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Bimotore, l’Alfa Romeo di Maranello

Nel 1934, mentre Auto Union e Mercedes-Benz dominavano le competizioni nei Grand Prix d’Europa, Enzo Ferrari, alla guida del Reparto Corse Alfa Romeo decise di tentare una mossa audace. Il compito di dare forma a una nuova vettura venne affidato a Luigi Bazzi, coadiuvato da Arnaldo Roselli ed Enrico Beltracchini. In soli quattro mesi all’interno delle officine di Modena, partendo da telaio e motore della gloriosa ma ormai superata Alfa Romeo Tipo B-P3, gli ingegneri concepirono un’architettura unica: installare due motori a quattro cilindri in linea da 2.905 cm³ da 255 CV ciascuno posizionandoli uno davanti al pilota e l’altro dietro, collegati da un lungo albero di trasmissione, unico cambio a tre marce e una sola frizione.

Questione di muscoli

“Se per superare i 300 km/h non basta un motore da 270 CV, vorrà dire che ce ne metteremo due!”. L’auto poteva contare dunque su 510 CV da una cilindrata complessiva di 5.810 cm³ su 16 cilindri in linea (2 per 8 cilindri). I due monoblocchi sono collegati, ma potevano essere avviati indipendentemente: il differenziale è all’estremità del cambio e da esso si dipartono i due alberi che trasmettono in maniera indipendente il moto alle ruote posteriori.

I primi collaudi e lambizione dei 340 km/h 

La carrozzeria venne disegnata raggiungendo una buona profilatura aerodinamica con superficie frontale ridotta, stondata, meccaniche carenate e un’alta pinna posteriore, il tutto realizzato di resistente e leggero alluminio con strutture di duralluminio. Il primo esemplare per i test fu affidato a Tazio Nuvolari e Attilio Marinoni lungo la tratta Brescia-Bergamo dove la Bimotore toccò i 280 km/h. I tecnici erano però convinti che, con ulteriori sviluppi, si potesse fare molto di più.

Da Tripoli allAVUS

In tempi strettissimi, si realizzò nel 1935 un secondo esemplare dotato di propulsore più potente con cilindrata totale di 6.330 cm³ e 540 CV (3.165 cm³ e 270 CV ciascuno). Entrambe le vetture debuttarono al Gran Premio di Tripoli dove Nuvolari chiuse quarto (con motore da 6.3 litri) e Luis Chiron quinto (motore da 5.8 litri) dietro la Mercedes-Benz di Rudolf Caracciola, a causa di una rilevante usura degli pneumatici. Dopo ulteriori aggiustamenti, le Bimotore vennero schierate al Circuito all’AVUS di Berlino, senza però riuscire a contrastare l’efficienza delle rivali tedesche.

Il record prima della fine 

Se in pista la Bimotore non mantenne le promesse, sulle strade aperte seppe lasciare un segno indelebile. Il 15 giugno 1935, sull’autostrada Firenze-Mare, Nuvolari stabilì con la versione da 6.3 litri un primato a 321,5 km/h, media di due passaggi effettuati a 330,275 km/h e 336,252 km/h frantumando i precedenti record di Stuck su Auto Union e Caracciola su Mercedes-Benz. L’Alfa Romeo Bimotore venne comunque accantonata per la sua complessità, tornando allo sviluppo della Tipo B-P3.

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