Auto nella tempesta, 1985: le fake-news e l’Audi nella piscina - Ruoteclassiche
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01/07/2020 | di Giosuè Boetto Cohen
Auto nella tempesta, 1985: le fake-news e l’Audi nella piscina
Nel 1985 una serie di denunce senza prove, e una serie di fake-news portarono Audi sull’orlo del baratro per un’inchiesta televisiva fu condotta ai limiti della criminalità.
01/07/2020 | di Giosuè Boetto Cohen

Nel 1985 una "tempesta" si abbattè sulla vendita di vetture Audi: nell’estate di trentacinque anni fa una Audi 5000 targata California volò dal garage in piscina. La moglie (al volante) disse al marito che l’auto aveva accelerato improvvisamente, mentre il freno non rispondeva. Ma lui non le credette.

Qualche settimana dopo, a New York (le auto europee, all’epoca, le compravano soli i californiani e i newyorkesi) entrò nel soggiorno di una villetta, mentre i genitori guardavano la tv. Anche lì i figli (neopatentati che imparavano a fare manovra) dissero che l’Audi aveva fatto tutto da sola. Ma furono presi a ceffoni. Fu così che quelli della tv (la CBS, non il tecnico riparatore) decisero di interessarsi della faccenda. Anche perché, nel giro di sei mesi, gli incidenti si erano moltiplicati: ci fu chi atterrò giù dalla scogliera, chi nel porticciolo accanto alla motoscafo e uno ci lasciò anche le penne, nella tromba di un ascensore. Quando, la signora Bradosky dell’Ohio (una delle pochissime clienti fuori zona) stirò il figlio sul driveway di casa, e fece causa all’Audi per trenta milioni di dollari, la rubrica Sixty Minutes mandò in onda uno speciale intitolato “Out of control”. E allora nuvole tra le più tempestose cominciarono a vorticare sul Nord America e anche nei cromati uffici di Ingolstadt l’aria si tagliava con il coltello.

Un'inchiesta fasulla. Oggi, nella pax germanica dell’automobile, questa tragedia sembra una barzelletta. Sull’impero dei Tre Grandi non tramonta mail il sole, le carrozzerie sono tutte uguali e i primati tecnologici si sprecano. Ma alla metà degli anni ’80 bastò una serie di denunce senza prove, e una buona campagna di fake-news (con lo zampino di Detroit?) per portare la marca sull’orlo del baratro. Guai a paragonare la vicenda al dieselgate, perché lì il dolo c’era, mentre delle bizzarrie della povera 5000 (una Audi 100 in versione USA) nessuno sapeva trovare una ragione o darsi pace. Tra il 1985 e il 1987 le vendite di Audi oltreoceano passarono da 74.000 a 41.000 veicoli, la credibilità del marchio (prima altissima) fu messa in discussione e non bastarono anni di contromisure per superare la buriana. L’inchiesta televisiva fu condotta ai limiti della criminalità, usando – senza dirlo - una vettura modificata per dare l’impressione dell’accelerazione improvvisa. Praticamente una fiction, che però – targata CBS – fu presa per vera e generò quattrocento altre denunce di presunti inconvenienti, in poche settimane. Stupidità di gregge o sindrome da avvocato?

La bagarre. L’Audi, dal canto suo, sbagliò la prima risposta, perché senza avere delle prove in mano, addossò la colpa di infanticidio alla signora Bradosky. “Ha schiacciato il gas invece del freno”, tagliarono corto gli ingegneri tedeschi. Ma le lacrime di una mamma pesavano di più e gli ingegneri tedeschi non avevano più il prestigio di Von Braun. La seconda mossa fu di mantenere un basso profilo e chiedere di attendere l’esito delle indagini. Ma qui furono i concessionari a rivoltarsi, accusando i manager di essere dei cagasotto e non difendere l’immagine di marca. E giù altre cause milionarie per le mancate vendite. Visto che la bagarre montava a tutti i livelli e che la Motorizzazione Civile americana si era inventata addirittura il termine “confusione di pedale” per dare la colpa a qualcuno, l’Audi pensò di spostare i pedali. Ci fu un primo richiamo di del modello, per distanziare freno e acceleratore (che peraltro erano nella stessa posizione di varie altre vetture, anche americane).

Una serie di sfortunati eventi. Poi si tentò la carta della sicurezza freno-cambio, che allora non era standard. Per poter passare dalla posizione Park a quella Drive fu richiesto di tenere bene schiacciato il piede, altrimenti non si poteva. In ultimo, con un richiamo di 250 mila vetture, si arrivò a quella che forse era la causa prima della grana. Scoppiata per una sciocchezza e poi – quella sì veramente – andata fuori controllo. Si sostituirono i regolatori elettronici del minimo, che, in caso questo tendesse a rimanere alto, innescavano la catena degli eventi. La signora Bradosky accendeva il motore, passava da Park a Reverse col minimo alto, l’auto aveva un minimo sobbalzo, la signora Bradosky ne aveva uno anche lei, incespicava nell’acceleratore cercando il freno, la macchina partiva in retro, lei, nel panico, accelerava ancor più credendo di frenare e.... addio bambino sul vialetto.

Mal comune mezzo gaudio. La tempesta passò lentamente con l’arrivo dei nuovi modelli 200 del 1988 (il nome 5000 fu depennato da ogni pubblicazione, come quando cade un aereo). Se questi non avessero convinto, Audi avrebbe abbandonato il mercato americano. La marca, alla fine, fu virtualmente assolta, anche perché si scoprì che pure alcune Nissan, Toyota e GM causavano incidenti per accelerazioni improvvise, e con frequenza anche maggiore. La CBS non chiese mai scusa per la sua inchiesta cialtrona e le fake news continuano anche oggi, con l’aiuto cruciale dei Social. Qualcosa di nuovo avvenne però in autostrada, quando un poliziotto vi fermava per infrazione al limite di velocità. Gli automobilisti, indipendentemente da cosa guidassero, cominciarono a indicare i tappetini sul fiondo dell’auto, assicurando al poliziotto che c’era stato un problema di “confusione di pedale”.

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