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29/05/2019 | di Cesare Emanuele Scanzi
Alfasud Giardinetta: furgoncino o shooting brake?
Cos’hanno in comune le prime giardinette italiane con le shooting brake? Ce lo siamo chiesti analizzando a fondo l’Alfasud Giardinetta.
29/05/2019 | di Cesare Emanuele Scanzi

Cos’hanno in comune le prime giardinette italiane con le moderne e sportivissime shooting brake? Ce lo siamo chiesti analizzando a fondo un’Alfa Romeo (in)dimenticata: l’Alfasud Giardinetta.

Forse non tutti lo sanno, ma la cosiddetta carrozzeria shooting brake, che abbina a una linea in genere molto sportiva le doti di spazio e abitabilità proprie di una giardinetta, l’hanno inventata gli italiani. L’Alfa Romeo Giulietta Promiscua di Boneschi, la Maserati A6 1500 di Pininfarina, la Lancia Appia di Viotti, la Ferrari 330 GT di Vignale: fulgidi esempi di come, con un largo giro d’anticipo, i più abili carrozzieri del nostro paese già si cimentavano in esercizi di stile che oggi siamo abituati a vedere declinati per lo più nelle gamme dei marchi premium tedeschi.

Voglia di nuove forme. Definire l’Alfasud Giardinetta una shooting brake appare oggi quantomeno forzato, perché il suo aspetto, infondo, è quello di un piccolo furgoncino: l’unica concessione alla sportività, valore (che dovrebbe essere) imprescindibile per ogni Alfa Romeo, è il frontale basso e profilato (lo stesso della berlina a due volumi). Ma l’Alfasud Giardinetta, a ben guardare, raccoglie l’eredità di un fenomeno sbocciato addirittura quindici anni prima con il lancio della Fiat 500 Giardiniera.

Un capolavoro mancato? Ma torniamo in quel di Pomigliano, dove l’Alfasud è nata. Dalla fabbrica campana, agli inizi degli anni 70 il mercato si aspettava un’Alfa Romeo tutta nuova e, soprattutto, finalmente accessibile anche a quella fascia di automobilisti che un’auto del Biscione non poteva ancora permettersela. Il progetto della vettura brillava per contenuti tecnici – trazione anteriore, motore 4 cilindri boxer, abitabilità ai vertici della categoria –, ma i problemi di qualità, oltre a quelli legati alla difficile gestione degli impianti produttivi e delle maestranze, ne compromisero la piena affermazione (almeno da un punto di vista della percezione del prodotto).

Non fa girare la testa. Nel tentativo di ampliare la gamma e intercettare un nuovo target di alfisti – restio a rinunciare alla brillantezza di guida regalata del motore boxer ma al contempo in cerca di una vettura multiuso, più versatile e spaziosa –, la Casa del Biscione nel 1975 propose sul mercato la versione giardinetta dell’Alfasud. Due sole porte, cinque posti: un abbinamento che si rivelò subito, almeno da un punto di vista stilistico, poco azzeccato.

Il prototipo. La storia dell’Alfasud Giardinetta in realtà era iniziata nel 1969 con la presentazione, alla Fiera di Milano, di un modello in materiale plastico che prefigurava con buona approssimazione quelle che sarebbero state le proporzioni e gli ingombri definitivi. Come a dire, dall’Alfa avevano avvisato. Una dopo l’altra, tutte le argomentazioni a sostegno dell’indiscutibile originalità del progetto cominciarono a sbriciolarsi di fronte a un’evidenza altrettanto indiscutibile: agli automobilisti italiani la carrozzeria giardinetta non piaceva.E poco o nulla importava se, a disegnarla, era stato chiamato Giorgetto Giugiaro…

Assomiglia a un furgoncino. Lasciando pressoché invariato il frontale, Giugiaro apportò le modifiche più evidenti nella parte posteriore della vettura. La scelta del “designer del secolo”, però, premiava più la praticità d’uso e la capacità di carico che la sportività. Inevitabilmente, quindi, il risultato finale finì con l'assomigliare più a un furgoncino che a un’Alfa Romeo per come la conoscevano gli appassionati. Il portellone posteriore era molto ampio, pensato per caricare e scaricare oggetti anche molti ingombranti con facilità. Le luci posteriori vennero prelevate direttamente dal furgoncino F11. Leggermente diverso il paraurti, che inglobava una luce bianca per segnalare le manovre di retromarcia.

Sottopelle resta raffinata. Il corpo vettura, poco più lungo di 393 cm, doveva garantire una maggior rigidità torsionale rispetto alla berlina e, per questo, fu rinforzato nel pianale e nella zona del tetto. Date le profonde modifiche subite dalla scocca nella parte posteriore, le sospensioni richiesero modifiche ad hoc agli ammortizzatori. I freni, come sulla due volumi, erano tutti e quattro a disco, gli anteriori montati al centro, all’uscita del differenziale.

Qualche chilo di troppo. Gli effetti dei rinforzi applicati alla carrozzeria si tradussero, com’era inevitabile, in un aumento del peso finale, che sulla Giardinetta crebbe di un centinaio di chili rispetto alla versione con quattro porte. Senza storia, invece, la partita sulla capacità di carico: la Giardinetta batteva la berlina per 1300 litri a 600. Il livello dell’equipaggiamento interno era simile a quello dell’Alfasud L, anche se mancava il contagiri. Una chicca, poi, era il piano di carico, rivestito in legno. Dal 1975 al 1982, nonostante vari aggiornamenti e migliorie (e un restyling, nel 1978), l’Alfasud Giardinetta fu realizzata in meno di seimila esemplari. Giusto un milione e rotti in meno della berlina…

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