Negli anni 60 tra i costruttori europei che tentarono la strada del Wankel ci fu anche l'Alfa Romeo. Ecco i pro e i contro di un motore che ad Arese non andò mai in produzione
Il nome Wankel a molti dice poco, quasi niente. Ai più giovani conoscitori del mondo dell’auto fa venire in mente le coupè Mazda RX-7 e RX-8, costruite per oltre trent’anni a partire dal 1978, la cui caratteristica peculiare era l’adozione di un motore rotativo che solo i giapponesi producevano e sviluppavano. I meno giovani, invece, pensano d’acchito a una casa automobilistica germanica che non esiste più: la NSU. Furono i tedeschi i primi a lanciare sul mercato un’autovettura dotata di questo propulsore, frutto dell’intuizione e del lavoro del progettista Felix Wankel, seppur in una versione meno ardita e quindi industrializzabile. La loro piccola Spider di 500 cm³ del 1964 dimostrava uno dei punti di forza del rotativo, cioè l’elevata potenza specifica. A questa, fece seguito nel 1967 una moderna e piacevole vettura di classe medio alta, la Ro80 che inizialmente suscitò non poco interesse – conquistò l’allora ambito titolo “auto dell’anno” 1968. A partire dalla metà degli anni ’60 molti costruttori si interessarono al motore rotativo, a volte portando sul mercato prodotti realizzati in serie limitata. Negli Stati Uniti la General Motors, in Europa Citroen, Mercedes e …. l’Alfa Romeo.
A lezione di Wankel. Di Wankel si è parlato lo scorso 21 luglio all’appuntamento mensile “backstage” al Museo Alfa Romeo di Arese. Giorgio Figliozzi, ingegnere tecnico che ha lavorato anche a quel progetto, illustrando agli ospiti varie componenti e di un motore completo accoppiato al cambio ha acceso i riflettori su una parentesi molto poco conosciuta della storia del Biscione, e per questo molto affascinante. L’interesse per il motore rotativo coincide con la riorganizzazione dell’ufficio progettazione dei diesel destinati ai veicoli commerciali pesanti, settore da cui l’Alfa Romeo intendeva disimpegnarsi. Parte dei tecnici passò quindi a curare i veicoli Alfa Romeo – Saviem (accordo del 1967), altri furono impegnati alla realizzazione di prototipi interni di motori Wankel.
Pro e contro di un sistema geniale. I contatti con la NSU, all’epoca la “più avanti” nella conoscenza del sistema, erano mensili, con scambio di informazioni utili ad entrambe le Case. Erano già noti i problemi che portarono poi all’abbandono di questo innovativo propulsore, i cui punti di forza erano la già citata elevata potenza specifica, la compattezza e il numero esiguo di parti che lo componevano, ma che presentava problemi non da poco in merito alla tenuta del rotore triangolare sulle pareti interne dello statore, ed il fatto che per un breve momento la camera di scoppio si trovasse in contatto contemporaneo con il condotto di aspirazione e con quella di scarico, quindi contaminando la miscela o creando incombusti.
Serviva più coppia. L’Alfa Romeo, pur nella sua dimensione di costruttore quasi artigianale se confrontata con le altre Case europee all’epoca impegnate nello sviluppo del Wankel, realizzò varie soluzioni non solo nella sperimentazione dei segmenti di tenuta, ma anche per sopperire al difetto di scarsa coppia ai bassi regimi. Nei magazzini sono ancora custoditi vari gruppi disassemblati rotore/statore con un specifiche diverse l’uno dall’altro così come statori dotati di più luci di aspirazione a dimensione crescente. I rotativi completi costruiti ad Arese furono due, un monorotore di 500cc accreditato di circa 64 cv ed un birotore (ottenuto dall’accoppiamento di due monorotori) di 1000 cm³ con 130 CV di potenza.
La Spider col rotativo. Questi non rimasero confinati nelle sale prova, ma vennero pure montati su corpi vettura per la sperimentazione strada. Nel dettaglio, il monorotore venne installato su una carrozzeria Spider duetto, mentre il birotore su una 1750 berlina di colore bianco. Figliozzi ha avuto modo di utilizzare diverse volte la 1750 Wankel, che era una delle autovetture di servizio. A fronte di una sonorità caratteristica, il motore aveva sì una scarsa coppia ai bassi regimi, ma saliva di giri in modo molto veloce, sicuramente più del bialbero quattro cilindri, consentendo di giungere preso a regimi in cui il Wankel si dimostrava efficiente.
Documenti ufficiali. Di contrasto, non esisteva praticamente freno motore, e proprio Figliozzi se ne è dovuto rendere conto – con non poco spavento – allorché gli toccò rallentare efficacemente in una manovra di emergenza senza poter contare sull’effetto frenante che si ha scalando le marce su di un propulsore tradizionale. Il motore esposto, illustrato direttamente dall’ingegnere ai presenti, è quello che avrebbe dovuto equipaggiare la 1750. Fra le tante carte relative al motore “tipo 192” tutt’oggi custodite vi è anche una comunicazione del 1971 in cui la direzione esperienze comunica che verrà montato un propulsore Wankel sul corpo vettura di una GTA sperimentale.
Forse non ne valeva la pena. Non è noto se questo sia stato fatto, ma è noto che l’Alfa Romeo abbandonò il progetto Wankel in quegli stessi primi anni 70. Il citato problema della “contaminazione” della camera di scoppio con gas di scarico mentre la stessa “apriva” la luce dell’aspirazione non era cosa da poco. Gli Stati Uniti erano stati pionieri nella lotta alle emissioni inquinanti, con limitazioni sempre più stringenti di anno in anno, ed era sottinteso che nel vecchio continente si sarebbe proseguito sulla stessa strada (cosa che effettivamente accadde). Lo stesso Figliozzi ha lavorato agli impianti di iniezione Spica di cui erano dotate le Alfa vendute oltreoceano proprio per rientrare nei parametri omologativi, ed aveva quindi una chiara consapevolezza di come sarebbe stato il futuro e delle difficoltà che avrebbe incontrato un motore come quello rotativo. I vantaggi (ivi compresa la semplicità) non superavano gli svantaggi, che tanto gravarono sulle finanze della NSU da costringerla a entrare nella galassia Volkswagen (il marchio venne successivamente soppresso). Per dirla con le parole di Dario Radaelli, ingegnere anch’egli interessatosi al progetto Wankel sotto la guida dell’ingegner Audisio, ci fosse stata già più consapevolezza in materia di emissioni allo scarico questo motore non avrebbe avuto l’interesse che gli venne dimostrato.