione veniva commercializzata dalla consociata svizzera di Agno con un prezzo interessante anche per quello che riguarda i pacchetti degli optional a disposizione. Conveniente era quindi comprare una Si full optional con tetto apribile, interno in pelle e condizionatore, dimostrando la veridicità del claim “più avete, meno spendete” utilizzato nella pubblicità. Anche in questo caso furono apportate lievi le modifiche alla fanaleria: sostituzione dei sealed beams e delle luci anteriori di via, ora bicolore bianco/ambra per posizione e indicatore direzione (sono i gruppi delle Giulia berlina, abbandonati dopo la “unificata”).

Sempre più moderna. Per l’Italia veniva realizzata nel 1981 la “Li America”, solo berlina, in tiratura di 1300 pezzi tutti di colore grigio chiaro metallizzato. A differenza dei casi precedenti, queste non erano vetture finite, ma si partiva dalla scocca grezza della Sport Sedan. Oltre alle modifiche di fanaleria proprie della Si, mancavano i side markers: al loro posto c’erano gli indicatori di direzione anteriori (con mostrina, essendo il parafango tipo USA sprovvisto del foro per la lucciola laterale) e una placchetta con scritto “2.0 LI” sul fianco posteriore. I cerchi in lega tipo Campagnolo erano di serie. Sulla coda spiccava la tipica scritta “Alfa Romeo” a caratteri cromati e un inedito adesivo “America” sulla sinistra. All’interno c’era il velluto floccato grigio (già appannaggio della 2000 L a partire dalla fine del 1980) e una inedita spia “pressione benzina” nella parte inferiore della plancia. La strumentazione aveva la scala in km/h, anche se su alcuni esemplari vennero montati i tachimetri in miglia ancora da smaltire. Presente la predisposizione radio con casse marchiate Alfa Romeo sugli sportelli anteriori (modifica poi adottata dall’Alfetta ’82). L’auto aveva chiaramente l’iniezione meccanica Spica (senza catalizzatore), la potenza dichiarata del motore era 128 CV. Su questa base vennero realizzati i 10 taxi sperimentali del progetto CEM/Modulare, nella caratteristica livrea gialla: un esemplare, insieme ai motori, sarà mostrato nell’ultimo appuntamento backstage del Museo Alfa Romeo il prossimo 15 dicembre.

Un laboratorio su ruote. Proprio il sistema ideato e messo a punto in Alfa Romeo per il funzionamento a due o quattro cilindri del classico bialbero dà origine all’ultima Alfetta un po’ speciale: la 2.0 CEM. La carrozzeria è identica a quella della 2.0 carburatori di serie, eccezion fatta per una scritta identificativa in coda, a sinistra. Ma chi ha modo di incontrare uno di questi 991 esemplari, noterà che il piccolo cruscotto posto accanto a quello principale (come è sulla Quadrifoglio Oro) non ospita solo il check control, ma un sistema di diagnostica proprio di questo innovativo impianto. Sotto il cofano, il sistema del controllo elettronico motore porta con sé l’iniezione elettronica e la possibilità di funzionare a due soli cilindri quando non si richiedono le massime prestazioni (uso cittadino, uso normale entro una certa velocità e range di giri) passando senza indugio al funzionamento regolare con tutti e quattro quando è richiesta la massima potenza. Destinata a suo tempo a una selezionata clientela, che poteva assicurare lunghe percorrenze in breve tempo e la disponibilità a comunicare qualsivoglia problema in tempo reale, oltre che agli ispettori Alfa, non era infrequente trovarne qualcuna sonnecchiare per mesi o anni, usata, in attesa di qualche compratore che accettasse la sfida di mettersi alla guida di un laboratorio viaggiante, con tutti i rischi connessi (non ultimo la mancanza dei ricambi specifici, perché l’esperimento rimase unico e non applicato alla serie).

Dettagli che fanno la differenza. Anche l’Inghilterra ebbe modelli specifici per il mercato interno, allesititi direttamente nel Regno Unito. La “2000” fu realizzata nel 1981 per agevolare lo smaltimento delle scocche 2000 L prima del lancio commerciale del modello “Alfetta ’82”. Disponibile solo in blu metallizzato, con tetto in vinile in tinta, è impreziosita da alcuni particolari della Sport Sedan: archi cromati su passaruota, striscia paracolpi a metà fiancata, cerchi in lega 6x14 Campagnolo. Fendinebbia, tetto apribile, vetri elettrici e radio mangianastri completano la dotazione. Curiosa la scelta delle scritte identificative sul cofano baule: a sinistra la tipica scritta “alfaromeo” a caratteri cromati maiuscoli (esordì sulla Montreal e fu su tutte le auto USA specifications fin dai primi ’70), a destra viene riutilizzata la scritta “2000” della 2000 berlina.

Una Quadrifoglio Oro d’oltremanica. Costruita sulla base dell’Alfetta 2.0 ’82 è invece la “Alfetta II SL”, pari grado inglese, per posizionamento nella gamma, alla nostra Quadrifoglio Oro. Il segno distintivo era la carrozzeria bicolore con la parte bassa sempre grigio chiaro metallizzato; per quella alta il più comune era il testa di moro (è il colore dell’esemplare raffigurato nel catalogo ufficiale), ma sono esistite anche blu pervinca o rosso: questo perché l’allestimento era a cura del carrozziere Star Custom Vehicles di Ampthill, che montava il vistoso spoiler posteriore, il dam anteriore con tanto di adesivo con la scritta “Alfetta SL” e verniciava in grigio metallizzato la parte bassa, a prescindere dal colore di origine. Il frontale era a 4 fari e grigliatura nera, come nella Li America. Sempre dalla Li America furono presi i cerchi in lega Campagnolo 6x14 che hanno equipaggiato alcuni esemplari, invece dei millerighe 5,5x14 con parte centrale nera (il mercato UK prevedeva i cerchi da 6 pollici di canale in opzione già sulla 2000 L).

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